Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 marzo 2023, n. 6979
Lavoro, Assegno sociale di cui all’art. 3, comma 6, L. n. 335/1995, Riconoscimento agli stranieri extracomunitari, Possesso della (ex) carta di soggiorno, Principio della reciprocità o della apposita convenzione, Questione di legittimità costituzionale, Sospensione
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 22.5.2018, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto la domanda di V.M., cittadina albanese, volta alla corresponsione dell’assegno sociale di cui all’art. 3, comma 6, l. n. 335/1995;
che i giudici territoriali, in particolare, hanno ritenuto che la previsione di cui all’art. 20, comma 10, d.l. n. 112/2008 (conv. con l. n. 133/2008), secondo la quale l’assegno sociale è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato per almeno dieci anni sul territorio nazionale, avesse implicitamente abrogato la norma di cui all’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, che subordina al possesso della (ex) carta di soggiorno il riconoscimento agli stranieri extracomunitari della provvidenza in esame;
che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
che V.M. ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria, con cui, oltre a chiedere il rigetto del ricorso avversario, ha argomentato in via subordinata la correttezza della decisione impugnata in relazione all’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, avuto riguardo al suo essere titolare di permesso di soggiorno per motivi familiari che le consentirebbe di lavorare;
che, a seguito di infruttuosa trattazione camerale, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 26142 del 2020 della Sesta sezione civile di questa Corte;
che in vista dell’udienza pubblica entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo di censura, l’INPS ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 6-7, l. n. 335/1995, per come integrato dall’art. 20, comma 10, d.l. n. 112/2008 (conv. con l. n. 133/2008), in relazione all’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, nonché dell’art. 41, d.lgs. n. 286/1998, per avere la Corte di merito ritenuto che l’art. 20, comma 10, d.l. n. 112/2008, cit., secondo cui l’assegno sociale è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato per almeno dieci anni sul territorio nazionale, avesse implicitamente abrogato la norma di cui all’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, parimenti cit., che subordina il riconoscimento agli stranieri extracomunitari della provvidenza in esame al possesso della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo);
che, con il secondo motivo, l’INPS ha lamentato violazione e falsa applicazione degli artt. 3, commi 6-7, l. n. 335/1995, 20, comma 10, d.l. n. 112/2008 (conv. con l. n. 133/2008), e 9, comma 1, e 12, d.lgs. n. 286/1998, in relazione agli artt. 43 e 2697 c.c. e 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso l’indagine circa la sussistenza degli altri requisiti necessari al riconoscimento della provvidenza in questione, sebbene tanto in primo grado che in sede di gravame fosse stato eccepito che l’istante risultava titolare di pensione concessale dallo stato estero di appartenenza (Albania) e che non vi era prova della continuità del soggiorno sul territorio nazionale;
che, con riferimento a tale ultimo motivo, va subito rilevato che i giudici territoriali, lungi dall’omettere l’indagine sugli altri requisiti necessari al riconoscimento della provvidenza in questione, hanno piuttosto ritenuto che la continuità della residenza sul territorio nazionale fosse stata provata, seppure ricorrendo a presunzioni, e hanno precisato che dalla prestazione “dovrà essere dedotto il reddito derivante dalla pensione albanese” (cfr. pagg. 2-3 della sentenza impugnata), per modo che la censura dell’INPS pare prima facie eccentrica rispetto al decisum;
che, con riguardo al primo motivo di censura, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che la permanenza continuativa in Italia per dieci anni con permesso di soggiorno rappresenta un requisito aggiuntivo e non sostitutivo rispetto al requisito della titolarità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (cfr. Cass. nn. 16989 del 2019 e 16867 del 2020);
che – come esattamente rilevato dall’ordinanza interlocutoria n. 26142 del 2020 della Sesta sezione civile di questa Corte – resta tuttavia da verificare se la sentenza impugnata possa essere confermata in relazione all’argomentazione spesa nel controricorso e già introdotta nei precedenti gradi di merito, secondo cui il requisito aggiuntivo del permesso di lungo soggiorno richiesto dall’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, contrasterebbe con la direttiva 2011/98/UE;
che, al riguardo, la Corte costituzionale, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, cit., ha espressamente affermato che “un obbligo costituzionale di attribuire l’assegno sociale allo straniero privo della (ex) carta di soggiorno non deriva neppure dall’art. 12 della direttiva 2011/98/UE […] che, ai fini della equiparazione dei cittadini stranieri extracomunitari ai cittadini italiani, richiama il regolamento (CE) n. 883/2004 […] relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, che impone la parità di trattamento tra i lavoratori stranieri e i cittadini dello Stato europeo che li ospita per quanto riguarda il settore della sicurezza sociale, non venendo qui in considerazione la posizione di lavoratori” (Corte cost. n. 50 del 2019);
