Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraio 2023, n. 5194
Lavoro, Licenziamento disciplinare, Falsa attestazione della presenza in servizio, Giudizio di gravità della condotta, Rigetto
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 97/2021 del 13 agosto 2021, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Cremona n. 66/2020 che aveva respinto il ricorso di L.E., A., avente ad oggetto il licenziamento disciplinare a quest’ultima intimato dal MIUR in data 4 aprile 2019.
Il provvedimento disciplinare era stato adottato ai sensi dell’art. 55-quater, D.Lgs. 165/2001, e motivato con il fatto – peraltro ammesso dalla stessa interessata – che l’odierna ricorrente nei giorni 8 e 9 maggio 2017 aveva aiutato una collega ad attestare falsamente la propria presenza in ufficio, strisciando il badge di quest’ultima al suo posto.
2. Nel confermare la decisione impugnata, la Corte territoriale, dopo aver sottolineato che la condotta non era contestata nella sua materialità e che parimenti incontestata era la sua riconducibilità all’ipotesi della “falsa attestazione della presenza in servizio” di cui all’art. 55-quater, comma 1, lett. a), D. Lgs. 165/2001, ha: in primo luogo, escluso la sussistenza di prove adeguate circa il fatto che la lavoratrice avesse agito su richiesta della collega assente motivata da un’imprevista necessità di quest’ultima di assistere la propria sorella malata e ritenuto, invece, la sussistenza di indizi che deponevano nel senso del carattere preordinato della condotta, quale il fatto che l’odierna ricorrente avesse la disponibilità del badge della collega; in secondo luogo, affermato che, anche ammettendo la veridicità delle difese della ricorrente, la condotta, in ogni caso, si poneva in contrasto con i doveri stabiliti in primo luogo dall’art. 92, lett. g), del CCNL del comparto scuola 2006-2009; escluso il carattere occasionale della condotta, rammentando che la contestazione disciplinare era scaturita da accertamenti eseguiti a seguito di denunce presentate da altri impiegati amministrativi dello stesso plesso scolastico e che in tali denunce venivano segnalati ulteriori episodi di timbratura non regolare da parte della ricorrente, concludendo, quindi, che le condotte specificamente contestate erano da ritenersi naturale continuazione di un comportamento iniziato mesi prima;
ha, quindi, negato valenza decisiva sia alla sentenza penale di assoluzione della ricorrente, osservando che la stessa era stata pronunciata senza tenere conto delle denunce e della documentazione versata invece nel giudizio civile, sia alla sentenza della Corte dei Conti che aveva ridimensionato la condanna per danno erariale, osservando che la decisione si era fondata anche sulle condizioni di salute della stessa lavoratrice, cui era stata diagnosticata una grave malattia.
3. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Brescia ricorre ora L.E. A..
Resiste con controricorso il MINISTERO DELL’ISTRUZIONE.
Sono invece rimasti intimati sia l’UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE LOMBARDIA, sia l’UFFICIO SCOLASTICO TERRITORIALE – AMBITO TERRITORIALE DI CREMONA UFFICIO VI.
4. Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dall’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, come inserito dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
5. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
6. La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 2119, 1455 c.c.; 55-quater, commi: 1, lett. a), 1-bis e 3, D. Lgs. 165/2001; 12, CCNL Personale Comparto Istruzione e Ricerca per il triennio 2016/2018; 3 e 35 Cost.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la decisione impugnata sarebbe pervenuta alla conferma della decisione di primo grado “con motivazione inadeguata ed argomenti incongrui, contraddittori”, omettendo di esaminare tutti gli elementi concreti che avrebbero dovuto condurre ad una valutazione non astratta ma specifica del caso concreto, in modo da permettere di apprezzare la ridotta gravità soggettiva e oggettiva della condotta ascritta alla ricorrente.
Pe contro, argomenta il ricorso, la decisione impugnata avrebbe espresso -peraltro sulla scorta di elementi fattuali non dimostrati- ad un giudizio di gravità della condotta del tutto astratto, con un effetto di automatismo nell’applicazione della sanzione massima del licenziamento.
Ne sarebbe scaturita -conclude il motivo- anche la violazione dell’art. 3 Cost., essendo stata sanzionata la condotta della ricorrente in misura equivalente alle condotte di altri dipendenti interessati dalla medesima inchiesta e ritenuti responsabili di condotte ben più gravi e reiterate.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 651-bis e 654 c.p.p.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe violato il giudicato sceso sulla penale di assoluzione per particolare tenuità del fatto, giungendo ad affermare la gravità di una condotta che, invece, in sede penale, era stata valutata come di ridotta gravità.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla decisione del giudice penale che ha assolto la ricorrente per tenuità del fatto.
Tale valutazione, argomenta il ricorso, avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale a formulare un ben diverso giudizio di gravità della condotta della ricorrente, escludendo la proporzionalità della sanzione del licenziamento.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per assenza di motivazione in ordine alla mancata ammissione delle istanze istruttorie proposte in primo grado e riproposte in sede di appello.
Il ricorso lamenta il fatto che la Corte territoriale non abbia dato corso alle istanze istruttorie reiterate in appello dalla ricorrente, sebbene la Corte territoriale medesima sia poi giunta a dichiarare non provati i fatti che la stessa ricorrente aveva chiesto di dimostrare mediante le proprie istanze istruttorie.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Molti dei profili sollevati nel motivo, in realtà, sono da ritenersi radicalmente inammissibili.
