Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 febbraio 2023, n. 4844
Lavoro, Trasformazione della pensione di anzianità in pensione di vecchiaia, Circolare INPS n. 95/2014, Decadenza, Diritto a pensione non sottoponibile a decadenza, Inammissibilità
Fatti di causa
Con sentenza depositata l’11.9.2020, la Corte d’appello di Trieste, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto la domanda di C.M. volta alla trasformazione della pensione di anzianità in pensione di vecchiaia previa neutralizzazione delle 125 settimane di contribuzione meno favorevoli, condannando l’INPS al pagamento delle differenze maturate a far data dal primo giorno successivo alla domanda amministrativa del marzo 2018.
La Corte, in particolare, ha preliminarmente ritenuto l’infondatezza dell’eccezione di decadenza di cui all’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, reputando che la fattispecie potesse inquadrarsi nel novero delle ipotesi di cui alla circolare INPS n. 95/2014, che esclude l’operatività della decadenza allorché la riliquidazione venga domandata in virtù di fatti sopravvenuti alla liquidazione originaria (quale, nella specie, doveva considerarsi il conseguimento del requisito anagrafico utile ai fini del conseguimento della pensione di vecchiaia); indi, dato atto che il compimento dell’età pensionabile si accompagnava nella specie alla necessità di un requisito contributivo inferiore rispetto a quello previsto per la pensione di anzianità, ha fatto applicazione dei principi più volte affermati dalla Corte costituzionale in merito alla ratio di favore sottesa alla selezione dell’arco temporale di riferimento per le retribuzioni pensionabili, fissando tuttavia la decorrenza del maggior importo della pensione così risultante dalla data della relativa domanda amministrativa di trasformazione.
Avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura. C.M. ha resistito con controricorso.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, come novellato dall’art. 38, d.l. n. 98/2011 (conv. con l. n. 111/2011), per avere la Corte di merito ritenuto l’infondatezza dell’eccezione di decadenza, ancorché la domanda di riliquidazione fosse stata proposta oltre tre anni dopo la maturazione del diritto al pagamento del primo rateo di pensione di vecchiaia, avvenuta nel novembre 2011, ossia subito dopo che il pensionato aveva compiuto il 65° anno d’età.
La censura, come peraltro riconosciuto dall’INPS nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c., deve reputarsi carente d’interesse.
Come chiarito da Cass. 17430 del 2021 (cui hanno dato continuità, tra le altre, Cass. nn. 123 e 38015 del 2022), la decadenza ex art. 47, cit., si applica solo alle differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale, coerentemente con la previsione dell’art. 6, d.l. n. 103/1991 (conv. con l. n. 166/1991), atteso che, dovendo il diritto a pensione considerarsi come diritto fondamentale, irrinunciabile, imprescrittibile e non sottoponibile a decadenza (cfr., tra le numerose, Corte cost. nn. 71 del 2010, 345 del 1999, 246 del 1992 e 203 del 1985), una diversa interpretazione, che applicasse la decadenza all’intera pretesa di rideterminazione, travolgendo anche i ratei infratriennali e soprattutto futuri, sarebbe incompatibile con l’art. 38 Cost. tutte le volte in cui la misura della prestazione riconosciuta o pagata non salvaguardasse il nucleo essenziale della prestazione. E dal momento che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha condannato l’Istituto al pagamento dei ratei di pensione maturati dall’odierno controricorrente a far data dal 1°.4.2018, posteriore a quella del 28.11.2015 cui sarebbe potuta retroagire la salvezza dei ratei a seguito del deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio (28.11.2018), è evidente come, anche accogliendo la censura di violazione dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, nessun beneficio concreto potrebbe derivarne per l’odierno ricorrente, avendo i giudici territoriali accolto la domanda con decorrenza successiva a quella di cui s’è appena detto.
Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile e, considerato che l’orientamento cui qui s’è inteso dare continuità si è consolidato solo successivamente alla notifica del ricorso per cassazione (opinione antitetica a quella di Cass. n. 17430 del 2021 aveva espresso, proprio in fattispecie pressoché sovrapponibile alla presente, Cass. n. 28416 del 2020), si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.
Tenuto conto della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono per contro i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.