Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 febbraio 2023, n. 5205

Lavoro, Licenziamento collettivo, Comunicazione di cui al comma 9 dell’art. 4 della Legge n. 223/1991, Inclusione nell’elenco dei lavoratori licenziati di alcuni lavoratori poi trasferiti, Completezza informativa della comunicazione di apertura della procedura di mobilità, Rigetto 

 

Rilevato che

 

1. Con la sentenza n. 4422 del 2019 la Corte di Appello di Roma ha rigettato il reclamo di S.F. avverso la sentenza del Tribunale di Roma resa in sede di opposizione all’ordinanza di rigetto del ricorso diretto all’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatole da A.C. s.p.a. in data 22.12.2016, all’esito di procedura di licenziamento collettivo ex artt. 4 e ss. L. 223/1991 avviata con comunicazione del 5.10.2016.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la lavoratrice sulla base di cinque motivi. La Società ha resistito con tempestivo controricorso.

 

Considerato che

 

3. I motivi di ricorso possono essere così sintetizzati.

4. Con il primo motivo si denuncia la falsa applicazione degli artt. 4, comma 9, e 5 della legge n. 223 del 1991 e si deduce l’insufficienza della comunicazione di cui al comma 9 dell’art. 4 in ordine alle modalità di attuazione dei criteri di scelta, nonché la violazione dei criteri di scelta e l’omessa pronuncia sulla circostanza che alcune lavoratrici madri, ricomprese nell’elenco dei lavoratori da licenziare nel termine dei 120 giorni dalla conclusione della procedura, sarebbero in effetti state trasferite, pur avendo un punteggio inferiore alla ricorrente.

5. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 4, commi 3 e 9, nonché dell’art. 5 della legge n. 223 del 1991 e si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare diversi da quelli legali possano essere comunicati sin dalla dichiarazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo. Si sostiene, infatti, che, in tal modo, si finirebbe per far coincidere la procedura di informazione e consultazione con quella di selezione del personale da licenziare, che attengono a momenti diversi anche funzionalmente. In sostanza, si deduce che nella comunicazione ex art. 4 comma 9 l’imprenditore non può limitarsi ad un mero richiamo dei criteri seguiti ma deve indicare le regole di ponderazione degli stessi, così da consentire i controlli della correttezza delle scelte da parte dei lavoratori e poi del giudice. Ragionando diversamente, secondo la ricorrente, si perverrebbe ad una inammissibile individuazione, sin dalla dichiarazione, dei lavoratori da licenziare. La lavoratrice insiste perciò nel ritenere che l’ambito entro il quale deve essere operata la scelta, in via generale, è l’intero complesso aziendale, salvo l’accordo sindacale ovvero una razionale diversa riduzione del contesto illustrata nella comunicazione di cui al comma 9 dell’art. 4.

6. Con il terzo motivo, si denuncia – sul presupposto dell’incompletezza della dichiarazione di avvio della procedura, che non conterrebbe tutte le informazioni sui trasferimenti, sugli esuberi sul territorio nazionale e sugli strumenti di integrazione salariale alternativi al licenziamento – la inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata, che avrebbe omesso di prendere in considerazione tale incompletezza, con violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cpc e 118 disp. att. e conseguente nullità della sentenza. Si denuncia inoltre che l’appello sarebbe stato male interpretato e non sarebbe stato esaminato nella sua interezza.

7. Con il quarto motivo la ricorrente censura la ulteriore violazione dell’art. 4 comma 9 della legge 223/1991 con riferimento all’inclusione nell’elenco dei lavoratori licenziati di alcuni lavoratori poi trasferiti.

8. Con il quinto motivo, infine, si denuncia la falsa applicazione dell’art. 5 comma 1 della legge n. 223 del 1991 e deduce che i criteri di scelta sarebbero illogici e contraddittori e che il licenziamento sarebbe stato disposto verso la classe di lavoratori con maggiore anzianità di servizio e costo aziendale.

9. Va preliminarmente rilevato che questa Corte si è già espressa sulla legittimità della procedura collettiva ex lege n. 223/1991, attivata da A.C. s.p.a. con comunicazione in data 5 ottobre 2016 (ex plurimis Cass. n. 12044/2021, 14677/2021; Cass. 15124/20121, 15123/2021, 14673/2021, 12040/2021, 12041/2021, 12042/2021, 6499/2022, 34023/2021); in tali pronunzie, fra le quali, anche ai fini dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. si richiamano Cass. n. 15123/2021 e Cass. n. 12040/2021, le medesime questioni oggetto del presente ricorso per cassazione sono state scrutinate e respinte sulla base di argomentazioni integralmente condivise dal Collegio con orientamento al quale si ritiene di dare continuità non essendo state prospettata ragioni che inducano a rivedere l’orientamento espresso.

