Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 febbraio 2023, n. 5090
Lavoro, Licenziamento, Associazione sportiva dilettantistica, Conversione del rapporto subordinato a tempo indeterminato, Art. 61 comma III, della Legge Biagi, Rigetto
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 18 marzo 2018, la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato i due appelli riuniti proposti dalla F.I.G. rispettivamente nei confronti della sentenza del giudice del Tribunale di Padova n. 258 del 2017 – che aveva accolto il ricorso proposto da B.F. dichiarando, in assenza di progetto al momento dell’instaurazione del rapporto, la sussistenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato dal 1° febbraio 2014 – e della decisione n. 214 del 2018, emessa sempre dal Tribunale di Padova che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato alla medesima lavoratrice, con condanna della Federazione alla riassunzione ovvero al pagamento di dieci mensilità di retribuzione globale di fatto.
1.1. La vicenda processuale inerisce alla qualificazione del rapporto intercorso fra le parti dal 1° febbraio 20014 sino al 31 dicembre 2015 presso la sede di Padova della F.I.G., inizialmente definito, a fini fiscali, come reddito diverso, ai sensi dell’art. 67 comma 1, lett. m.) Testo Unico delle Imposte sul Reddito e, a decorrere dal 1° gennaio 2006, quale contratto a progetto.
Con la sentenza n. 258 del 2017, il Tribunale di Padova, reputata non qualificabile come “associazione sportiva dilettantistica” la F.I.G. e ritenuta l’assenza di un progetto apposto all’instaurazione del rapporto, ha dichiarato la sussistenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, dal 1° febbraio 2014, con inquadramento della lavoratrice al livello B del CCNL e con conseguente ripristino della posizione contributiva.
1.2. Successivamente, con sentenza n. 214 del 2018, il medesimo Tribunale ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato alla Fonte condannando la F.I.G. alla riassunzione ovvero al pagamento di dieci mensilità della retribuzione globale di fatto, sul presupposto della qualificazione del rapporto come a tempo indeterminato ab origine e, conseguentemente, dell’assenza di giustificazione della disdetta del rapporto di collaborazione, da considerarsi, piuttosto, licenziamento privo di giustificazione, meritevole della tutela obbligatoria di cui alla legge n. 604/66.
2. La Corte di appello, riunite le due cause per connessione oggettiva e soggettiva, ha condiviso l’iter argomentativo del giudice di primo grado, escludendo il carattere di interpretazione autentica all’art. 6 comma 35 L. n. 13 del 2009 e, quindi, ritenuto il carattere di Federazione sportiva stricto sensu della appellante, ha reputato infondate le doglianze afferenti alla ritenuta sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ab origine con la medesima intercorrente.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso assistito da memoria la F.I.G., affidandolo a tre motivi.
Resiste, con controricorso, B.F..
3. La causa, originariamente chiamata nell’adunanza del 21 giugno 2022 innanzi alla Sezione Sesta, è stata rimessa per la trattazione alla Sezione Quarta, avendo quel Collegio ritenuto la sussistenza dei presupposti all’uopo previsti.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., allegandosi l’erronea statuizione della Corte d’appello in ordine alla conversione del rapporto subordinato a tempo indeterminato ab initio, nonché contraddittorietà della motivazione e nullità della sentenza.
Allega, in particolare, parte ricorrente l’erronea determinazione della Corte territoriale nell’aver ritenuto l’art. 6, comma 35, della l. n. 13/2009, c.d. “Decreto Milleproroghe” inapplicabile alla fattispecie atteso che, secondo la prospettazione avanzata, avrebbe dovuto escludersi l’obbligo di predisposizione di un progetto per il carattere di norma di interpretazione autentica da riconoscersi a quella considerata, che estende – in particolare alle federazioni sportive nazionali – i regimi speciali, già riconosciuti alle “associazioni sportive dilettantistiche”, di cui, rispettivamente, all’art. 67, comma 1, lett. m), secondo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, da una parte e, dall’altra, all’art. 61, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni.
Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 61 comma 3 D. lgs. 276 del 2003 e 35 comma 6 L. 14 del 2009, nonché errore e vizio nella motivazione.
Censura la Federazione la conferma, da parte del giudice di secondo grado, dell’iter motivazionale del primo giudice nella parte in cui ha ritenuto la non applicabilità al caso di specie del disposto di cui all’art. 61, coma 3, del D.Lgs. n. 276/2003.
