Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 marzo 2023, n. 8453

Lavoro, Licenziamento, Irregolarità nella registrazione della presenza in servizio e dei relativi orari di entrata e uscita, Anche un solo episodio di falsa attestazione delle presenze può valere a determinare il licenziamento, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza in data 23 dicembre 2021, la Corte d’appello di Genova respingeva il reclamo proposto da (…) dipendente del Comune di (…) con funzioni di coordinatrice dei Servizi educativi di prima infanzia (funzionario D5, profilo tecnico), avverso la sentenza del Tribunale di (…) a sua volta reiettiva dell’impugnativa di licenziamento per giusta causa intimato in data 10.2.2016.

Il licenziamento in parola aveva fatto seguito a una contestazione del 20.11.2015, relativa a plurime irregolarità nella registrazione della presenza in servizio, e dei relativi orari di entrata e uscita, ritenuta adeguatamente comprovata alla stregua delle risultanze delle indagini della Guardia di finanza che avevano dato luogo anche a un giudizio penale chiusosi poi, per la con l’assoluzione.

2. Per quanto ancora in discussione, la Corte territoriale, riteneva che avesse autonomamente valutato gli atti del procedimento penale, accertando la violazione degli obblighi di attestazione delle presenze, profilo (questo) di rilevanza oggettiva, senza che potesse configurarsi una commistione tra il procedimento disciplinare e quello penale, con violazione dell’art. 55 bis comma 4 d.lgs. n. 165/2001.

Osservava che gli episodi contestati erano in realtà quattro (17 gennaio, 5 febbraio, 11 giugno e 16 settembre 2014), ma aggiungeva che anche uno solo di essi avrebbe potuto valere a giustificare il licenziamento; le condotte addebitate erano rimaste tutte comprovate, e, previa verifica dell’elemento intenzionale o colposo (quest’ultimo «quanto meno» configurabile nella specie), nonché dell’assenza di scriminanti, il giudice d’appello avrebbe dovuto tener conto del «rigore della norma», che tipizzava le condotte in esame come atte a giustificare il recesso, misura disciplinare senz’altro adeguata e proporzionata alla gravità delle infrazioni.

3. Non rilevava il fatto che la (…) potesse non avere tratto benefici economici dalla falsa attestazione degli orari di servizio, atteso che ciò avrebbe potuto riguardare solo alcuni degli episodi descritti e non certo il primo di essi, che era il più grave in considerazione dei ripetuti «tentativi della ricorrente di alterare la realtà dei fatti», con sicura lesione, anche per tal guisa, dell’elemento fiduciario, qui particolarmente intenso per le «delicate e importanti funzioni» svolte, con espletamento anche all’esterno degli uffici comunali e, dunque, inevitabile difficoltà di controllo da parte datoriale.

4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza (…) articolato in cinque motivi, assistiti da memoria, opposti dal Comune di (…) con controricorso.

5. La Procura generale ha rassegnato conclusioni scritte ex art. 23, comma 8 bis, del d.l. n. 137/2020, conv. dalla legge n. 176/2000, e ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Preliminarmente, quanto alla produzione della sentenza penale di assoluzione in sede di memoria difensiva ex art. 378 cod. proc. civ., va osservato che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 cod. proc. civ., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della “regula iuris” alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità.

Ne consegue che va in questi casi ritenuta l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 c.p.c. (Cass. 27321 del 2021, Cass. 22376 del 2017, Cass. n. 23483 del 2010).

2. Con il primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 55 bis comma 4 d.lgs. n. 165/2001 (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.).

La Corte d’Appello ha ritenuto erroneamente che l’ingerenza indebita di militari della Guardia di finanza – e, dunque, di soggetti estranei e non connotati da terzietà – nell’istruttoria disciplinare non costituirebbe violazione di legge, e aveva errato nel trascurare che il fatto costituente addebito disciplinare era stato, con sentenza penale di assoluzione (con formula «per insussistenza del fatto»), ritenuto insussistente.

2.1 Il motivo è infondato

Il procedimento è stato instaurato, e concluso, (…) competente e la dedotta nullità sarebbe al più seguita ove fosse stato instaurato da soggetto diverso rispetto al già menzionato ufficio (Cass. n. 17357/2019); sicché, la lamentata partecipazione o l’indebita ingerenza di soggetti estranei non si riflette, come opina la difesa della ricorrente, in termini di nullità.

Aggiungasi, in proposito, che la Corte di merito ha affermato, con valutazione di fatto incensurabile in questa sede, che nella specie (…) ha operato con autonoma valutazione della vicenda disciplinare; né può sostenersi, sotto altro verso, che occorreva attendere l’esito del giudizio penale: secondo principi ormai acquisiti nel pubblico impiego privatizzato l’art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, inserito dal d.lgs. n. 150 del 2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass. n. 8410 del 2018; Cass. n. 29376 del 2018).

La censura è, nel resto, infondata.

Nella specie, la (…) dà atto che, anche al momento della notifica del ricorso per cassazione, la sentenza della Corte d’appello di Genova non era ancora passata in giudicato («passerà in giudicato, con ogni probabilità, nel corso del prossimo mese di giugno 2022», così a a pag. 3 del ricorso), sicché un problema di applicabilità della disposizione dell’art. 654 cod. proc. pen. neppure si pone.

3. Con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.). La Corte d’Appello ha ritenuto provato un addebito in via presuntiva, fondando l’inferenza su fatti e presunzioni non connotati da gravità, precisione e concordanza ed anzi smentiti da prove testimoniali, completamente ignorate. La ricorrente sottopone a un analitico riesame tutte le risultanze dell’istruttoria, assumendo che la Corte le avrebbe travisate.