10. Nei precedenti richiamati i giudici di legittimità hanno premesso, con argomentazione integralmente condivisa da questo Collegio, che per principio consolidato la cessazione dell’attività è scelta dell’imprenditore, espressione dell’esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. n. 29936/2008) e che la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi che ne derivino, secondo le regole dettate per il collocamento dei lavoratori in mobilità dall’art. 4 I. 223/1991, applicabili per effetto dell’art. 24 della stessa legge, ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività di tale scelta (Cass. n. 22366/2019, n. 5700/2004) con un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, controllo devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda; sicché, i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione (compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso): con la conseguente inammissibilità, in sede giudiziaria, di censure intese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, che investano l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 6 ottobre 30550/18).

11. In applicazione di tali principi sono state respinte le censure che investivano sotto vari profili la legittimità della complessiva operazione posta in essere da A.C.. s.p.a.; questa, dopo una prima procedura, avviata con la comunicazione del 21 marzo 2016, riguardante 2.988 lavoratori in esubero dislocati presso le sedi di Palermo, Roma e Napoli e revocata per accordo con le organizzazioni sindacali il 31 maggio 2016, ha aperto la procedura in esame, a seguito di un peggioramento della crisi nei siti di Roma e Napoli; nella comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016, ha illustrato le ragioni che rendevano necessario il licenziamento di 1.666 lavoratori delle Divisioni 1 e 2 di Roma e di tutti gli 845 dell’unità produttiva di Napoli, con applicazione dei criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei predetti siti interessati dagli esuberi: così limitandone la platea alle due divisioni romane e all’unità produttiva partenopea e applicando i criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti.

12. Tanto premesso, in relazione ai singoli profili di censura proposti con i motivi del presente ricorso per cassazione – trattati unitariamente per evidente reciproca connessione – si osserva quanto segue.

13. Le doglianze intese a contestare la valutazione di completezza della comunicazione ex art. 4, comma 3, I. n. 223/1991, sono infondate. La Corte di appello ha accertato la esaustività e completezza della comunicazione di apertura della procedura di mobilità ritenendo che la stessa soddisfacesse gli obblighi informativi di legge anche, in particolare, con riferimento alla questione dei trasferimenti ed alla vacanza di posti disponibili presso altre sedi della società (sentenza, pag. 4 e sgg.), sulla scorta di argomentazione congrua e articolata, a sostegno di un’interpretazione assolutamente plausibile, riservata esclusivamente al giudice di merito, assolutamente plausibile (Cass. n. 19044/2010, n. 4178/2007), neppure censurata con indicazione dei canoni interpretativi violati, né tanto meno di specificazione delle ragioni né del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. n. 15350/2017, n. 13717/2006), così contestando il risultato interpretativo in sé (Cass. n. 10891/2016, n. 2465/2015), pertanto insindacabile in sede di legittimità.

14. Quanto alla dedotta individuazione, già in sede di comunicazione di apertura, dei dipendenti destinatari del licenziamento, per il tramite della comunicazione di apertura, va rilevato che tale situazione è ravvisabile nell’ipotesi, qui non ricorrente, di una comunicazione datoriale contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le relative qualifiche, un semplice cenno a precedenti incontri con le organizzazioni sindacali, solo marginalmente relativi ai motivi tecnici della necessaria riduzione, in violazione delle dettagliate prescrizioni, funzionali alla valutazione da parte sindacale dell’opportunità di chiedere l’esame congiunto della situazione e dei possibili rimedi (Cass. n. 24116/2004, n. 10716/1997).

15. I superiori rilievi escludono che la Corte territoriale sia incorsa nella denunziata violazione dell’obbligo di motivazione posto che le ragioni che sorreggono la valutazione di completezza informativa della comunicazione di apertura della procedura di mobilità sono del tutto percepibili nei loro presupposti fattuali e giuridici. Il giudice del reclamo, infatti, ha rapportato espressamente i contenuti di tale comunicazione alle finalità informative cui per legge essa è preordinata dando contezza, con argomentazioni congrue e logiche – anche in relazione alla eventuale prefigurazione di possibili trasferimenti ed alle azioni di efficientamento adottate per la sede di Palermo-, argomentazioni sottratte pertanto al controllo di legittimità, delle conclusioni attinte, espressione di attività valutativa a lui riservata; in particolare ha espressamente considerato sufficienti i riferimenti alle vicende relative alla sede di Palermo.

16. le ulteriori deduzioni fondate su circostanze di fatto quali ad es. i punteggi assegnati in graduatoria, il mantenimento in servizio delle lavoratrici madri ecc. sono inammissibili in quanto, a fronte delle argomentazioni della Corte territoriale sulle vicende delle lavoratrici madri (ove si dice che nella comunicazione ex comma 9 art. 4 legge n. 223/1991 era specificato che alla data del 27.12.2016 erano presenti nella sede di Roma 44 lavoratrici interessate dal divieto ex art. 54 d.lgs. n. 151/2001 individuate chiaramente, delle quali 19 cessavano il periodo di tutela nell’arco dei 120 giorni successivi al 27.12.2016 e, pertanto, la società avrebbe risolto il rapporto nell’arco temporale indicato) non é chiarito, negli atti dei giudizi di merito, la cornice giuridica nelle quale le deduzioni medesime erano state inquadrate, adempimento indispensabile al fine di comprendere la reale portata delle doglianze e soprattutto di verificarne la decisività.