che, nondimeno, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a seguito di rinvio pregiudiziale promosso dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 182/2020, ha ritenuto che “l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/98 si applica sia ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale, sia ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento n. 1030/2002”, all’uopo valorizzando il considerando 20 della suddetta direttiva, che “non si limita a garantire la parità di trattamento ai titolari di un permesso unico di lavoro, ma si applica anche ai titolari di un permesso di soggiorno per fini diversi dall’attività lavorativa che sono autorizzati a lavorare nello Stato membro ospitante” (CGUE, 2.9.2021, C-350/20, §§ 48-49);
che, nella stessa pronuncia, è stato ribadito che l’ambito della parità di trattamento prevista dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE concerne le prestazioni che rientrano nei settori della sicurezza sociale definiti dal regolamento (CE) n. 883/2004;
che l’art. 3, paragrafo 3, di tale regolamento prevede, in particolare, che esso “si applica anche alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo di cui all’articolo 70”, ossia, per quanto rileva in questa sede, a quelle che siano volte a offrire “copertura in via complementare, suppletiva o accessoria dei rischi corrispondenti ai settori di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e a garantire, alle persone interessate, un reddito minimo di sussistenza in relazione al contesto economico e sociale dello Stato membro interessato”, per le quali “il finanziamento deriva esclusivamente dalla tassazione obbligatoria intesa a coprire la spesa pubblica generale e le condizioni per la concessione e per il calcolo della prestazione non dipendono da alcun contributo da parte del beneficiario” e che “sono elencate nell’Allegato X” al Regolamento stesso;
che l’Allegato X, per ciò che riguarda l’Italia, prevede, alla lett. g), l’assegno sociale di cui all’art. 3, comma 6, l. n. 335/1995, che nell’ottica del diritto dell’Unione si rivela pertanto “prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo”, volta a garantire una copertura in via suppletiva del rischio della vecchiaia (art. 3, paragrafo 1, lett. d) del regolamento cit.) mediante l’erogazione di un reddito minimo di sussistenza a carico della spesa pubblica;
che, conseguentemente, sebbene Corte cost. n. 50 del 2019 abbia ritenuto che dall’art. 12 della direttiva 2011/98/UE non deriverebbe alcun “obbligo costituzionale di attribuire l’assegno sociale allo straniero privo della (ex) carta di soggiorno”, reputa il Collegio che il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, nella parte in cui subordina il riconoscimento dell’assegno sociale ai cittadini extracomunitari al possesso della (ex) carta di soggiorno, abbia ragione di porsi nuovamente, essendosi chiarito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che il principio di parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni di cui al regolamento (CE) n. 883/2004 non concerne – come detto – solo i titolari di un permesso unico di lavoro, ma si applica anche ai titolari di un permesso di soggiorno per fini diversi dall’attività lavorativa che sono autorizzati a lavorare nello Stato membro ospitante;
che, a tutto concedere, un residuo dubbio interpretativo potrebbe sussistere circa la portata del rinvio operato dall’art. 12 della direttiva 2011/98/UE ai “settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento 883/04”, potendosi letteralmente sostenere che detto rinvio debba limitarsi ai soli settori di cui all’art. 3, paragrafo 1, del regolamento cit. e non anche alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo di cui al successivo paragrafo 3, tra le quali, come anzidetto, figura certamente l’assegno sociale;
che tuttavia, come ben evidenziato nella memoria dell’odierna controricorrente, non solo tale limitazione non appare del tutto coerente con la lettera del citato art. 3, stante che il paragrafo 3 si propone pur sempre di dare copertura “in via complementare, suppletiva o accessoria dei rischi corrispondenti ai settori di sicurezza sociale di cui all’art. 3, paragrafo 1”, ma soprattutto non è stata fatta propria dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea né nella sentenza 21.6.2017, C-449-16, concernente l’assegno di cui all’art. 65, l. n. 448/1998, né nella successiva 2.9.2021, C-350/20, già cit., concernente l’assegno di natalità;
che questo Collegio ben conosce l’orientamento della Corte costituzionale secondo cui, nella prospettiva del primato del diritto dell’Unione, alle norme di diritto europeo contenute nell’art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE (così come a quelle contenute nell’art. 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE) deve riconoscersi effetto diretto nella parte in cui prescrivono l’obbligo di parità di trattamento tra le categorie di cittadini di paesi terzi individuate dalle medesime direttive e i cittadini dello Stato membro in cui costoro soggiornano, trattandosi di obbligo cui corrisponde il diritto del cittadino di paese terzo – rispettivamente titolare di permesso di lungo soggiorno e titolare di un permesso unico di soggiorno e di lavoro – a ricevere le prestazioni sociali alle stesse condizioni previste per i cittadini dello Stato membro (Corte cost. n. 67 del 2022, § 12 del Considerato in diritto);
