Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 marzo 2023, n. 8663

Lavoro, Graduazione delle funzioni dirigenziali e connessa pesatura degli incarichi, Risarcimento del danno, Indennità di posizione variabile, Accoglimento

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza in data 4 maggio 2021, la Corte d’appello di Palermo accoglieva il gravame di (…) dipendente della (…) (in seguito ASP) con la qualifica di dirigente medico, titolare di incarico professionale di alta specializzazione ex art. 27 lett. C del CCNL Dirigenza medica, avverso la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda, da lei proposta nei confronti dell’ASP, volta a conseguire il risarcimento del danno per inadempimento dell’obbligo contrattuale consistente nella graduazione delle funzioni dirigenziali e nella connessa pesatura degli incarichi, necessarie per corrispondere la parte variabile dell’indennità di posizione aziendale.

2. La Corte palermitana rilevava che la corresponsione dell’indennità di posizione variabile era condizionata all’approvazione, da parte datoriale, di un provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali fondato, ai sensi dell’art. 53 CCNL di settore del 5.12.1996, sulla diversa pesatura di ciascun incarico in base all’importanza e alla complessità, da adottarsi all’esito di iter procedurale non postergabile immotivatamente.

3. La mancata attivazione delle procedure de quibus, pur non consentendo una sostituzione dell’autorità giudiziaria all’Amministrazione nella determinazione del quantum dovuto, integrava inadempimento di un preciso obbligo contrattuale, fonte di responsabilità ex art. 1218 cod. civ., salva la prova che l’inadempimento fosse dipeso da causa non imputabile.

4. L’azienda aveva solo dedotto di avere, per effetto della delibera commissariale n. 320/2013, provveduto, in una situazione precaria, al riconoscimento (dal 1.1.2013) dell’integrazione dell’indennità di posizione parte variabile, circostanza irrilevante avendo la lavoratrice formulato le sue pretese con riferimento al periodo precedente al 1.1.2013, talché il giudice d’appello andava a commisurare il pregiudizio patrimoniale, per il periodo 1.3.2008/31.12.2012, quantificandolo in € 9.436,00, ed utilizzando, quale parametro equitativo, gli importi minimi (€. 150/mese per gli incarichi di alta specializzazione) erogati a far data dal 1.1.2013 in ragione dell’incarico effettivamente assegnato e tenuto conto del solo periodo di inadempimento.

In senso contrario, non valeva invocare, ad avviso della Corte palermitana, la delibera n. 397/2007 dell’AUSL di cui I’ASP era subentrata, perché essa, ancorché confermata con la delibera n. 44/2011, non integrava una pesatura degli incarichi come si evinceva dalla più recente delibera n. 320/2013, la cui testuale formulazione appalesava la «volontà dell’ente di sanare una situazione pregressa, protrattasi per oltre 10 anni, di inadempienza, liquidando, in attesa della definizione dell’iter procedurale propedeutico alla pesatura degli incarichi, l’indennità nella sua parte variabile».

5. Con atto notificato il 3.11.2021, l’ASP di (…) ricorreva per cassazione con cinque motivi, assistiti da memoria; la (…) si opponeva con controricorso, illustrato da memoria.

6. La Procura generale ha rassegnato conclusioni scritte ex art. 23, comma 8 bis, del d.l. n. 137/2020, conv. dalla legge n. 176/2000, e ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., poiché la Corte d’appello di Palermo ha pronunciato oltre i limiti della domanda riconoscendo alla ricorrente, a titolo di risarcimento del danno per il periodo dal 01.03.2008 al 31.12.2012, la somma di € 150,00 mensili per dodici mensilità, oltre la 13^ per un totale di € 9.450,00, mentre nel ricorso introduttivo la ricorrente si era limitata a chiedere la condanna della «ASP di (…) a corrispondere alla ricorrente la somma di € 150,00 per ogni mese dal 01.03.2008 al 31.12.2012», senza mai formulare alcuna domanda in ordine alla 13^ mensilità nelle conclusioni del ricorso o nel corpo del medesimo, né nell’ulteriore corso del giudizio di primo e di secondo grado.