Con il terzo motivo si denunzia ancora la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 61 comma 3 D. lgs. 276 del 2003 e 35 comma 6 L. 14 del 2009, nonché errore e vizio nella motivazione con particolare riguardo al ritenuto carattere innovativo del disposto di cui all’art. 35, comma 6, L. n. 14 del 2009.
Tutti e tre i motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche oltre ad essere inammissibilmente formulati in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure, denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza, contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta natura non interpretativa, e quindi non retroattiva, della norma invocata, nonché della ritenuta sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ab initio con la Federazione impugnante.
1.1.Quanto alla denunziata violazione dell’art. 360 co. 1 n. 5, va rilevato che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall’art. 54 co1, lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità ( fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017).
Deve, d’altra parte, considerarsi che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis, è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., in base alla quale le sentenze possono essere impugnate “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, ma anche a quella di cui all’art. 348 ter, ult. co. cod. proc. civ., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d, doppia conforme (v. sul punto, Cass, n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014).
2. Quanto alle disposizioni normative di cui parte ricorrente allega l’erronea interpretazione ed applicazione, va rilevato come l’art. 6 comma 35 della legge n. 13 del 2009 preveda che “alle federazioni sportive nazionali, alle discipline associate ed agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI si applica quanto previsto dall’art. 67, comma 1, lett. m), secondo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, e dall’art. 61, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni”.
Ai sensi del richiamato art. 67 comma 1, lett. m), sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:
m) le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filo-drammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalla società S.S. Spa ,dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche.
Non v’è dubbio che, come chiarito da Cass. n. 24365 del 2019 invocata da parte ricorrente, in generale, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore possa adottare norme che specifichino il significato di altre disposizioni di legge non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali irrisolti, ma anche «quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore» (Corte Cost. nr. 525 del 2000; in senso conforme, sentenze nr. 209 del 2010; nr. 24 del 2009; nr. 170 del 2008; nr. 234 del 2007; nr. 274 del 2006; nr. 26 del 2003; nr. 374 del 2002).
Nondimeno, in difetto di esplicita indicazione nel senso voluto e, cioè di espressione univoca da cui possa evincersi la voluntas legis nel senso di interpretare autenticamente il dettato normativo considerato, ritiene il Collegio che la Corte abbia fatto corretta applicazione del principio dettato dall’art. 11 delle Preleggi, in base al quale la legge non dispone che per l’avvenire, essa non ha effetto retroattivo.
Il principio di cui all’art. 11 alla luce del quale la legge non dispone che per l’avvenire, gode di copertura costituzionale e, conseguentemente, può essere derogato dal legislatore nei limiti che verranno illustrati. La giurisprudenza di legittimità, con orientamento del tutto costante ne ha modulato l’ambito applicativo, anche in mancanza di una disciplina normativa puntuale, affermando: ” In tema di successione delle leggi nel tempo, il principio dell’irretroattività, fissato dall’art. 11 delle preleggi, comporta che la norma sopravvenuta è inapplicabile, oltre che ai rapporti giuridici esauriti, anche a quelli ancora in vita alla data della sua entrata in vigore, ove tale applicazione si traduca nel disconoscimento di effetti già verificatisi ad opera del pregresso fatto generatore del rapporto, ovvero in una modifica della disciplina giuridica del fatto stesso (ex multis Cass. n. 3845 del 2017).
D’altro canto (cfr., sul punto, Cass. n. 3845 del 2017), in tema di successione di norme giuridiche nel tempo, il principio dell’irretroattività, fissato dall’art. 11 delle preleggi, comporta che la norma sopravvenuta è inapplicabile, oltre che ai rapporti giuridici già esauriti, anche a quelli ancora in vita alla data della sua entrata in vigore, ove tale applicazione si traduca nel disconoscimento di effetti già verificatisi ad opera del pregresso fatto generatore del rapporto, ovvero in una modifica della disciplina giuridica del fatto stesso.
Il principio è stato ulteriormente precisato: “(…) la legge nuova può essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in sé stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore (S.U. n. 2926 del 1967; 2433 del 2000; 14073 del 2002; Cass. 16620 del 2013).
