Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2023, n. 6953
Lavoro, Assegni al nucleo familiare, Allegazione del modello CUD, Prova del requisito reddituale del complessivo nucleo familiare, Reddito familiare del lavoratore extracomunitario, Rigetto
Fatti di causa
La Corte d’appello di Bologna, a conferma della pronuncia del Tribunale di Forlì, ha rigettato la domanda di N.M. diretta a ottenere il riconoscimento del diritto agli assegni al nucleo familiare, essendo giunta alla conclusione che il richiedente non avesse provato in giudizio il possesso del requisito reddituale in misura non inferiore al 70% del reddito complessivo del gruppo familiare (art. 2, co.10 del d.I. n. 69 del 1988), non essendo idonea, la sola allegazione del modello CUD, relativo al reddito percepito dal solo richiedente, ad assolvere l’onere di provare l’entità dei redditi del complessivo nucleo familiare.
La cassazione della sentenza è domandata da N.M. sulla base di un motivo unico.
L’INPS ha depositato controricorso, illustrato da successiva memoria, che la Cancelleria attesta essere stata depositata ed accettata in data 9 gennaio 2023.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Il motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod.proc. civ., contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art.2 L. n. 153 1988 e art. 12 preleggi nell’aver erroneamente interpretato la normativa italiana in merito ai requisiti richiesti dal legislatore per poter accedere alla provvidenza A (…) – Violazione e falsa applicazione dei principi di diritto disposti dalla Direttiva comunitaria (direttamente applicabile e self executing) n. 2003/109/CE ed enunciati nella sentenza della CGUE resa in data 25.11.2020 nella causa “INPS VS V.R.” n. C-303/2019/CE nell’aver richiesto al ricorrente, titolare di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, la produzione di una autocertificazione dei redditi prodotti dal nucleo familiare, non prevista dalla norma in materia di A (…) L. n. 153/1998 (ndr L. n. 153/1988)”.
La censura si appunta sull’erronea statuizione del giudice circa il mancato raggiungimento della prova del requisito reddituale del complessivo nucleo familiare da parte di N.M.
A tal uopo il ricorrente si appella alla normativa europea per dedurre la violazione del diritto di parità di trattamento, che renderebbe, a suo avviso, legittima la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte europea di giustizia, in quanto il disposto di cui all’art. 2, co.9 del d.l. n. 69 del 1988, convertito nella I. n. 153 del 1988 precluderebbe ingiustificatamente al lavoratore extraeuropeo residente in Italia e con permesso di lungo soggiorno, di provare in giudizio la sussistenza del requisito reddituale richiesto dalla legge.
Secondo la prospettazione, il requisito reddituale dei componenti il nucleo familiare – per i cittadini extracomunitari residenti in Italia e titolari di permesso di lungo soggiorno – dovrebbe ritenersi provato attraverso l’allegazione in giudizio del solo modello CUD, attestante il reddito percepito in Italia dal richiedente.
Il motivo non merita accoglimento.
La I. n. 153 del 1988, nell’ambito di una riforma delle prestazioni a tutela della famiglia, ha introdotto l’istituto degli assegni al nucleo familiare.
La legge ha fissato taluni presupposti per la titolarità del diritto, fra cui innanzitutto la condizione di lavoratore del richiedente, in servizio o in pensione. La misura è, dunque, riservata ai percettori di un reddito da lavoro, da pensione o da altra misura previdenziale scaturente da prestazione lavorativa.
Sempre con riferimento al reddito, la legge ha stabilito che l’assegno non spetta qualora la somma degli emolumenti percepiti dall’intero nucleo familiare sia inferiore al 70% del reddito complessivo del nucleo stesso (art. 2, co. 10 del d.l. n. 69 del 1988). L’assegno al nucleo familiare, in sostanziale discontinuità rispetto alle misure precedenti, quali ad esempio l’assegno familiare, si riferisce al reddito familiare considerato nel suo complesso, costituito, cioè, dalla somma di quanto apportato da ciascuno dei suoi componenti alla condizione economica della famiglia, ai fini del raggiungimento della soglia reddituale che dà diritto alla prestazione.
Il reddito così individuato è costituito dall’ammontare dei redditi complessivi, assoggettabili all’IRPEF, conseguiti nell’anno solare precedente il 1 luglio di ciascun anno ed ha valore per la corresponsione dell’assegno fino al 30 giugno dell’anno successivo.
Quanto ai membri della famiglia cui riferirsi, va considerato che il paradigma preso a riferimento dal legislatore è quello della famiglia-tipo, rappresentato da una struttura elementare, composta dai due coniugi e dai relativi figli minori di età, o anche maggiori qualora si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un lavoro remunerato.
