Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 marzo 2023, n. 7712
Lavoro, Licenziamento, Condotte sleali e infedeli, Corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, Eccezione di tardività della contestazione disciplinare, Rigetto
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Napoli ha respinto l’appello proposto da G.D. nei confronti della S. srl, confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata respinta la domanda volta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 16.12.2016.
2. La Corte d’appello ha premesso che al D. erano state contestate una serie di condotte sleali e infedeli, poste poi a base della decisione di recesso in cui era ribadito che: “L’avere consentito la partecipazione di sua moglie nelle attività di società nostre concorrenti e l’avere lei stesso avvantaggiato l’attività della srl F.S., della srl A. e della srl H.S. approfittando del suo inserimento all’interno della nostra organizzazione imprenditoriale con il ruolo elevato fiduciario – di direttore tecnico e responsabile dell’area Campania – costituisce evidente gravissima violazione dell’art. 2105 c.c. aggravata dall’occultamento alla proprietà ed al Consiglio di Amministrazione della sopra descritta situazione di conflitto di interessi che coinvolgeva anche l’operato del precedente amministratore. Ugualmente infedele ed in contrasto con il dovere di diligenza è l’indebita percezione di buoni pasto per cifre assai elevate prive di causale da lei perpetrata almeno dall’anno 2015 e sino ad oggi”. Nella lettera di licenziamento era specificato che “gli addebiti […] sia singolarmente considerati e ancor più nel loro complesso, costituiscono gravissima violazione dei doveri di diligenza e fedeltà che le derivano dal rapporto di lavoro con noi in corso, come previsti dagli artt. 2104 e 2105 c.c.”.
3. La Corte di merito ha circoscritto l’esame degli addebiti agli episodi che hanno visto il D. direttamente coinvolto in interessi di altre società, tralasciando la parte di contestazione sui buoni pasto e sulla disdetta dell’appalto da parte della T. spa; ha ritenuto che i fatti esaminati, descritti nella lettera di contestazione, fossero provati nella loro oggettività e rivelassero un comportamento sleale, contrario al principio di fedeltà ed avessero gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario; ha respinto l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare risalente al 28.11.2016, osservando come la società avesse avuto contezza delle condotte poi contestate, e ben più gravi e diverse rispetto alla mera partecipazione delle consorti a società concernenti (notizia appresa nel 2015), solo a seguito della confessione resa dal sig. C. e delle verifiche, anche tramite agenzia di investigazione, concluse nel novembre 2016; ha ritenuto integrata la giusta causa di recesso escludendo che la condotta accertata fosse riconducibile alla fattispecie di chi “esegua con negligenza grave il lavoro affidatogli; ometta parzialmente di eseguire il servizio assegnato; non avverta subito i superiori di eventuali irregolarità nell’adempimento del servizio”, per cui il c.c.n.l. prevede una sanzione conservativa.
4. Avverso tale sentenza G.D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. La S. srl ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis. 1. cod. proc. civ.
Considerato che
5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 St. Lav. novellato, dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966, per avere la Corte di merito ritenuto legittimo il recesso sulla scorta di una valutazione complessiva della condotta, omettendo di verificare puntualmente la sussistenza o meno delle specifiche condotte materiali come contestate al lavoratore.
6. Il motivo è infondato.
7. Il principio di necessari corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, che vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, può ritenersi violato qualora il datore di lavoro alleghi, nel corso del giudizio, circostanze nuove che, in violazione del diritto di difesa, implicano una diversa valutazione dei fatti addebitati (v. Cass. n. 11540/2020; Cass. n. 8293/2019; Cass. n. 26678/2017). La violazione del principio in esame non si verifica, invece, nel caso opposto in cui, a fronte della contestazione di plurime e autonome condotte di rilievo disciplinare, che “anche singolarmente considerate” costituiscono, secondo la prospettazione datoriale, una gravissima violazione dei doveri di diligenza e fedeltà, il giudice prenda in esame solo alcune di esse, connotate da maggiore gravità, e le reputi esaustive ai fini della integrazione della giusta causa di recesso. La Corte di merito ha sul punto premesso di “circoscrivere l’esame agli episodi che hanno visto il D. direttamente coinvolto in interessi di altre società (tralasciando la parte di contestazione sui ticket pasto e sulla disdetta della T. spa) attesa la gravità degli stessi” (sentenza pag. 6).
8. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 7 St. Lav. in relazione alla tardività della contestazione disciplinare, e violazione dell’art. 2697 c.c. Si sostiene che già nel 2015 (in seguito all’accesso agli atti effettuato il 20.2.2015) la datrice di lavoro era a conoscenza della partecipazione della moglie del D. alla compagine societaria della F.S. srl e che fosse pertanto tardiva la contestazione disciplinare del novembre 2016, si sostiene ancora la violazione dell’art. 2697 c.c., avendo il lavoratore provato la tardività della contestazione.
9. Con il terzo motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Si ribadisce l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare sul rilievo che già nel febbraio 2015 la società datoriale fosse a conoscenza della partecipazione della moglie del D. alla società concorrente, F.S. srl, a nulla rilevando la circostanza della dismissione delle quote societarie in data 19.2.2015, ossia il giorno prima della richiesta di accesso agli atti.