2.1. Alla luce del chiaro paradigma conformativo dell’operatività del principio d’irretroattività della legge sostanziale, elaborato dalla giurisprudenza di legittimità si può affermare (v. in questi termini, Cass. n. 4890 del 2019): a) l’applicazione del principio non riguarda soltanto i cd. diritti quesiti (S.U. 5939 del 1991) ma anche le situazioni giuridiche soggettive sottoposte ad un procedimento di accertamento ove la nuova disciplina legislativa modifichi il fatto generatore del diritto o le sue conseguenze giuridiche attuali o future; b) il principio esposto è una diretta conseguenza del parametro del cd. “fatto compiuto”, elaborato dalla dottrina costituzionalistica al fine di evitare effetti pregiudizievoli sulla tutela di diritti, dettati dall’insorgenza di un nuova norma che ne limiti o comprima la titolarità, il contenuto e l’esercizio, in virtù di un paradigma diverso rispetto a quello applicabile al momento in cui se ne è chiesto l’accertamento, così da creare disparità ingiustificate ed irragionevoli di trattamento dovute esclusivamente ad un fattore del tutto estrinseco ed accidentale quale la durata del procedimento di accertamento. La nuova legge, ove non si applicasse il principio sopra illustrato, “finirebbe per sconvolgere le situazioni giuridiche sorte durante il periodo di vigenza della vecchia legge, solo perché non esaurite al momento dell’entrata in vigore della nuova (in quanto svolgentesi nell’ambito di un durata ancora in corso) e perché tuttora oggetto di accertamento giudiziale” (S.U. n. 5939 del 1991; 4327 del 1998; Cass. 2433 del 2000; 16395 del 2007; 3845 del 2017).
La domanda, di conseguenza, cristallizza il paradigma legale sulla base del quale, per la richiamata qualificazione giuridica del diritto azionato e per la natura ricognitiva dell’accertamento statuale, deve essere scrutinato (cfr., negli stessi termini, Cass. n. 9090 del 2019).
2.3. Correttamente la Corte territoriale, oltre a richiamare la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., sul punto, Sez. VI, n. 882 del 2016), secondo cui la retroattività della legge, sebbene non costituzionalmente preclusa nelle materie diverse da quella penale, richiede, tuttavia, una esplicita previsione che renda chiara ed univoca la scelta del legislatore, ha sottolineato come il principio dell’irretroattività si configuri quale principio generale dell’ordinamento che trova ulterori addentellati nella tutela dell’affidamento e della certezza del diritto la cui crescente importanza è confermata anche dalla giurisprudenza sovranazionale tanto della Corte di giustizia quanto della Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 1 Prot. 1 CEDU.
In questo contesto è da condividersi l’opzione interpretativa secondo cui la scelta nel senso della retroattività, sebbene non astrattamente preclusa al legislatore, debba tuttavia, essere esplicita ed univoca, configurandosi la natura di interpretazione autentica di una norma e, conseguentemente, la retroattività, come una eccezione che necessita di apposita previsione
3. Orbene, come correttamente evidenziato da parte ricorrente, l’art. 61 comma III, della Legge Biagi escludeva, comunque, dal campo di applicazione delle disposizioni sul lavoro a progetto, “ i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fii istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alla federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal CONI, come individuate e disciplinate dall’art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289”.
Va preliminarmente rilevato che la stessa lettera della legge fa riferimento esclusivamente alle “associazioni e società sportive dilettantistiche” che siano “affiliate” alle Federazioni sportive nazionali e che queste ultime involgono, ontologicamente, sia sportivi professionisti sia sportivi dilettanti.
Ad avviso del Collegio, poi, per comprendere se il rapporto oggetto di causa possa essere ricompreso nell’ambito di quelli per i quali la legge Biagi escludeva l’operatività della normativa sul rapporto a progetto è opportuno ricostruire il quadro normativo concernente le Federazioni sportive.
3.1. L’articolo 1 del decreto-legge del 19 agosto 2003, n. 220 – Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva – (GURI n. 192, del 20 agosto 2003), convertito in legge, con modifiche, dall’articolo 1 della legge del 17 ottobre 2003, n. 208 (GURI n. 243, del 18 ottobre 2003), così dispone:
«1. La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale.