che, nondimeno, tale affermazione – che nel caso deciso da Corte cost. n. 67 del 2022, cit., ha portato alla declaratoria d’inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6-bis, d.l. n. 69/1988 (conv. con l. n. 153/1988), nella parte in cui assoggetta ad un regime peculiare, regolato dal principio della reciprocità o della apposita convenzione, i beneficiari dell’assegno per il nucleo familiare non cittadini italiani (o europei) che non risiedono nel territorio nazionale, per contrasto con gli artt. 11 e 117, comma 1°, Cost. in relazione alla direttiva 2003/109/CE, che all’art. 11, paragrafo 1, lettera d), prevede il diritto dei cittadini di paesi terzi titolari del permesso di lungo soggiorno e dei loro familiari di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004, sollevata da questa Corte di cassazione con ordinanze nn. 9378 e 9379 del 2021 – è stata resa in un giudizio in cui non era stato evocato, quale parametro interposto di diritto dell’Unione, l’art. 34 CDFUE (cfr. Corte cost. n. 67 del 2022, cit., § 1.2.1 del Considerato in diritto);
che, d’altra parte, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che il diritto alla parità di trattamento nel settore della sicurezza sociale, definito nei suoi contenuti essenziali dalla direttiva 2011/98/UE, “dà espressione concreta al diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale di cui all’articolo 34, paragrafi 1 e 2, della Carta” (CGUE, 2.9.2021, C-350/20, § 46), secondo i quali, rispettivamente, l’Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e dalle legislazioni e dalle prassi nazionali e riconosce a ogni persona che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, in conformità al diritto dell’Unione e alle legislazioni e alle prassi nazionali;
che, dal canto suo, la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire che il principio di parità di trattamento nel settore della sicurezza sociale, nei termini delineati dall’art. 34 CDFUE e dal diritto derivato e poi ribaditi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, si raccorda ai principi consacrati dall’art. 3 Cost., “e ne avvalora e illumina il contenuto assiologico, allo scopo di promuovere una più ampia ed efficace integrazione dei cittadini dei Paesi terzi” (Corte cost. n. 54 del 2022, § 13 del Considerato in diritto);
che, sebbene Corte cost. n. 50 del 2019, cit., abbia già avuto modo di scrutinare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, per contrasto con l’art. 3 Cost., dichiarandola non fondata, reputa il Collegio che – in ragione della riconosciuta interpenetrazione assiologica delle disposizioni dell’art. 3 Cost. e dell’art. 34 CDFUE – tale questione abbia eguale ragione di porsi nuovamente a seguito della diversa interpretazione dell’art. 12 della direttiva 2011/98/UE offerta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che – giusta le stesse parole di Corte cost. n. 50 del 2019, più volte cit. – potrebbe portare a riconoscere “un obbligo costituzionale di attribuire l’assegno sociale allo straniero privo della (ex) carta di soggiorno”;
che egualmente pare al Collegio debba dirsi con riguardo all’art. 38, comma 1°, Cost., benché anche in riferimento a tale parametro Corte cost. n. 50 del 2019 abbia dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale, non potendo dubitarsi della stretta correlazione esistente tra di esso e l’art. 34 CDFUE, che, nel sancire il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa, mira a “garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti” (CGUE, 24.4.2012, C-571/10);
che, pertanto, ravvisandosi in specie una ipotesi di c.d. doppia pregiudizialità, in ragione del fatto che la disposizione contenuta nell’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, nella parte in cui condiziona la corresponsione dell’assegno sociale ai cittadini extracomunitari al possesso della (ex) carta di soggiorno, appare suscettibile di porre dubbi sia in relazione agli artt. 3 e 38 Cost. che all’art. 34 CDFUE e al diritto derivato dell’Unione costituito dall’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, reputa il Collegio, nella prospettiva delineata da Corte cost. n. 269 del 2017 (e successivamente ribadita e precisata, tra le altre, da Corte cost. nn. 20, 63, 112 e 117 del 2019, nonché, sia pure implicitamente, da Corte cost. nn. 182 del 2020 e 54 del 2022), di dover privilegiare, in prima battuta, la questione di legittimità costituzionale della norma più volte cit. anche con riferimento agli articoli 11 e 117 Cost., in relazione all’art. 34 CDFUE e all’art. 12 della direttiva 2011/98/UE;
P.Q.M.
La Corte dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, l. n. 388/2000, nella parte in cui condiziona la corresponsione dell’assegno sociale ai cittadini extracomunitari al possesso della (ex) carta di soggiorno, in relazione agli artt. 3 e 38, comma 1°, Cost., nonché in relazione agli artt. 11 e 117 Cost., con riferimento all’art. 34 CDFUE e all’art. 12 della direttiva 2011/98/UE;
dispone la sospensione del presente giudizio;
ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al Pubblico ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei ministri;
ordina, altresì, che la presente ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.