Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 marzo 2023, n. 8508

Lavoro, Servizio medico di pronta disponibilità, Reperibilità cd. attiva, Riposo compensativo, Diritto non sostituibile con la distribuzione del riposo su base oraria, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Roma, per quanto ancora rileva, in parziale riforma di sentenza del Tribunale di Latina, ha condannato (…) di (…) s.r.l. al pagamento in favore del dott. (…) della somma complessiva di € 37.973,32 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale per avere svolto, in qualità di medico biologo direttore del laboratorio di analisi dal 1999 al 2009, servizio di reperibilità anche notturna, con effettiva prestazione lavorativa per complessivi 263 giorni festivi senza riposo compensativo;

2. la Corte distrettuale ha osservato, in particolare, che:

– esattamente il giudice di primo grado aveva ritenuto illecita la condotta della datrice di lavoro consistita nel non avere collocato a riposo d’ufficio il dipendente, che aveva reso attività lavorativa effettiva nell’ambito della reperibilità cd. attiva tale da compromettere il riposo di cui avrebbe dovuto godere;

erroneamente il giudice di primo grado aveva applicato il principio della cd. compensatio lucri cum damno, perché in caso di reperibilità attiva il datore di lavoro è tenuto, oltre che a corrispondere la maggiorazione prevista o in alternativa, su richiesta del dipendente, il permesso compensativo, comunque a garantire il riposo settimanale (a prescindere dalla richiesta del lavoratore, trattandosi di diritto indisponibile);

3. avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, con 3 motivi; controparte non si è costituita nel presente grado;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione degli artt. 434, 348 bis c.p.c. e dei principi generali in tema di inammissibilità dell’appello (art. 360, n. 3, c.p.c.);

2. il motivo non è fondato;

3. questa Corte ha più volte chiarito che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla legge n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. 29177/2017; conf. Cass. 13535/2018);

4. con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 329 c.p.c. e dei principi generali il tema di cosa giudicata (art. 360, n. 3, c.p.c.): assume che la domanda del dott. (…) non era stata respinta perché ritenuta infondata nell’an, ma perché non ritenuta meritevole di ristoro economico in forza di compensatio lucri cum damno e che tale questione non era stata impugnata;

5. il motivo non è ammissibile, perché, fermo quanto ribadito con riferimento al primo motivo, sotto il profilo dell’autosufficienza la parte non trascrive per intero le parti rilevanti in relazione alla propria doglianza (motivazione primo grado, atto di appello, propria memoria difensiva in appello), né fornisce chiare e precise indicazioni circa la loro attuale collocazione, rendendo così impossibile alla Corte verificare la veridicità prima che la fondatezza della censura;

6. con il terzo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. e dei principi generali in tema di risarcimento del danno, violazione del principio di indifferenza e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.): argomenta che il lavoratore era stato retribuito ed indennizzato per la prestazione resa in regime di reperibilità con il vantaggio di aver distribuito il residuo debito orario nell’arco di più giorni lavorativi; aveva, cioè, optato per il computo di tale attività come lavoro straordinario, sicché il riposo compensativo cui avrebbe avuto diritto avrebbe comportato un maggior numero di ore lavorative giornaliere nei rimanenti giorni, mentre, venendo retribuito a titolo di lavoro straordinario per la reperibilità, aveva così distribuito il proprio orario di lavoro ordinario in più giorni con orari più brevi, anziché in giorni con orari più lunghi per compensare i giorni di riposo;

7. il motivo non è fondato;

8. la Corte di merito ha infatti richiamato il precedente di legittimità, cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui, in tema di servizio medico di pronta disponibilità, va esclusa la nullità dell’art. 7, comma 9, del c.c.n.l. del 20 settembre 2001, integrativo del c.c.n.l. comparto Sanità del 7 aprile 1999, per violazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 66 del 2003, in quanto tale norma si limita a disciplinare il trattamento economico spettante per le ore effettivamente prestate in regime di cd. reperibilità attiva, sicché, in caso di chiamata effettiva del dipendente, e a prescindere da una sua richiesta, andrà comunque riconosciuto il diritto alla fruizione del riposo compensativo, nel rispetto dell’art. 36 Cost. e dell’art. 5 della Direttiva n. 2003/88/CE (Cass. n. 6491/2016); invero, la norma contrattuale disciplinante la reperibilità attiva è destinata unicamente a disciplinare il trattamento economico spettante per le ore di effettiva prestazione rese a seguito dell’assicurato servizio di pronta disponibilità (con previsione di una maggiorazione giustificata dalla gravosità della prestazione in quanto resa in ora notturna o in giorno festivo) e la stessa non incide, neppure indirettamente, sulla durata complessiva settimanale dell’attività lavorativa e sul diritto del dipendente alla fruizione del necessario riposo settimanale, che restano disciplinati delle disposizioni dettate dai diversi contratti succedutisi nel tempo in tema di orario di lavoro e di riposo; da ciò discende che, ove il dipendente in servizio di pronta disponibilità venga chiamato a rendere la prestazione, l’azienda, oltre a corrispondere la maggiorazione prevista dai comma 9 (o in alternativa, su richiesta del dipendente, il permesso compensativo di cui all’art. 40 del CCNL) dovrà comunque garantire allo stesso il riposo settimanale, a prescindere da una sua richiesta, trattandosi di diritto indisponibile, riconosciuto dalla Carta costituzionale oltre che dall’art. 5 della direttiva 2003/88/CE, in conformità al precetto inderogabile dettato dall’art. 9 del d. Igs. n. 66/2003;

9. tali principi di ordine generale sono applicabili al caso di specie, in cui non è configurabile un complessivo vantaggio del lavoratore, o comunque un’indifferenza degli effetti, perché l’effetto pregiudizievole per il lavoratore è consistito nella perdita del riposo settimanale, che è un diritto autonomo e specificamente tutelato dalla legge, e che non è analogo a, o sostituibile con, la distribuzione del riposo su base oraria, per così dire, spalmata, sull’arco dei sette giorni, né può essere superato con la sua monetizzazione, ancorchè maggiormente remunerata a titolo di lavoro straordinario, trattandosi di diritto (al riposo settimanale, e non solo al riposo giornaliero) garantito a tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore, e riconducibile in ultima istanza all’area di tutela presidiata dall’art. 2087 c.c.;

10. non vi è luogo a provvedere sulle spese del grado;

11. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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