I soggetti inclusi nel nucleo familiare hanno diritto all’assegno anche se non conviventi e non a carico del richiedente per avere entrate proprie.
Calcolo del reddito familiare nella sua globalità e tramonto del requisito della “vivenza a carico” – pilastro delle precedenti “prestazioni familiari” – costituiscono per il legislatore ineludibili punti di passaggio per giungere al riconoscimento dell’apporto economico della famiglia intesa quale soggetto autonomo di riferimento, distinto dal singolo componente, produttore di reddito da lavoro.
In tal senso si spiega perché la legge stessa preveda che l’importo dell’assegno vada calcolato in base alla situazione reddituale dichiarata dal richiedente, rapportata alla consistenza effettiva del nucleo familiare documentata dallo stato di famiglia.
La prestazione è erogata unitariamente, a beneficio dell’intero nucleo, ed ha struttura modulare: nel senso che una crescita progressiva del nucleo familiare ne comporta l’incremento, così come, a parità (anche) di suoi appartenenti, una crescita di reddito ne comporta la diminuzione.
Venendo ora ai lavoratori migranti in ambito europeo, la regola generale è che ad essi va esteso il trattamento in questione in base alla legge del luogo in cui si svolge la prestazione, anche se i familiari beneficiari risiedono altrove (art.73, reg. CE n.1408/1971).
Essendo prevista in questi termini – esattamente per motivi egualitari – la loro partecipazione all’intervento di tutela della famiglia da parte dello Stato ove gli stessi soggiornano, priva di pregio è la prospettazione del ricorrente, secondo la quale l’individuazione del reddito familiare del lavoratore extracomunitario debba basarsi unicamente sull’allegazione del modello CUD il quale certifica il solo reddito del richiedente, per l’oggettiva difficoltà di dimostrare il reddito del nucleo familiare.
Una siffatta conclusione snaturerebbe, di fatto, la funzione dell’assegno al nucleo familiare così come il nostro legislatore ha inteso delinearla, nel senso cioè di rappresentare una misura rivolta non già all’integrazione economica della retribuzione del capofamiglia considerata insufficiente in via presuntiva, bensì all’introduzione di un beneficio in favore del nucleo familiare in relazione a un accertamento in concreto del reale fabbisogno della famiglia, riferito al rapporto tra il numero dei componenti il nucleo e l’ammontare del reddito complessivo dello stesso (cfr., per tutte, Cass., n. 4419 del 2000).
Quanto alla prova circa il possesso del requisito reddituale del nucleo familiare, a norma del comma 9 dell’art. 2 del d.l. n. 69 del 1988, essa deve essere fornita dal richiedente (Cass. n. 16710 del 2022; Cass. n. 8973 del 2014) attraverso un’attestazione la quale, pur se non sottoponibile ad autenticazione, è sanzionabile, anche penalmente, a norma dell’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000.
La parte invoca il vizio di violazione di legge, là dove la questione attiene alla mancata dimostrazione del reddito percepito dal nucleo familiare e, pur se dal motivo di censura si evince che la parte ritenga di avere ottemperato all’onere della prova allegando il solo modello CUD, ciò non è sufficiente a giustificare l’adempimento dell’onere probatorio gravante su di essa, poiché, come si è appena rilevato, tale certificazione non attesta il reddito del nucleo familiare, bensì quello del solo richiedente.
Da ciò consegue che il possesso del requisito reddituale in capo all’intero nucleo familiare costituisce un elemento costitutivo del diritto preteso.
Sotto tale profilo, quindi, deve ritenersi che l’onere di provarne la sussistenza ridondi a carico tanto del cittadino italiano e/o europeo quanto del cittadino extraeuropeo soggiornante che ne abbia fatto richiesta.
In tal modo va letto l’art. 2 co. 9 del d.I. n. 69, ove si omette qual si voglia distinguo fra le due tipologie di lavoratori: deve, infatti ritenersi che il mancato riferimento alla loro provenienza territoriale sia stata consapevolmente adottata legislatore proprio in quanto il principio che introduce – questo sì egualitario – appare il più coerente con la struttura stessa (oltre che con la funzione) dell’assegno al nucleo familiare.
Pertanto, non essendo possibile muovere nessuna censura di violazione del diritto antidiscriminatorio nei confronti della disposizione in esame, neppure trova fondamento la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte europea di Giustizia avanzata dal ricorrente per asserita violazione del principio di parità di trattamento.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
In considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.