Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 marzo 2023, n. 8375
Lavoro, Sanzione disciplinare di sospensione dal servizio e dalla retribuzione, Riprese del sistema di videosorveglianza, Principio di proporzionalità nell’applicazione della sanzione, Inammissibilità
Rilevato che
1. con sentenza 17 luglio 2017, la Corte d’appello di Torino ha rigettato le domande di (…) di annullamento della sanzione disciplinare (di sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni) comminatagli dalla Fondazione (…) con lettera del 3 luglio 2014: così riformando, in accoglimento del suo appello, la sentenza di primo grado, che aveva rideterminato la sanzione in quella della multa di tre ore;
2. in esito a critico ed argomentato esame delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale ha ritenuto il regolare svolgimento del procedimento disciplinare a carico del lavoratore e accertato la proporzionalità della sanzione comminatagli dalla Fondazione datrice alla gravità del fatto commesso, legittimamente ripreso dall’impianto video installato nei locali ai fini di sicurezza, senza alcuna violazione dell’art. 4 legge n. 300/1970. Ed esso è consistito nell’avere il 10 giugno 2014, nel corso della festa di fine anno scolastico, (…) in qualità di educatore professionale (a seguito del rifiuto opposto da alcuni studenti di obbedire all’ordine, al momento della cena, di anticipato rientro per punizione e dopo lo scambio di alcune battute per il comportamento provocatorio da loro tenuto), afferrato uno di loro per la maglietta, accompagnandolo con forza verso l’ascensore; e nell’avere, a fronte della resistenza opposta dal ragazzo, lasciato la presa nello spingerlo, così procurandone la caduta per terra all’indietro; e nell’avere, infine, “mentre l’allievo … comunicava alla madre l’accaduto … ritenuto opportuno riferirsi alla Signora in modo poco professionale e, a detta dell’interlocutrice … in modo ineducato utilizzando toni decisamente accesi”; 3. con atto notificato il 22 (28) dicembre 2017, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c., cui ha resistito la Fondazione con controricorso;
Considerato che
1. il ricorrente ha dedotto: a) vizio di motivazione contraddittoria e apparente, violazione o falsa applicazione, anche come error in procedendo, degli artt. 112, 115, 116, 132 c.p.c., 2697 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente affermato l’avvenuta produzione, da parte della Fondazione, della dichiarazione dattiloscritta di un’educatrice presente al fatto e del verbale della riunione di équipe del 13 giugno 2014 (cui partecipante anche il lavoratore poi sanzionato), “senza incontrare contestazione alcuna”, nonostante egli l’avesse formulata “richiamando il ricorso”, come risultante dal verbale di udienza dell’11 dicembre 2015 (primo motivo);
b) omessa motivazione, violazione o falsa applicazione, anche come error in procedendo, degli artt. 112, 113, 115, 116, 132 c.p.c., 2697, 2735 c.c., per avere la Corte territoriale omesso di considerare quanto ritenuto dal Tribunale e dedotto dal lavoratore in comparsa di costituzione in appello in ordine all’attendibilità dei testi, dipendenti della Fondazione, con particolare riguardo alla circostanza dell’influenza, nella comminazione di una sanzione tanto grave, del proprio orientamento sessuale (avendo partecipato alla cena pasquale nell’istituto insieme con il compagno) e pertanto essendo la valutazione probatoria affetta dai vizi denunciati (secondo motivo);
c) omessa motivazione, violazione o falsa applicazione, anche come error in procedendo, degli artt. 112, 113, 115, 116, 132 c.p.c., 2697, 1632 ss. c.c., per non avere la Corte territoriale rispettato il principio di proporzionalità nell’applicazione di una sanzione ben più grave di quella spettante – anche in relazione alla previsione dell’art. 40 del Contratto collettivo applicato, in ordine ai comportamenti disciplinarmente rilevanti, sanzionati con l’ammonizione verbale o scritta (“per le mancanze di minor rilievo”) ovvero con la multa o la sospensione (“per quelle di maggior rilievo”) – in esito ad una ricostruzione della vicenda non fondatamente provata (terzo motivo);
d) motivazione contraddittoria, solo apparente ovvero omessa, violazione o falsa applicazione, anche come error in procedendo, degli artt. 112, 113, 115, 116, 132 c.p.c., 7 legge n. 300/1970, 1632 ss. c.c., per la genericità della lettera di contestazione in riferimento all’addebito, peraltro infondato, di essersi riferito “alla Signora” (la madre dello studente caduto a terra) “in modo poco professionale” e di avere utilizzato “in modo ineducato … toni decisamente accesi” e per la comminazione della sanzione disciplinare con una lettera recante la stessa data di quella delle giustificazioni del lavoratore, pertanto non tenute in conto alcuno, nonostante la previsione dell’art. 39 del Contratto collettivo applicato, di comunicazione del provvedimento disciplinare con lettera raccomandata entro sei giorni dal termine assegnato al dipendente per le giustificazioni (quarto motivo);
