L’indennità di mancato preavviso non concorre alla formazione della base di calcolo del TFR.
Nota a Cass. 19 gennaio 2023, n. 1581
Francesco Belmonte
L’indennità sostitutiva del preavviso deve essere esclusa dalla base di computo del TFR in quanto non “dipendente” dal rapporto di lavoro ma riferibile ad un periodo non lavorato, successivo alla cessazione del contratto di lavoro.
In tale linea si è pronunciata la Corte di Cassazione (19 gennaio 2023, n. 1581) relativa al caso di un dirigente di banca licenziato, con esonero dal preavviso e corresponsione della relativa indennità sostitutiva, che aveva chiesto, tra le numerose domande avanzate, l’inclusione dell’indennità nella base di calcolo del TFR.
La Cassazione, aderendo all’orientamento maggioritario sulla c.d. efficacia obbligatoria del preavviso (tra le più recenti, v. Cass. n. 27934/2021, in q.sito con nota di F. BELMONTE), ribadisce che la natura obbligatoria di tale istituto comporta la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso (cfr. Cass. n. 22443/2010, n. 15495/2008 e n. 11740/2007).
Ne consegue che il periodo di mancato preavviso deve essere escluso dal computo delle mensilità aggiuntive, delle ferie e del TFR “in quanto, essendo mancato l’effettivo servizio, il lavoratore ha diritto esclusivamente all’indennità sostitutiva del preavviso ma non anche al suo calcolo per quel che qui interessa nel TFR posto che, come detto, il preavviso di licenziamento non ha efficacia reale, bensì obbligatoria, e dunque qualora una delle parti receda con effetto immediato il rapporto si risolve e residua l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva” (Cass. n. 17248/2015 e Cass. n. 21216/2009).