Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 febbraio 2023, n. 4830

Lavoro, Antisindacalità della condotta datoriale, Fruizione dei permessi sindacali, Disciplina dei permessi applicabile al rapporto con la FAISA CISAL, Prassi aziendale modificativa dei precedenti accordi, Inammissibilità

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Trento, in accoglimento del ricorso proposto da Faisa Cisal Federazione Autonoma Italiana Sindacale Autoferrotranvieri, Federazione Provinciale di Trento, accertata la antisindacalità della condotta di T.T. s.p.a., consistita nella non applicazione dei permessi per i dirigenti sindacali territoriali nei rapporti con la ricorrente, ne ha ordinato la immediata cessazione. Ha quindi accertato il diritto di Faisa Cisal ad usufruire dei permessi sindacali per i dirigenti territoriali secondo il sistema di ripartizione del monte ore di cui alle lettere a) b) c) d) del comma 6 dell’accordo nazionale del 28 novembre 2015, in applicazione delle percentuali previste dal comma (5.6 dell’art. 8 dell’accordo medesimo, ed ha condannato la società convenuta al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

2. La Corte territoriale ha accertato che dal 2003 esisteva un doppio regime di regolamentazione della determinazione dei permessi sindacali con genesi e contenuti diversi e che con riguardo a Faisa Cisal, mancando uno specifico accordo, la regolamentazione era direttamente ricavabile dal c.c.n.l. all’epoca vigente, unilateralmente applicato dalla società senza modificazioni fino al 2009-2010 e comunque, in mancanza di accordi anche successivi con la sigla sindacale ricorrente, anche per il periodo successivo. 2.1. Il giudice di appello ha poi escluso che tra le parti si fosse consolidato un uso derogatorio alla disciplina collettiva. Ha accertato che dal 2015 la disciplina collettiva previgente era stata abrogata ed era sopravvenuto l’accordo nazionale che, all’art. 8 par. 6.6., stabiliva un meccanismo di calcolo del monte ore che, tenendo conto della rappresentatività aziendale, attribuiva a Faisa Cisal un numero di ore di permessi significativamente superiore rispetto a quello determinato dall’azienda che continuava ad applicate l’accordo del 29.7.1998. Pertanto, ha ritenuto che il diniego di applicazione del nuovo accordo nazionale integrasse una condotta antisindacale.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la T.T. s.p.a. affidato a tre motivi. La FAISA CISAL Federazione Provinciale di Trento ha resistito con controricorso ed ha depositato anche memoria illustrativa.

 

Considerato che

 

4. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 27 c.c.n.l. come modificato dall’art. 18 dell’accordo Nazionale dell’11 aprile 1995 e dall’accordo nazionale 29 luglio 1998, dell’art. 30 dello Statuto dei lavoratori, dell’accordo nazionale 25 marzo 2003 e dell’art. 8 dell’accordo nazionale 28 novembre 2015 quanto all’esistenza di un doppio regime per l’attribuzione dei permessi spettanti alle organizzazioni sindacali FILT CGIL, FIT CISL UIL e FAISA CISAL e comunque quanto al regime permessi sindacali applicato in azienda ex art. 30 dello Statuto dei lavoratori.

4.1. Ad avviso della ricorrente, alla luce degli accordi vigenti, dell’accordo orale intervenuto con FAISA CISAL e sulla base della prassi aziendale consolidatasi, il giudice di appello avrebbe erroneamente escluso che il monte ore dei permessi sindacali era il frutto di una trattativa tra le parti sfociata, con FAISA CISAL, in un accordo separato non sussumibile in quello raggiunto in sede nazionale che riguardava tutte le organizzazioni sindacali.

5. Il motivo è inammissibile.

5.1. La Corte territoriale ha motivatamente chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto che gli accordi sulla rideterrninazione dei permessi sindacali non fossero applicabili alla FAISA CISAL. A tale convincimento è pervenuta in esito ad un esame esaustivo delle prove raccolte e dopo aver individuato quale fosse nel tempo la disciplina collettiva applicabile. Nel far ciò il giudice di appello ha tenuto conto delle testimonianze raccolte chiarendo motivatamente le ragioni per le quali alcune contraddizioni pur evidenziate dovevano ritenersi superate. Solo all’esito di tale complessa ricostruzione la Corte territoriale è pervenuta al convincimento che l’associazione sindacale FAISA-CISAL era rimasta estranea alla contrattazione ed al perfezionamento di accordi, scritti o verbali, raggiunti con altre sigle sindacali per la determinazione del monte ore dei permessi.