2. I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo».
2.1. L’articolo 1 del decreto legislativo del 23 luglio 1999, n. 242 – Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano – CONI, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (GURI n. 176, del 29 luglio 1999), nella versione applicabile alle controversie di cui ai procedimenti principali (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 242»), è così formulato:
«1. Il Comitato olimpico nazionale italiano, di seguito denominato CONI, ha personalità giuridica di diritto pubblico, ha sede in Roma ed è posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali [Italia]».
L’articolo 2, comma 1, del citato decreto legislativo enuncia quanto segue: «Il CONI (…) si conforma ai principi dell’ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato olimpico internazionale, di seguito denominato CIO. L’ente cura l’organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, ed in particolare la preparazione degli atleti e l’approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali o internazionali. Cura inoltre, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, (…) l’adozione di misure di prevenzione e repressione dell’uso di sostanze che alterano le naturali prestazioni fisiche degli atleti nelle attività sportive, nonché la promozione della massima diffusione della pratica sportiva (…), nei limiti di quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. (…)».
2.3. L’articolo 4, commi 1 e 2, del medesimo decreto legislativo è così formulato: «1. Il consiglio nazionale è composto da:
a) il presidente del CONI, che lo presiede;
b) i presidenti delle federazioni sportive nazionali;
c) i membri italiani del CIO;
d) atleti e tecnici sportivi in rappresentanza delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate a condizione che non abbiano subito sanzioni di sospensione dall’attività sportiva conseguente all’utilizzo di sostanze che alterano le naturali prestazioni fisiche nelle attività sportive;
I rappresentanti delle federazioni [sportive nazionali], individuati nell’ambito degli sport olimpici, devono costituire la maggioranza dei votanti nel Consiglio».
L’articolo 6, comma 1, del citato decreto legislativo recita:
«La giunta nazionale è composta da:
a) il presidente del CONI, che la presiede;
b) i membri italiani del CIO;
c) dieci rappresentanti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate.
L’articolo 15, commi da 1 a 6, del decreto legislativo in parola recita:
«1. Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle federazioni internazionali e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del CONI. Ad esse partecipano società ed associazioni sportive e, nei soli casi previsti dagli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate in relazione alla particolare attività, anche singoli tesserati.
2. Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione.
3. I bilanci delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate sono approvati annualmente dall’organo di amministrazione federale e sono sottoposti alla approvazione della Giunta nazionale del CONI. Nel caso di parere negativo dei revisori dei conti della Federazione o Disciplina associata o nel caso di mancata approvazione da parte della Giunta nazionale del CONI, dovrà essere convocata l’assemblea delle società e associazioni per deliberare sull’approvazione del bilancio.
4. L’assemblea elettiva degli organi direttivi provvede all’approvazione dei bilanci programmatici di indirizzo dell’organo di amministrazione che saranno sottoposti alla verifica assembleare alla fine di ogni quadriennio e del mandato per i quali sono stati approvati.
5. Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate sono riconosciute, ai fini sportivi, dal Consiglio nazionale.
6. Il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle nuove federazioni sportive nazionali e discipline sportive associate è concesso a norma del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 previo riconoscimento, ai fini sportivi, da parte del Consiglio nazionale.
L’articolo 20, comma 4, dello Statuto del CONI ha il seguente tenore:
«Le Federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva e le relative attività di promozione, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI, anche in considerazione della rilevanza pubblicistica di specifici aspetti di tale attività. Nell’ambito dell’ordinamento sportivo, alle Federazioni sportive nazionali è riconosciuta l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto la vigilanza del CONI».
L’articolo 21 dello Statuto del CONI recita:
«1. Il CONI riconosce le Federazioni sportive nazionali che rispondono ai requisiti di:
a) svolgimento, nel territorio nazionale e sul piano internazionale, di una attività sportiva, ivi inclusa la partecipazione a competizioni e l’attuazione di programmi di formazione degli atleti e dei tecnici;
b) affiliazione ad una Federazione internazionale riconosciuta dal CIO, ove esistente, e gestione dell’attività conformemente alla Carta Olimpica e alle regole della Federazione internazionale di appartenenza;
c) ordinamento statutario e regolamentare ispirato al principio di democrazia interna e di partecipazione all’attività sportiva da parte di donne e uomini in condizioni di uguaglianza e di pari opportunità, nonché in conformità alle deliberazioni e agli indirizzi del CIO e del CONI;
d) procedure elettorali e composizione degli organi direttivi in conformità al disposto dell’articolo 16, comma 2, del [decreto legislativo n. 242].