2. Il motivo è fondato.

3. Dalla lettura degli atti del giudizio di merito, cui questa Corte ha accesso come giudice del “fatto processuale” (Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 13 ottobre 2022, n. 29952), si ricava (v. conclusioni del ricorso introduttivo, pag. 8) che la (…) chiedeva di parametrare la liquidazione del danno alla somma di € 150/mese dal 1.3.2008 al 31.12.2012, e con esclusione d’ogni accenno alla 13^ mensilità, invece attribuita come posta risarcitoria a pag. 9 della sentenza. In presenza di una domanda risarcitoria delimitata nel suo esatto ammontare (€. 8.700), era all’evidenza precluso al giudice del merito eccedere rispetto al petitum.

Ne consegue, quindi, l’accoglimento del motivo.

4. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., poiché la non aveva formulato nel giudizio di primo grado la domanda poi accolta dalla Corte d’appello; la (…) si era limitata, infatti, a chiedere il risarcimento del danno per il mancato versamento a suo favore della “parte variabile” dell’indennità di posizione, mentre il giudice d’appello aveva condannato I’ASP al risarcimento del danno ex  art. 1218 cod. civ. per l’inadempimento contrattuale conseguente alla mancata pesatura degli incarichi dirigenziali.

Trattasi, ad avviso dell’ASP, di due diversi titoli risarcitori, sebbene entrambi si riferiscano all’inadempimento contrattuale ex art. 1218 cod. civ.

5. Il motivo non è fondato.

6. Contrariamente a quanto opina l’Azienda, dalla disamina del ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. (cfr. in particolare a pag. 5) si evince che il presupposto della domanda risarcitoria era l’inadempimento all’obbligo di graduazione e pesatura degli incarichi («l’attivazione del procedimento di graduazione costituiva una precisa obbligazione da adempiere in tempi ragionevoli […] il suo mancato espletamento comportava l’impossibilità di versare la parte variabile dell’indennità di posizione e, non risultando giustificato da alcun valido motivo, determinava l’insorgere a carico dell’amministrazione dell’obbligazione di risarcire il danno in applicazione dell’art. 1218 cod. civ.»); tanto basta per la reiezione del motivo.

7. Il terzo mezzo viene proposto, ex art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame circa uno o più fatti decisivi per il giudizio, e/o ex art. 360 comma 1 n. 3, per violazione o falsa applicazione degli artt. 115-116 cod. proc. civ., e/o comunque ex art. 360 comma 1 n. 4, cod. proc. civ.: l’ASP si duole del fatto che il Giudice di appello non avrebbe preso in considerazione la delibera n. 397/2007 dell’ex AUSL n. 1 di (…) che aveva provveduto alla pesatura e graduazione degli incarichi dirigenziali e la successiva deliberazione n. 44/2011 dell’A.S.P. di (…) che aveva confermato gli incarichi dirigenziali affidati dall’ex AUSL n. 1 di (…) non ancora scaduti, mantenendo il medesimo trattamento economico già in godimento determinato sulla base della graduazione e pesatura di cui alla delibera 397/2007 dell’AUSL n.1 di (…) sopra citata.

L’ASP di (…) prima della sua costituzione in data 01.09.2009, non poteva essere gravata di un obbligo di procedere alla graduazione degli incarichi dirigenziali; successivamente, con delibera 44/2011, confermativa di quella n. 397/2007 dell’ex AUSL n. 1 di (…) aveva adempiuto a tale obbligo, determinando «l’indennità di posizione unificata graduata», comprensiva della quota minima tabellare contrattuale e dell’indennità di posizione variabile aziendale che, nel caso della (…) era «pari a zero». Le circostanze dianzi evidenziate, emergenti dalla documentazione prodotta dall’ASP, non erano state contestate nel corso del giudizio e il giudice del merito avrebbe dovuto esaminarle, pena la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dei principi in tema di disponibilità delle prove.

8. Il motivo è, prima ancora che infondato, inammissibile sotto plurimi profili.

Da un canto si prospettano doglianze eterogenee (art. 360 nn. 3-4-5 cod. proc. civ.), che vengono articolate in modo non perspicuo, rimettendo sostanzialmente a questa Corte il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo; tanto si risolve nell’inammissibile attribuzione al giudice di legittimità del compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze della ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (da ultimo, tra tante, in tal senso, Cass. n. 26874 del 2018).

La critica poi, laddove formulata come omessa valutazione di fatto decisivo, non è conforme al testo dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 5, come novellato dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012 (e, in ogni caso, il giudice d’appello ha motivato prendendo in considerazione il compendio documentale come richiamato dall’ASP).

