Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 marzo 2023, n. 6584
Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Minaccia nei confronti del titolare del potere disciplinare, Ammissibilità nel nostro ordinamento di prove atipiche, Insubordinazione, Rigetto
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la impugnazione del licenziamento per giusta causa intimato da S.L. in data 13.4.2016 a M.S., guardia giurata, ed ha condannato quest’ultimo alla restituzione in favore della datrice di lavoro della somma di € 12.480,00, percepita in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi dalla data del pagamento;
1.1. la contestazione alla base dei recesso datoriale imputava al dipendente che il giorno 17.3.2016, dopo essere stato ascoltato dall’Amministratore delegato della società in sede di presentazioni delle giustificazioni in relazione ad altra contestazione disciplinare, era uscito sul piazzale dell’azienda ed in preda all’ira aveva estratto la pistola dalla fondina e “scarrellando” aveva detto, con riferimento all’Amministratore delegato della società, “quel pezzo di m… si è riservato di pronunciare la sanzione disciplinare; dovevo farlo prima e mettergliela sotto al naso così sentiva la puzza di c … e la cosa sarebbe finita lì” ;
1.2. la Corte territoriale all’esito dell’esame degli atti di causa ( relazioni di servizio, dichiarazioni rese in sede di s.i.t. nel corso di indagini preliminari e deposizioni testimoniali), ha ritenuto essere evidente che le espressioni richiamate erano state profferite all’indirizzo dell’amministratore della società e reputato il fatto di obiettiva gravità per il suo contenuto di minaccia nei confronti del titolare del potere disciplinare e per la pericolosità della condotta tenuta dal dipendente, consistita nell’avere, senza motivo ed in presenza di colleghi, estratto dalla fondina la pistola, armata e potenzialmente idonea allo sparo, in violazione di semplici ed intuitive regole di cautela;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.S. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso illustrato con memoria;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 111, comma 2, Cost. e 116 cod. proc. civ. censurando la complessiva valutazione del materiale istruttorio e l’utilizzazione di prove non assunte nel contraddittorio delle parti;
2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 18 legge n. 300/1970, dell’art. 101 c.c.n.l. e degli artt. 2104, 2106 e 2119 cod. civ.; sul presupposto che doveva ritenersi incontrovertibile alla luce della lettera di licenziamento che le ragioni a base del recesso datoriale non concernevano le condotte tenute il giorno 17 marzo 2016 ma lo stato emotivo e psicologico del S., ritenuto incompatibile con l’espletamento dell’attività di guardia giurata, lamenta il mancato espletamento di istruttoria sul punto; si duole, inoltre, dell’applicazione della sanzione espulsiva pur a fronte di previsioni collettive che puniscono con sanzioni conservative condotte più gravi di quella addebitata; deduce, inoltre, che secondo il giudice di legittimità, al fine della configurazione di una condotta di insubordinazione, occorre che al rifiuto di adempimento si correli un comportamento suscettibile di arrecare pregiudizio alla esecuzione ed al corretto svolgimento delle disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale, pregiudizio nello specifico insussistente;
3. con il terzo motivo deduce omessa ed insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio censurando la mancata verifica dell’applicabilità di sanzioni conservative; denunzia inoltre manifesta illogicità di motivazione per avere la sentenza impugnata ravvisato nella condotta del dipendente l’intenzione di minacciare l’amministratore delegato della società, in contrasto con le concrete modalità di svolgimento del fatto avvenuto sul piazzale esterno dell’azienda;
4. il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto le censure veicolate attraverso la deduzione di violazione dell’art. 111 Cost. , si sostanziano nella diretta richiesta di un rinnovato apprezzamento del materiale probatorio, inammissibile in sede di legittimità; come chiarito dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente;
l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. , tra le altre, Cass. n. 7007/2015, Cass. n. 7921/2011, Cass. n. 15693/2004), fermo restando che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16467/2017, Cass. n. 1111/2014, Cass. n. 42/2009);
4.1. priva di pregio è l’ulteriore censura che ascrive alla sentenza impugnata la valorizzazione di prove asseritamente inutilizzabili in quanto rivenienti dal procedimento penale a carico del S. per il medesimo fatto, attesa la generale ammissibilità nel nostro ordinamento di prove atipiche, (v. Cass. n. 25978/2018, Cass. n. 28974/2017, Cass. n. 840/2015); come chiarito da questa Corte la categoria dell’inutilizzabilità prevista ex art. 191 cod. proc. pen. in ambito penale non rileva in quello civile, nel quale le prove atipiche sono comunque ammissibili, nonostante siano state assunte in un diverso processo in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili, poiché il contraddittorio è assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova nel giudizio. Cass. n. 8459 /2020);
5. il secondo motivo di ricorso risulta inammissibile; la questione della corretta identificazione dell’oggetto dell’addebito (se legato o meno a profili attinenti a stati emotivi e psicologici o concernente la sola condotta tenuta sul piazzale dell’azienda) non è stata affrontata dalla Corte di merito in quanto la sentenza impugnata ha mostrato di ritenere che il fatto oggetto di addebito fosse costituito dall’episodio avvenuto sul piazzale dell’azienda; tanto premesso, al fine di sottrarsi alla sanzione di inammissibilità per violazione del divieto di novum costituiva onere di parte ricorrente dimostrare la rituale allegazione e deduzione della questione dinanzi al giudice di merito (Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 15430/2018, Cass. n. 23675/2013), come, viceversa, non avvenuto (v. in particolare ricorso, pag. 20 e sg . sui motivi di appello);
5.1. la censura che denunzia errata applicazione della nozione di insubordinazione in relazione alla connessa necessità del verificarsi di un pregiudizio per la società datrice di lavoro, non si confronta con le effettive ragioni della decisione nella quale la valutazione di gravità della condotta non concerne solo il profilo di ribellione all’autorità datoriale titolare del potere disciplinare, ma risulta specificamente collegata alle particolari modalità con le quali si è estrinsecata la condotta addebitata, da ritenersi particolarmente pericolose e minacciose in quanto accompagnate dall’estrazione dalla fondina di un’arma caricata;
6. il terzo motivo di ricorso è inammissibile per l’assoluta genericità delle deduzioni articolate, in contrasto con il principio di tassatività dei motivi di ricorso per cassazione; le doglianze formulate non appaiono infatti già prima facie riconducibili all’attuale configurazione del vizio di motivazione che esige l’omesso esame di un fatto, nel senso di fatto storico fenomenico, di carattere decisivo, oggetto di discussione tra le parti (v. per tutte Cass. Sez. Un. n. 5093/2014); anche la censura che denunzia vizio di illogicità della sentenza per avere ritenuto l’intento di S. di minacciare ed ingiuriare l’amministratore delegato della società nonostante l’episodio si fosse svolto non all’interno dei locali dell’azienda ma sul piazzale esterno, risulta infondata in quanto si risolve in una lettura meramente contrappositiva delle conclusioni attinte dal giudice di merito sulla base degli atti e documenti di causa, senza confrontarsi con il complessivo ragionamento decisorio della Carte di merito in relazione ai plurimi elementi considerati;
7. in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto;
8. le spese di lite sono regolate secondo soccombenza nella misura di cui al dispositivo;
9. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dell’ art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535 del 2019);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.