In caso di sopravvenuta mancata corrispondenza dei requisiti di cui al precedente comma 1, da parte di una Federazione sportiva nazionale riconosciuta, il Consiglio Nazionale del CONI delibera la revoca del riconoscimento a suo tempo concesso».
L’articolo 22 dello Statuto del CONI prevede:
«1. Gli statuti delle Federazioni sportive nazionali devono rispettare i principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale e devono in particolare ispirarsi al costante equilibrio di diritti e di doveri tra i settori professionistici e non professionistici, nonché tra le diverse categorie nell’ambito del medesimo settore.
2. Gli statuti delle Federazioni sportive nazionali stabiliscono le modalità per l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo degli atleti e dei tecnici sportivi, in armonia con le raccomandazioni del CIO e con i principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale del CONI.
L’articolo 23 dello Statuto del CONI stabilisce quanto segue:
«1. Ai sensi del [decreto legislativo n. 242], e successive modificazioni e integrazioni, oltre quelle il cui carattere pubblico è espressamente previsto dalla legge, hanno valenza pubblicistica esclusivamente le attività delle Federazioni sportive nazionali relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione dei contributi pubblici; alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all’alto livello, alla formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi pubblici.
1-bis. Nell’esercizio delle attività a valenza pubblicistica, di cui al comma 1, le Federazioni sportive nazionali si conformano agli indirizzi e ai controlli del CONI ed operano secondo principi di imparzialità e trasparenza. La valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse.
3.2. Quanto alle Federazioni Sportive, la Corte di giustizia (cfr., sul punto, CGUE 3 febbraio 2021, cause riunite C-155/2019 e C-156/2019) ha affermato, con particolare riguardo alla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FICG), che le stesse hanno normalmente natura di entità di diritto privato dotate di personalità giuridica ma ciò non esclude che le stesse, che sono sottoposte al controllo del CONI, svolgano determinate attività di carattere pubblico sebbene il carattere pubblico di tali attività non modifichi il regime ordinario di diritto privato cui le stesse soggiacciono.
4. Orbene ritiene il Collegio, alla luce del complesso tenore delle disposizioni che regolano lo svolgimento di attività da parte delle Federazioni sportive nazionali, fra le quali è indubbiamente compresa la F.I.G. – che “fondata nel 1927 e riconosciuta a fini sportivi dal CONI, ha per fine a norma di Statuto, il compito di promuovere, organizzare, controllare e disciplinare lo sport del golf in Italia” – che le stesse non possano in alcun modo configuarsi, ictu oculi, quali associazioni sportive dilettantistiche – trattandosi di entità che, all’evidenza, sono ontologicamente diverse – per le quali ultime soltanto può reputarsi operante l’eccezione legislativamente prevista dall’art. 61 comma 1 lett. m) del D. Lgs. n. 276 del 2003 vigente ratione temporis ed oggi abrogato dal D. lgs. n. 81 del 2015.
Correttamente, al riguardo, la Corte territoriale ha evidenziato come l’art. 14 delle Disposizioni preliminari al codice civile vieti qualsivoglia interpretazione analogica di norme, quale quella in esame, che fanno eccezione alla generale applicazione di determinate disposizioni, in questo caso quelle relative ai contratti a progetto alle collaborazioni coordinate e continuative.
4.1. Deve, quindi, concludersi che l’invocato art. 6, comma 35 della legge n. 13 del 2009 non è applicabile al caso di specie, trattandosi di collaborazione coordinata e continuativa instaurata in data 1 febbraio 2004, in difetto (circostanza del tutto pacifica fra le parti) non solo di progetto, ma anche di contratto scritto, talchè deve dirsi correttamente convertito il rapporto in rapporto subordinato a tempo indeterminato ab initio dovendo, altresì, escludersi la possibilità di applicare alla specie il disposto di cui all’art. 61 comma 1, lett. m) d. lgs. n. 276 del 2003 in considerazione della impossibilità di configurare la F.G.G. quale associazione sportiva dilettantistica.
5. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
6.1. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dì cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 –bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1-bis dello stesso articolo 13), se dovuto.