Non risultano, peraltro, assolti dalla ricorrente gli ulteriori oneri legati al principio di autosufficienza (art. 366 n. 6 cod. proc. civ.), mancando la trascrizione del contenuto delle delibere di cui I’ASP assume l’erronea valutazione e interpretazione da parte del giudice d’appello. Evocare, infine, un esonero da responsabilità per l’inadempimento pregresso al formale subentro di ASP all’AUSL, significa eclissare la vicenda successoria intervenuta con le AUSL ai sensi dell’art. 8 comma 2 legge reg. Sicilia n. 5/2009, con subentro delle ASP in tutti i rapporti attivi e passivi delle disciolte AUSL.

Aggiungasi (solo per completezza) che il motivo, sotto l’apparente deduzione di una violazione di legge, sembra più che altro finalizzato a conseguire una terza “lettura” del compendio documentale, e dunque un riesame del merito, precluso in questa sede di legittimità (Cass. n. 6960/2020). La Corte d’appello aveva .. ritenuto, infatti, che la delibera n. 397/2007 dell’AUSL di (…) cui I’ASP era subentrata, e la delibera n. 44/2011, non integrassero affatto una pesatura degli incarichi, e che fosse pienamente configurabile, pertanto, un inadempimento dell’Azienda, il che si evinceva (sempre ad avviso della Corte distrettuale) dalla successiva delibera n. 320/2013, la cui formulazione rendeva palese la «volontà dell’ente di sanare una situazione pregressa, protrattasi per oltre 10 anni, di inadempienza, liquidando, in attesa della definizione dell’iter procedurale propedeutico alla pesatura degli incarichi, l’indennità nella sua parte variabile» (così testualmente a pag. 8 della sentenza impugnata).

9. Con il quarto motivo, formulato ex art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., viene dedotta violazione o falsa applicazione di norme di diritto (d.lgs. n. 165/2001, artt. 22 e 24) e di contrattazione collettiva (artt. 51 del CCNL 5.12.1996, e gli artt. 52, 53, 54, 55 e 57, comma 4, del medesimo CCNL del 5.12.1996, agli artt. 26, 27, 35, 39 e 40 del CCNL 08.06.2000, all’art. 24 comma 11 del CCNL 03.11.2005 della Dirigenza Medico Veterinaria), per aver la Corte d’appello erroneamente applicato – e interpretato – la normativa in materia di determinazione della retribuzione di parte variabile aziendale; nonché (ancora) viene denunciata la violazione degli  artt. 1362 e 1363 e 2697 cod. civ. e degli artt. 115-116 cod. proc. civ. in materia di prove.

Osserva la ASP ricorrente che la graduazione degli incarichi dirigenziali è il frutto della discrezionalità datoriale, insindacabile da parte del giudice, con l’unico limite che l’intero trattamento della retribuzione di posizione (parte fissa e parte variabile contrattuale nonché l’eventuale quota di determinazione aziendale) non potrebbe scendere al disotto del trattamento previsto dalla contrattazione collettiva (v. art. 57 comma 4 CCNL 5.12.1996); il comportamento dell’Asp sul punto era, quindi, legittimo.

Nella specie, l’ASP di (…) all’indomani della sua nascita, aveva provveduto, con delibera n. 44/2011, alla relativa graduazione degli incarichi, confermando quella già operata dall’AUSL di (…) con delibera n. 397/2007, la quale aveva determinato il valore dell’incarico della (…) in misura “pari a zero”, con conseguente assorbimento della variabile aziendale nella minima contrattualmente stabilita («indennità di posizione unificata graduata»), regolarmente percepita dalla dirigente fino al 31.12.2012.

10. Con il quinto, ed ultimo, mezzo, si denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di diritto, dolendosi I’ASP che la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato gli artt. 1226 e 2056 cod. civ.; ad avviso dell’ASP, trattavasi di tipologia di danno per cui non poteva operare una valutazione equitativa. Risulta, secondo la ricorrente, irragionevole che il danno da inadempimento sia identico nel quantum alla lesione per mancata corresponsione dell’indennità di posizione “parte variabile” stabilità all’esito di un iter procedurale che era presupposto necessario per il riconoscimento delle somme de quibus.

11. I due motivi, non esenti da profili di inammissibilità, per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente.

Essi sono destituiti di fondamento.

In particolare, la quarta censura, per come articolata, viola il principio di autosufficienza, nella parte in cui invoca un’interpretazione (diversa da quella operata dalla Corte di merito) della delibera n. 44/2011, senza trascriverne, neanche nelle parti salienti, il contenuto.