È il caso delle deduzioni concernenti il fatto che la decisione impugnata si baserebbe su una “motivazione inadeguata ed argomenti incongrui, contraddittori” (pag. 15 del ricorso), deduzioni che esulano non solo dall’ambito dell’art. 360, n. 3), ma anche dal perimetro dell’art. 360, n. 5), atteso che l’attuale formulazione di quest’ultima previsione non consente più censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito, limitandosi il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022 – Rv. 664120 – 01; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018 – Rv. 650880 – 01; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017 – Rv. 645828 – 01).
È il caso, ancora, delle deduzioni in ordine all’assenza di adeguate prove idonee a sorreggere la decisione impugnata ed al suo basarsi su “illazioni” (pag. 20), in quanto tali deduzioni si traducono in un inammissibile sindacato delle valutazioni delle prove operate dalla Corte d’Appello, ponendosi in conflitto con il principio enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, risultando -conseguentemente insindacabile la valutazione in base alla quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019 – Rv. 655229 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004 – Rv. 569765 – 01).
Al di là di tali profili – inammissibili, come si è detto – il motivo di ricorso non riesce concretamente ad evidenziare nell’ambito della motivazione impugnata specifiche affermazioni in diritto contrastanti con il dato normativo, (Cass. Sez. LI – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020 – Rv. 659448 – 01).
Ciò di cui il motivo di ricorso viene a dolersi pare essere, in realtà, una erronea ricognizione della fattispecie concreta, in relazione alla quale, tuttavia, deve rammentarsi che, secondo un principio affermato da questa Corte, non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3), l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa essendo quest’ultima esterna all’esatta interpretazione della norma e – in quanto inerente alla tipica valutazione del giudice di merito- sottratta al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 640 del 14/01/2019 – Rv. 652398 – 01; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 – Rv. 652549 – 02), se non nei ristretti limiti del vizio di motivazione (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n, 24155 del 13/10/2017 – Rv. 645538 – 03).
3. Il secondo motivo è infondato.
Questa Corte, infatti, ha più volte affermato il principio per cui, nel pubblico impiego privatizzato, l’art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass. Sez. L – Sentenza n. 33979 del 17/11/2022 – Rv. 666026 – 01; Cass. Sez. L – Sentenza n. 8410 del 05/04/2018 – Rv. 647660 – 01).
Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha escluso valenza vincolante all’assoluzione dell’odierna ricorrente -peraltro motivata con la particolare tenuità del fatto, e non per non averlo commesso, risultando quindi non smentita la materialità dei fatti medesimi – ed ha operato, come già aveva fatto l’Amministrazione, un’autonoma valutazione dei fatti, giustificata, peraltro, dal fatto che la decisione della Corte territoriale si è venuta a fondare su un corredo probatorio più ampio rispetto a quello che era stato rimesso al giudice penale.
4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Occorre osservare, infatti, che, essendo stato instaurato il giudizio di appello in data 22 dicembre 2020, trova applicazione il disposto di cui all’art. 348-ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha assolto all’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016 – Rv. 643244 – 03; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014 – Rv. 630359 – 01), dovendosi, infine, osservare che il profilo dell’assoluzione in sede penale della ricorrente è stato comunque espressamente e direttamente valutato dalla Corte territoriale
5. Il quarto motivo è, parimenti, inammissibile.
Fermo il principio per cui è di per sé viziata la decisione che sia fondata sull’inosservanza dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 18285 del 25/06/2021 – Rv. 661704 – 01), si osserva, tuttavia, che tale canone deve essere armonizzato con gli ulteriori principi enunciati da questa Corte, in base ai quali:
a) in sede di ricorso per cassazione, qualora il ricorrente intenda lamentare la mancata ammissione da parte del giudice di appello della prova testimoniale -non ammessa in primo grado perché superflua e riproposta in secondo grado- deve dimostrare, a pena di inammissibilità, di aver ribadito la richiesta istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di appello (Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 22883 del 13/09/2019 – Rv. 655094 – 01; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 5741 del 27/02/2019 – Rv. 652770 – 02;
b) il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16214 del 17/06/2019 – Rv. 654713 – 01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5654 del 07/03/2017 – Rv. 643989 – 01);
c) qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017 – Rv. 64575:3 – 01; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19985 del 10/08/2017 – Rv. 645357 – 01).
Ora, nella specie, se si considera che il motivo di ricorso:
a) omette di dedurre di aver riproposto le istanze istruttorie nelle note conclusive scritte che hanno sostituito la discussione orale innanzi alla Corte d’appello;
b) omette di riprodurre al proprio interno la formulazione delle istanze istruttorie di cui si lamenta la mancata ammissione (non riprodotte neppure nelle premesse in fatto riferite al giudizio d’appello: cfr. pagg. 9-10), precludendo in tal modo a questa Corte di operare la valutazione di decisività;
c) omette di considerare che la decisione della Corte bresciana si basa anche su una ratio alternativa ed autosufficiente – costituita dall’affermazione della gravità dei fatti anche ove le deduzioni della ricorrente fossero state provate- tale da privare, conseguentemente, di valenza decisiva le circostanze invocate dalla ricorrente, in virtù del principio per cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012 – Rv. 621882 – 01; Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018 – Rv. 648023 – 01; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011 – Rv. 619427 – 01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006 – Rv. 590852 – 01),
risulta inevitabile concludere che il motivo di ricorso è radicalmente privo dei minimi elementi di consistenza necessari per superare il vaglio di ammissibilità.
6. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo, in favore del Ministero controricorrente.
7. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 – quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.