3.1 Il motivo è inammissibile

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, n. 1785/2018) hanno precisato che la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 cod. civ. si può formulare quando il giudice di merito affermi che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice del merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. Cass. n. 9054/2022).

Non può avere ingresso in questa sede il tentativo di prospettare una diversa ricostruzione dei fatti e/o di sottoporre a revisione le risultanze istruttorie, atteso che, così facendo, le doglianze, sotto l’apparente deduzione di una violazione di legge per violazione dei principi che sovrintendono alla prova per presunzioni, si rivelano più che altro finalizzate a un riesame del merito, chiaramente precluso in questa sede (Cass. n. 6960/2020).

4. Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 55 quater d.lgs. n. 165/2001 (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) il motivo contesta la sussunzione nelle norme in rubrica di tre episodi. Quello del 5 febbraio 2014 in relazione al quale la Corte d’appello ha erroneamente affermato che non rilevasse accertare se la condotta sia stata colposa o dolosa. In realtà il fatto che la dipendente avesse avvertito il proprio dirigente del rientro anticipato a casa escluderebbe il dolo.

Quello dell’11 giugno 2014 che non poteva essere sussunto nella fattispecie legale perché connotato da assenza di danno per l’amministrazione e da mera colpa. Ed infine, quello de 16 settembre 2014 dove la Corte d’appello ha sussunto nella fattispecie legale un allontanamento estraneo all’orario di lavoro della ricorrente.

4.1 II terzo motivo è inammissibile anzitutto per carenza di interesse.

Esso infatti censura le valutazioni del giudice d’appello in relazione a tre episodi: 5 febbraio 2014, 11 giugno 2014, 16 settembre 2014, non anche in riferimento a quello del 17.1.2014, peraltro ritenuto dal giudice d’appello come di maggiore gravità; eppure la Corte di merito, con passaggio argomentativo (si noti) non specificamente censurato e idoneo a sorreggere la motivazione, aveva rilevato in sentenza come comunque «anche un solo episodio di falsa attestazione delle presenze può valere a determinare il licenziamento». Il motivo è comunque infondato per l’accertamento puntuale, contenuto nella sentenza impugnata, delle condotte contestate e l’assenza di circostanze scriminanti.

5. Con il quarto motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.) per avere la sentenza impugnata ritenuto proporzionato il licenziamento, senza considerare che l’accertata presenza di un elemento soggettivo connotato da mera colpa, unitamente agli altri elementi emersi in causa, avrebbe dovuto portare a concludere per una valutazione di segno opposto.

5.1 La censura, là dove è formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. non è conforme al testo dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 5 come novellato dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012, ed inoltre incontra l’ulteriore sbarramento della «doppia conforme» ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., norma introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. a) del medesimo d.l. n. 83/2012 e applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge.

6. Con il quinto mezzo lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2106 cod. civ. e dell’art. 55 bis d.lgs. n. 165/2001 (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) si censura l’incoerenza della decisione in relazione «agli standards conformi ai valori dell’ordinamento» perché la Corte di merito non avrebbe compiutamente valutato i fatti nella loro componente oggettiva e soggettiva che ne sminuiva la gravità.

6.1 Anche tale critica va disattesa.

Non risponde al vero che la Corte territoriale non abbia valutato la gravità della condotta, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi. Si deve qui ribadire che, anche in presenza di uno degli illeciti tipizzati dall’art. 55 quater d.lgs. n. 165/2001 , va escluso qualsivoglia automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare (Cass. n. 1351/2016, Cass. n. 18326/2016, Cass. n. 18858/2016, Cass. n. 24574/2016), perché della norma deve essere fornita un’interpretazione orientata al rispetto dei principi costituzionali.

Il Giudice delle leggi, infatti, esaminando diverse disposizioni legislative che prevedevano automatismi espulsivi, ha ritenuto che la privazione di una valutazione di graduazione della sanzione in riferimento al caso concreto vulnera i principi della tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.), del buon andamento amministrativo (art. 97 Cost.) e quelli fondamentali di ragionevolezza (i.e., art. 3 Cost., cfr. Corte Cost. n. 971/1988 e Corte Cost. n. 706/1996 in materia di destituzione di diritto; Corte Cost. n. 170/2015 in materia di trasferimento obbligatorio in caso di violazione di specifici doveri da parte dei magistrati).

E’ stato, però, evidenziato anche, in relazione all’assenza ingiustificata, che «la disposizione normativa cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa» (Cass. n. 18326/2016).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, dopo avere escluso, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, la fondatezza delle giustificazioni fornite dalla (…) ha anche evidenziato che l’addebito contestato, per la sussistenza dell’elemento soggettivo («quanto meno della colpa») e per la sua gravità, era idoneo a integrare una giusta causa di licenziamento, non solo sulla base della previsione normativa, ma anche «per le delicate e importanti funzioni svolte dalla (…) per il fatto che il suo servizio «si svolgeva in maniera rilevante all’esterno con minor possibilità di controllo del Comune», vuoi per l’irrilevanza, in riferimento ad alcuni episodi, dell’assenza di benefici economici collegati alla falsa attestazione. La pronuncia risulta, pertanto, rispettosa del principio di diritto sopra enunciato.

7. Conclusivamente, alla stregua dei rilievi suesposti, il ricorso è da rigettare, con addebito alla parte soccombente delle spese processuali ex art. 91 cod. proc. civ., liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro € 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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