Inoltre, tale doglianza, laddove ripropone una diversa lettura della documentazione in atti, mira a una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito e si risolve in una critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto sottesi all’accertato inadempimento, sollecitandone la revisione, non consentita in sede di legittimità.

Da disattendere sono anche i rilievi dell’ASP sull’assoluta discrezionalità datoriale nell’attività di graduazione e pesatura degli incarichi, come tale insindacabile dal giudice, e in punto di violazione dell’art. 1226 cod. civ.

Invero, nella protratta inerzia dell’amministrazione nel procedere alla graduazione e pesatura degli incarichi dirigenziali, il giudice d’appello poteva bensì parametrare equitativamente il pregiudizio patito al “bene perduto”, e ciò proprio perché il minimum di indennità poi riconosciuto con la delibera n. 320/2013 era stato commisurato alla natura dell’incarico («alle tipologie di incarico ricoperte per come descritte analiticamente dall’art. 27 CCNL dell’8.6.2000»);

quest’ultimo espletato, anche nel pregresso (fatto incontestato), dal dirigente medico.

L’ammontare del danno è stato, pertanto, determinato dal giudice d’appello tenendo conto (appunto) del minimum dell’indennità di posizione “parte variabile” attribuita alla solo ex post e a far tempo dal 1.1.2013. Peraltro, detto minimum costituisce proprio un elemento valutabile, in via equitativa, per quantificare il risarcimento da perdita di chance della Così argomentando, la Corte territoriale ha adottato, a ben vedere, una pronuncia che si appalesa in sintonia con l’indirizzo di questa Corte (Cass., Sez. L, 9 marzo 2023, n. 7110) la quale, recentemente intervenuta su questione in parte sovrapponibile, ha enunciato alfine i seguenti principi di diritto.

“In tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per l’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi, nel cui ambito la fase di consultazione sindacale, finalizzata anche a determinare l’ammontare delle risorse destinate al pagamento della quota variabile della retribuzione di posizione definita in sede aziendale e dipendente dalla graduazione delle funzioni, ha carattere endo-procedimen tale; il mancato rispetto dei termini interni che ne scandiscono lo svolgimento, l’omessa conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto collettivo e le eventuali problematiche concernenti il fondo espressamente dedicato, ai sensi del medesimo contratto collettivo, alla quantificazione della menzionata quota variabile non fanno venir meno di per sé l’obbligo gravante sulla P.A. di attivare e concludere la procedura diretta all’adozione di tale provvedimentoff.

“La violazione dell’obbligazione della P.A. di attivare e completare il procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi legittima il dirigente medico interessato a chiedere non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione. A tal fine, il dirigente medico è tenuto solo ad allegare la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento della controparte; il datore di lavoro è gravato, invece, dell’onere della prova dei fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa o della dimostrazione che il proprio inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile”.

“Il danno subito dal dirigente medico della sanità pubblica per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione, conseguente all’inadempimento della P.A. all’obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi a tal fine necessaria, può essere liquidato dal giudice anche in via equitativa; in proposito il dipendente deve allegare l’esistenza di tale danno e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, inteso in modo da ricomprendere nel detto risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c. d. regolarità causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità”.

Orbene, dai principi di diritto enunciati da questa Corte, sopra trascritti, si desume all’evidenza l’infondatezza dei restanti rilievi contenuti nel quarto e nel quinto motivo di ricorso dell’ASP.

12. Conclusivamente, per le ragioni indicate, va accolto il primo motivo, mentre i restanti sono tutti da respingere; la sentenza impugnata deve essere, conseguentemente, cassata nei limiti del motivo accolto.

13. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può procedersi alla pronuncia nel merito, ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ., sulla domanda risarcitoria, come in origine proposta.

14. Ferma la statuizione sulle spese di lite dei due gradi di merito, quelle del giudizio di legittimità possono essere compensate per un terzo, tenuto conto dell’esito del giudizio, mentre i residui due terzi – liquidati in dispositivo – sono posti a carico dell’ASP per il principio della soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, respinge gli altri, cassa, nei limiti del motivo accolto, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, riduce l’entità del risarcimento del danno alla somma di € 8.700,00 oltre interessi legali dal dì della domanda al saldo, fermo il resto.

Condanna la ricorrente alla rifusione dei due terzi delle spese del giudizio di legittimità, liquidati in € 2.000,00 per compensi professionali, oltre € 133,33 per esborsi e 15% per rimborso forfettario; compensa il terzo residuo.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 marzo 2023, n. 8663
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