5.2. Con la censura che qui si esamina, pur denunciandosi la violazione di legge e del contratto collettivo, si propone una lettura delle norme collettive applicabili che si contrappone a quella data dalla Corte di appello senza che ne siano evidenziati specifici vizi. Piuttosto si pretende dal Collegio una diversa rivalutazione dei fatti che non è consentita.

6. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata “la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 dell’accordo nazionale del 28 novembre 2015, non avendo la Corte di appello trentina negato l’applicazione del suddetto sistema di distribuzione dei permessi sindacali (…) pur in presenza della condizione ostativa dell’art. 8 comma 6.2 dell’accordo nazionale 28.11.2015 quanto all’esistenza di una prassi aziendale”.

6.1. Inoltre, denuncia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame di un punto decisivo per aver la Corte trascurato di considerare che nell’applicazione dei permessi a FAISA CISAL, al momento dell’applicazione dell’accordo del 2015, la fruizione dei permessi ex art. 30 dello Statuto era disciplinata da prassi aziendali. La ricorrente insiste nel ritenere che tra le parti si era consolidata una prassi, se non addirittura un accordo intervenuto tra le parti in forma orale. Sotto altro profilo deduce poi che la Corte avrebbe trascurato di verificare se tra le parti era intercorso un comportamento tale da dare vita ad un accordo sindacale o ad una prassi aziendale avendo solo verificato l’inesistenza di un uso. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare che, nella fase genetica ed in quella funzionale della regolamentazione dei rapporti con FAISA CISAL, la società aveva adottato comportamenti rivelatori di un accordo aziendale sottoscritto in forma orale, quantomeno per fatti concludenti.

7. Anche questo motivo è inammissibile.

7.1. La Corte di appello ha motivatamente chiarito le ragioni per le quali alla FAISA CISAL non fossero applicabili gli accordi aziendali conclusi con le altre sigle sindacali. Ha ricostruito il quadro normativo applicabile, ha escluso che tra le parti fosse mai intervenuto un accordo, scritto o orale.

Ha accertato quale fosse in concreto la disciplina dei permessi applicabile al rapporto con la FAISA CISAL ed ha escluso che vi fosse stata una tacita accettazione dei criteri di computo dei permessi scaturiti da accordi con sigle sindacali diverse seppur unilateralmente, in concreto, applicate anche alla FAISA CISAL. In sostanza ha escluso l’esistenza di una prassi aziendale modificativa dei precedenti accordi. Così facendo, con accertamento di fatto a lei riservato, qui non censurabile, ha escluso che la condotta aziendale ripetuta fosse un comportamento sufficientemente concludente per poter ritenere che vi fosse stata una adesione implicita di entrambe le parti all’accordo che la sigla sindacale non aveva mai ritenuto di sottoscrivere (arg. ex Cass. 06/04/2005 n. 7115 e 10/07/2018 n. 18153 con riguardo alle c.d. ipotesi di accordo). Ancora una volta si chiede alla Corte di procedere ad un diverso apprezzamento delle prove acquisite in giudizio al fine di asseverare l’esistenza di una prassi invece motivatamente esclusa dal giudice di secondo grado e di ritenere provata l’esistenza tra le parti di un accordo, seppur orale, sui permessi che, ancora una volta, è stato ritenuto insussistente con un apprezzamento di fatto delle prove qui censurabile solo nei ristretti limiti del vizio di motivazione. Peraltro, la sentenza impugnata non ha affatto trascurato di esaminare i fatti dai quali la ricorrente pretende di desumere l’esistenza della dedotta prassi sicché anche per tale profilo la censura è inammissibile.

8. L’ultimo motivo di ricorso con il quale si deduce, in via subordinata, la violazione ed errata applicazione dei commi 6, 6-2 e 6.6 dell’art. 8 dell’accordo del 28.11.2015 e si evidenzia che l’art. 8 del c.c.n.l. del 28.11.2015 al comma 6.2. stabilisce che il monte ore calcolato secondo i criteri di cui al comma 6 sarebbe valido solo per le aziende di nuova istituzione o come termine per la comparazione con il monte ore degli accordi aziendali in essere, è anch’esso inammissibile poiché pone per la prima volta davanti a questa Corte una questione che non risulta, dalla lettura della sentenza e del ricorso per cassazione, essere mai stata sollevata nei precedenti gradi di merito.

9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma bis del citato d.P. R., se dovuto.

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