Il patto di prova apposto al contratto di assunzione che non contenga alcuna descrizione delle mansioni oggetto dell’esperimento è nullo.
Nota a Cass. 20 febbraio 2023, n. 5264
Flavia Durval
“Il patto di prova apposto ad un contratto di lavoro deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, la quale può essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria”.
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (20 febbraio 2023, n. 5264; conf. Cass. n. 27785/2021 e Cass. n. 9597/2017).
La Corte precisa che non è sufficiente la semplice individuazione del peculiare profilo lavorativo (nella fattispecie “Meat Buyer – addetto all’acquisto di carne”) per identificare le mansioni oggetto del patto di prova. Tale indicazione, infatti, è “estremamente generica” e “non consente un adeguato ed effettivo, seppur limitato, controllo giudiziale sul potere di recesso datoriale nel periodo di prova: potere che, per essere legittimamente esercitato, richiede la conoscenza preventiva delle mansioni dettagliate che il lavoratore dovrà esercitare”.
Tali affermazioni appaiono coerenti con la causa del patto di prova consistente, come noto, nella tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro (v. Cass. n. 13498/2003; Cass. n. 3451/2000).
Pertanto, non basta la mera indicazione della figura professionale per configurare un valido patto di prova, occorrendo, invece, specificare dettagliatamente i compiti assegnati al lavoratore al fine di consentire la verifica sostanziale e processuale del contenuto del patto stesso, nel rispetto degli interessi di entrambi i contraenti.