Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraio 2023, n. 5264
Lavoro, Licenziamento, Patto di prova privo di forma scritta, Indicazione delle mansioni, Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 413/2019, per quello che interessa in questa sede e in riforma della pronuncia del Tribunale di Velletri, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il 29.9.2019 dalla C.F. spa a M.M., dipendente della società dal 5.9.2016 con livello di inquadramento 1S quadro del CCNL industrie alimentari e con mansioni di “Meat Buyer”, per nullità del patto di prova apposto al contratto di assunzione in quanto privo del requisito della forma scritta non contenendo alcuna descrizione delle mansioni oggetto dell’esperimento, nemmeno nella forma del richiamo alle declaratorie della contrattazione collettiva; ha dichiarato estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e ha condannato la società al pagamento della indennità risarcitoria pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.
2. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la C.F. spa affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso M.M..
3. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 23 comma 8 bis del d.l n. 137 del 2020 coordinato con la legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.
4. La ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per avere la sentenza – in modo manifestamente illogico e contraddittorio fino al punto di integrare il vizio di motivazione apparente e/o perplessa e/o obiettivamente incomprensibile – dichiarato l’invalidità del patto di prova per asserita mancata indicazione delle mansioni oggetto di prova.
3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2096 cc e dell’art. 1362 cc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata dichiarato l’invalidità del patto di prova per asserita mancata indicazione delle mansioni quando, invece, era chiaro il ruolo lavorativo che il M. avrebbe dovuto espletare e, cioè, quello di “Meat Buyer”.
4. Il primo motivo non è fondato.
5. In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
6. Inoltre, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/2022).
7. Nel caso di specie, i vizi denunciati non sono ravvisabili, essendo chiaro e argomentato l’iter logico-giuridico seguito dai giudici di seconde cure per giungere alla decisione adottata relativamente alla circostanza che il patto di prova apposto al contratto non soddisfava il requisito della forma scritta non contenendo alcuna descrizione delle mansioni oggetto dell’esperimento, nemmeno nella forma del richiamo alle declaratorie della contrattazione collettiva.
8. Il secondo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
9. E’ inammissibile nella parte in cui viene dedotta la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 cc perché, in tale operazione, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.
Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. n. 17168/2012).
10. La censura, invece, nel caso in esame si risolve unicamente nella prospettazione di una diversa opzione interpretativa e non nella precisazione sulla avvenuta violazione dei criteri letterali e logico-sistematici di ermeneutica contrattuale.
11. Il motivo è, poi, infondato perché la Corte di appello si è attenuta ai consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità secondo cui il patto di prova apposto ad un contratto di lavoro deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, la quale può essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria (Cass. n. 27785/2021; Cass. n. 9597/2017).
12. La semplice individuazione del peculiare profilo lavorativo (nella specie Meat Buyer – addetto all’acquisto di carne) non è sufficiente, come sostiene invece la ricorrente, a desumere le mansioni oggetto del patto di prova perché è una indicazione estremamente generica che non consente un adeguato ed effettivo, seppur limitato, controllo giudiziale sul potere di recesso datoriale nel periodo di prova: potere che, per essere legittimamente esercitato, richiede la conoscenza preventiva delle mansioni dettagliate che il lavoratore dovrà esercitare.
13. Ciò deve essere, come giustamente sottolineato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, in coerenza con la causa del patto di prova individuata nella tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali (Cass. n. 13498/2003; Cass. n. 3451/2000) a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro.
14. La mera indicazione della figura professionale non è, quindi, sufficiente a costituire un valido patto di prova ma occorre la specificazione dei compiti in modo dettagliato onde consentire, nel rispetto degli interessi dei due contraenti, la verifica sostanziale e processuale del contenuto dello stesso.
15. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
16. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.
17. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore del controricorrente dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.