10. Il secondo e, il terzo motivo, che si trattano congiuntamente, sono inammissibili.
11. Il principio di immediatezza della contestazione disciplinare, elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (Cass. n. 1248 del 2016; n. 19115 del 2013; Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 19424 del 2005) ed espressione del generale precetto di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro, ha carattere relativo, potendo, nei casi concreti, esser compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti, specie quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di atti convergenti in un’unica condotta, ed implichi pertanto una valutazione globale ed unitaria, ovvero quando la complessità dell’organizzazione aziendale e della relativa scala gerarchica comportino la mancanza di un diretto contatto del dipendente con la persona titolare dell’organo abilitato ad esprimere la volontà imprenditoriale di recedere sicché risultano ritardati i tempi di percezione e di accertamento dei fatti e, quindi, di adozione dei relativi provvedimenti (Cass. n. 1248 del 2016; n. 281 del 2016; n. 15649 del 2010; Cass. n. 22066 del 2007), restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (Cass. n. 23346 del 2018; n. 16841 del 2018; n. 281 del 2016; n. 20719 del 2013 n. 19115 del 2013).
12. Nel caso in esame, la Corte di merito, nel respingere l’eccezione di tardività della contestazione, ha rilevato come il dato in sé della, partecipazione societaria della moglie del D. nella concorrente F.S. srl, acquisito nel febbraio 2015, non fosse da solo sufficiente a fondare la contestazione, considerato peraltro che proprio nel mese di febbraio (esattamente il giorno prima della richiesta di accesso agli atti della gara d’appalto presso la Regione Campania) vi era stata la dismissione delle citate quote, avendo la società acquisito i dati relativi alla condotta del proprio dipendente solo nel novembre 2016, all’esito delle indagini svolte sulla base della confessione resa dal sig. C.. Le censure mosse col motivo di ricorso in esame, in quanto dirette a contestare l’accertamento fattuale del momento in cui l’illecito disciplinare sia stato scoperto nei suoi connotati sufficienti a consentirne la contestazione in via disciplinare, si collocano fuori dal perimetro di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (v. Cass. S.U. n. 8053 en. 8054 del 2014) e non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.
13. Con il quarto motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte di merito considerato elemento di prova (della circostanza per cui la moglie del D. avesse un conto corrente cointestato con V.B., esponente del F.S. srl) la relazione redatta dalla società di investigazione.
14. Neppure questo motivo può trovare accoglimento.
15. Non è pertinente la eccepita violazione delle regole di formazione della prova atteso che l’art. 116 c.p.c. preclude al giudice di valutare una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale (Cass. n. 27000 del 2016; Cass. n. 13960 del 2014), mentre esula dall’ambito applicativo di tale disposizione ogni questione che involga il modo in cui siano state valutati gli elementi acquisiti, profilo su cui il controllo di legittimità può svolgersi solo con riguardo alla motivazione, in termini di violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., oppure nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (v. Cass., S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014), attraverso la denuncia di omesso esame di un fatto storico, determinato e avente valore decisivo (v. Cass., S.U., n. 20867/2020; v. anche Cass. n. 6774/2022).
16. Il motivo di ricorso in esame investe, non un fatto inteso in senso storico ed avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili di valutazione, come appunto la relazione investigativa rientrante tra le prove atipiche di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova (v. Cass. n. 1593 del 2017; n. 18025 del 2019; Cass. n. 3689 del 21; su accertamenti tramite agenzia investigativa v. anche Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 11697 del 2020).
17. Con il quinto motivo si addebita alla sentenza d’appello, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, St. Lav., per avere la Corte di merito escluso la riconducibilità dell’addebito alla previsione di cui all’art. 101, lettera c), del c.c.n.l. applicato dalla società, che punisce con sanzione conservativa la condotta di chi “esegua con negligenza grave il lavoro affidatogli; ometta parzialmente di eseguire il servizio assegnato; non avverta subito superiori di eventuali irregolarità nell’adempimento del servizio”.
18. Con il sesto motivo (indicato a pag. 69 del ricorso come V motivo) si censura la decisione impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 5, St. lav., per non avere considerato sproporzionato il licenziamento in ragione della mancata prova di una serie di condotte contestate, tra cui la rivelazione alla F.S. srl dell’offerta economica per la partecipazione al bando di gara della Regione Campania, gli interessi nella società A. srl, l’abuso dei buoni pasto, le inadempienze nella gestione dell’appalto con la società T. spa, Io svolgimento di attività lavorativa presso la H. durante la malattia del 24.11.2016.
19. Il quinto e sesto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
20. La Corte d’appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005) e di proporzionalità della misura espulsiva (cfr. Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007) ed ha motivatamente valutato la gravità dell’infrazione e la sua idoneità a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario; ha preso in esame la fattispecie disciplinare punita dal contratto collettivo con sanzione conservativa e incentrata sulla esecuzione “con negligenza grave del lavoro” e sulla mancata segnalazione ai superiori “di eventuali irregolarità nell’adempimento del servizio” ed ha motivatamente escluso la riconducibilità a tale previsione della condotta del D., concretatasi in plurimi atti gravemente sleali, in radicale conflitto di interessi con la società datoriale. Parte ricorrente non sottopone a questa Corte errori di diritto imputabili ai giudici di merito nell’applicazione dei paradigmi normativi di giusta causa e di proporzionalità del licenziamento, ma pretende soltanto una diversa valutazione dei dati probatori raccolti al fine di ottenere un esito diverso della lite, così collocandosi al di fuori della cornice del vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c.
21. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, 13, se dovuto.