e) motivazione contraddittoria, solo apparente ovvero omessa, violazione o falsa applicazione, anche come error in procedendo, degli artt. 112, 113, 115, 116, 132 c.p.c., 4 legge n. 300/1970, in riferimento all’utilizzazione ai fini disciplinari di riprese da un sistema di videosorveglianza per il controllo dei dipendenti, non valendo a giustificazione l’accordo sindacale del 10 gennaio 2023, in relazione al posizionamento delle sedici telecamere a circuito chiuso “oltre che in direzione degli ingressi esterni anche nei corridoi e negli androni delle scale di ogni piano dell’edificio” ed essendo irrilevante la produzione delle videoregistrazioni dallo stesso dipendente (quinto motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
3. non si configurano le violazioni di legge denunciate, pure palesemente inconferenti. Le censure dedotte non implicano, infatti, alcun problema interpretativo, né di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851). Esse si risolvono piuttosto nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927): oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;
3.1. in particolare, non si configura la violazione dell’art. 115 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. Ma neppure è appropriata la denuncia di violazione di quest’ultima norma, ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento;
ove si deduca, invece, che il giudice ha soltanto male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016);
3.2. né ricorre una violazione dell’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 31 agosto 2020, n. 18092);
4. neppure sussiste una motivazione omessa o apparente, per difetto di illustrazione da parte della Corte territoriale delle ragioni di fatto né di diritto alla base della decisione e neppure di esplicitazione del percorso logico – giuridico per approdarvi.
Essa ricorre, infatti, qualora manchi del tutto, non indicando gli elementi da cui il giudice abbia tratto il proprio convincimento;
ovvero, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme regolanti la fattispecie dedotta in giudizio, non consenta tuttavia alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma Cost.: Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. 30 giugno 2020, n. 13248;
4.1. nel caso di specie, la Corte territoriale ha dato invece adeguato e argomentato conto, in particolare: a) della proporzionalità al fatto addebitato della sanzione comminata, sulla base non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta del lavoratore, in quanto anch’esse incidenti sulla determinazione di gravità della trasgressione e, quindi, della legittimità della sanzione stessa; e tale apprezzamento, riservato al giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità se la valutazione sia congruamente argomentata (Cass. 27 settembre 2007, n. 20221; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788; Cass. 14 maggio 2018, n. 11634): come appunto nel caso di specie (per le ragioni esposte specialmente al penultimo capoverso di pg. 14 della sentenza);
b) della considerazione delle giustificazioni del lavoratore, espressamente menzionate nel provvedimento di erogazione della sanzione disciplinare (come risulta dalla trascrizione al secondo alinea di pg. 8 della sentenza) e quindi non essendo viziato il procedimento disciplinare (come accertato per le ragioni esposte dal primo al diciannovesimo alinea di pg. 15 della sentenza), avendo il lavoratore potuto esercitare il proprio diritto di difesa, cui esse sono strumentali (Cass. 20 marzo 2015, n. 5714);
c) della valutazione delle riprese del sistema di videosorveglianza nell’ambito più ampio di quella globalmente compiuta delle prove raccolte. Peraltro, la Corte d’appello ha pure argomentato le ragioni di utilizzabilità, in concorso con gli altri elementi istruttori scrutinati, di tali riprese (dal primo capoverso di pg. 13 al penultimo di pg. 14 della sentenza); pure rientranti (per la loro accertata destinazione ad esigenze di sicurezza, in quanto orientate verso spazi “accessibili anche a personale non dipendente e non deputati ad accogliere postazioni di lavoro” e collocate in base ad accordo sindacale) nell’ambito di applicazione dell’art. 4, secondo comma legge n. 300/1970, nel testo anteriore alle modifiche dell’art. 23, primo comma d.lgs. 151/2015, nell’osservanza delle garanzie ivi previste e delle esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza sul lavoro (Cass. 4 novembre 2021, n. 31178, che ha ritenuto esservi incluse anche quella di assicurare la pubblicità ad una prova di esame indetta dalla Pubblica Amministrazione): in esse sicuramente comprese quelle di un istituto scolastico, a tutela della sicurezza degli studenti;
5. inoltre, la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412). E tale apprezzamento è insindacabile da questa Corte, non potendo il controllo di legittimità riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo la sua congruenza dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cass. 1° settembre 2003, n. 12747; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 4 luglio 2017, n. 16467); neppure essendo consentito in tale sede procedere ad un nuovo esame di merito attraverso un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. 3 luglio 2014, n. 15205);
6. in via conclusiva, tutte le doglianze convergono, nella sostanza, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e di ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili nell’ordinaria sede di legittimità siccome di esclusiva spettanza del giudice del merito, che ha operato un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987);
7. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.