17. Quanto alla limitazione della platea degli esuberi a singole unità produttive (per quel che qui interessa: le due divisioni romane), anziché in riferimento all’intero complesso aziendale, occorre premettere che la Corte di appello ha ritenuto legittima tale delimitazione in considerazione dell’ambito del progetto di ristrutturazione aziendale e delle ragioni tecnico-produttive esposte nella comunicazioni iniziale, ed evidenziato che l’art. 5 comma 1 I. n. 223/1991, prima di imporre l’osservanza dei criteri di scelta, richiama le esigenze tecnico- produttive ed organizzative quale criterio per valutare il nesso di causalità tra la decisione dell’imprenditore di ridurre il personale e quella di licenziare i lavoratori entro un determinato ambito aziendale; in tale verifica giocava un ruolo anche la distanza geografica tra le unità produttive soppresse o ridimensionate e le altre unità, ritenuta espressione di un indice di infungibilità delle posizioni lavorative, tale da legittimare e rendere ragionevole la delimitazione della platea dei licenziandi alle sole unità nei quali si era verificata la situazione di crisi denunziata nella comunicazione ex art. 4, comma 3, I. n. 223/1991; la comunicazione di apertura della procedura aveva, infatti, analiticamente indicato le ragioni che non consentivano di estendere l’ambito della comparazione al personale con mansioni omogenee impiegato presso unità produttive non toccate dal progetto di ristrutturazione e ridimensionamento aziendale – limitato alle unità produttive di Roma e Napoli-; tali ragioni rendevano senz’altro giustificata la scelta operata tenuto conto che il potenziale coinvolgimento di tutti i dipendenti con mansioni omogenee avrebbe richiesto ulteriori esborsi collegati agli oneri economici necessari per la formazione, indispensabile e rallentato i tempi di produttività.

18. Tale valutazione, frutto di attività riservata al giudice di merito, si sottrae a tutte le censure articolate dall’odierno ricorrente in quanto, conforme parametri normativi di riferimento elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi o con accordi sindacali, ovvero, in mancanza, dei criteri, tra loro concorrenti, dei carichi di famiglia, di anzianità e (nuovamente) delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative (art. 5 I. 223/1991) e la delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, terzo comma, quando cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta (Cass. 32387/2019, n. 22178/2018, n. 4678/2015); in particolare è stata ritenuta la legittima limitazione della platea dei lavoratori interessati in caso di progetto di ristrutturazione aziendale riferito in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, agli addetti ad essi sulla base soltanto di oggettive esigenze aziendali, purché siano dotati di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle altre (Cass. 32387/2019, cit., n. 19105/2017, n. 203/2015, n. 17177/2013).

19. Nel caso di specie, la Corte d’appello, con argomentazione congrua, articolata e attenta ad ogni sviluppo della fase negoziale (così risultando la sua interpretazione insindacabile in sede di legittimità, per le ragioni più sopra illustrate in riferimento alla comunicazione di apertura), ha accertato riferimento alla comunicazione di apertura), ha accertato la conclusione di un accordo della società datrice con le organizzazioni sindacali sulla limitazione di applicazione dei criteri legali alle sole sedi da sopprimere di Roma e di Napoli, in corrispondenza con quanto comunicato nella lettera di apertura. E ciò in applicazione del principio, secondo la previsione degli artt. 5 e 24 della legge 223/1991 (in base ai quali i criteri di selezione del personale da licenziare, ove non predeterminati secondo uno specifico ordine stabilito da accordi collettivi, devono essere osservati in concorso tra loro), il quale, se impone al datore di lavoro una loro valutazione globale, non esclude tuttavia che il risultato comparativo possa essere quello di accordare prevalenza ad uno e, in particolare, alle esigenze tecnico-produttive, essendo questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione del personale: sempre che naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie (Cass. 19 maggio 2006, n. 11886). Inoltre, la corte d’appello ha ritenuto che tale accordo non sia discriminatorio, né contrario a ragionevolezza (Cass. 20 marzo 2013, n. 6959). Comunque, la Corte di merito ha giudicato legittima la delimitazione alle unità produttive di Roma e di Napoli della platea dei lavoratori da licenziare in quanto coerente con le ragioni esposte nella comunicazione di apertura ed in particolare con le esigenze tecnico produttive che ne costituivano il sostrato nonché frutto di una scelta improntata a criteri di ragionevolezza e congruità fondata su fattori obiettivi riconducibili in sintesi agli insostenibili costi e tempi richiesti dal coinvolgimento nella procedura collettiva di tutto il personale di A.C..

20. Ogni altra questione è evidentemente assorbita in base ai rilievi finora svolti e ai precedenti di questa Corte richiamati ai sensi dell’art. 118 disp. att. cpc.

21. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto con regolamento delle spese di lite secondo soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. Sez. Un. n. 23535/2019).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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