Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 marzo 2023, n. 8944
Licenziamento disciplinare, Contratti a tempo determinato, Pagamento retribuzioni che sarebbero maturate dalla data del primo recesso, Falsa dichiarazione sul possesso di titoli
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Ancona ha respinto l’appello proposto da (…) avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso volto ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità dei licenziamenti disciplinari intimati dal Ministero dell’Istruzione in date 20 dicembre 2018 e 4 febbraio 2019 e la conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento delle retribuzioni che sarebbero maturate dalla data del primo recesso sino al 30 giugno 2019, termine di scadenza del contratto a tempo determinato.
2. Alla (…) docente della scuola primaria destinataria di supplenza sino al termine delle attività didattiche, era stato contestato, con atto dell’11 ottobre 2018, di avere ottenuto precedenti incarichi temporanei presso istituti scolastici della provincia di (…) rendendo una falsa dichiarazione sul possesso del titolo necessario per l’insegnamento su posti di sostegno, condotta, questa, in relazione alla quale era stato instaurato processo penale per il delitto di truffa aggravata, processo definito dal Tribunale di Foggia con sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen..
L’amministrazione aveva, poi, avviato un secondo procedimento disciplinare, egualmente concluso con l‘irrogazione della sanzione espulsiva, contestando alla docente di avere omesso di dichiarare, in occasione dell’assunzione in servizio presso l’Istituto (omissis), di avere riportato la condanna penale sopra citata.
3. La Corte territoriale, riassunti i fatti di causa e i motivi di impugnazione, ha rilevato, in sintesi, che la falsa attestazione di titoli non sussistenti effettuata per ottenere un incarico precedente, diverso da quello in corso con la medesima amministrazione, non può integrare né un’ipotesi di decadenza automatica ex art. 127 lett. d) del d.P.R. n. 3/1957 né la fattispecie di licenziamento tipizzata dall’art. 55 quater, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 165/2001, perché entrambe si riferiscono a condotte finalizzate all’instaurazione del rapporto di impiego rispetto al quale il potere disciplinare è esercitato.
Ciò, peraltro, non esclude che la falsa attestazione del possesso del titolo, accertata con sentenza passata in giudicato, possa comunque rilevare come giusta causa di recesso, qualora sia di gravità tale da pregiudicare in modo irreparabile il vincolo fiduciario anche in successivi rapporti instaurati con il medesimo datore di lavoro. In tal caso, infatti, trova applicazione il principio, di carattere generale, secondo cui la fiducia può essere lesa da comportamenti extralavorativi tenuti dal dipendente, principio sotteso alla previsione, contenuta nel C.C.N.L. di comparto, del licenziamento senza preavviso in caso di condanna passata in giudicato per delitto commesso al di fuori del servizio, di natura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto.
4. La Corte distrettuale ha, quindi, condiviso le conclusioni alle quali era già pervenuto il Tribunale quanto alla legittimità del primo licenziamento intimato ed ha ritenuto che la condotta contestata, accertata con efficacia di giudicato nel processo penale, fosse di gravità tale da giustificare il recesso per giusta causa, sia per il suo disvalore intrinseco, sia perché per il personale della scuola assunto a tempo determinato si realizza una fisiologica continuità nel conferimento degli incarichi, dal momento che i contratti stipulati in passato hanno incidenza sull’assegnazione di quelli futuri, facendo maturare punteggio rilevante ai fini della formazione delle graduatorie.
5. Ha aggiunto che ai fini del giudizio di proporzionalità dovevano essere valorizzati, da un lato, la pluralità degli incarichi ottenuti in conseguenza della falsa attestazione e, dall’altro, anche la condotta tenuta successivamente (oggetto specifico del secondo procedimento), perché la (…) non aveva mostrato alcun segno di resipiscenza ed anzi aveva ulteriormente indotto in errore l’Amministrazione omettendo la doverosa dichiarazione sulla sentenza di applicazione della pena sopra indicata.
6. Per la cassazione della sentenza (…) ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, al quale ha opposto difese con controricorso il Ministero dell’Istruzione.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 55 quater, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 165/2001 nonché dell’art. 127, lett. d) del d.P.R. n. 3/1957 e addebita, in sintesi, al giudice del merito di avere disatteso il principio di diritto enunciato da questa Corte con la sentenza n. 18699/2019. Sostiene la ricorrente che il licenziamento senza preavviso non poteva essere irrogato in relazione a falsità documentali commesse per ottenere l’instaurazione di altro rapporto di lavoro ormai risolto. Contesta, poi, la ritenuta proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata, a suo dire non idonea a ledere il vincolo fiduciario, tanto più che la docente non era consapevole della irregolarità del corso frequentato ed era stata, non autrice, bensì vittima di una truffa.
2. Il ricorso deve essere rigettato.
Il motivo presenta profili di inammissibilità nella parte in cui insiste nel sostenere che la sanzione espulsiva non poteva essere inflitta ai sensi dell’art. 55 quater lett. d) del d.lgs. n. 165/2001, trattandosi di disposizione applicabile alla sola ipotesi in cui il falso documentale sia stato commesso in occasione dell’instaurazione del rapporto di impiego, nell’ambito del quale il potere disciplinare è esercitato.
La censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata ed è priva di specifica attinenza al decisum in quanto, come si è evidenziato nello storico di lite, la Corte territoriale ha dato atto dell’impossibilità di sussumere l’illecito contestato nella fattispecie tipizzata dall’art. 55 quater lett. d) del d.lgs. n. 165/2001, in ragione dell’estraneità della condotta rispetto all’instaurazione del rapporto a tempo determinato risolto all’esito del procedimento disciplinare.
Infatti, a fondamento della ritenuta legittimità del primo licenziamento intimato, il giudice d’appello ha richiamato il principio, di carattere generale, secondo cui la giusta causa di recesso può essere integrata anche da comportamenti tenuti dal lavoratore al di fuori dello specifico rapporto di lavoro, a condizione che gli stessi siano di gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.
2.1. Così ragionando il giudice d’appello non è incorso in alcuna violazione di legge, innanzitutto perché, come è reso evidente dall’incipit dell’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001 (Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste da contratto collettivo….), le fattispecie tipizzate dal legislatore non esauriscono quelle nelle quali è consentito il licenziamento del dipendente, sicché l’impossibilità di ricondurre la condotta ad una delle ipotesi tipiche di per sé non esclude che la condotta possa integrare una «giusta causa», ravvisabile ogniqualvolta venga irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario, che è alla base del rapporto, perché il datore di lavoro deve poter confidare sulla leale collaborazione del prestatore e sul corretto adempimento delle obbligazioni che dal rapporto scaturiscono a carico di quest’ultimo.
2.2. Questa Corte da tempo ha affermato che la fiducia, che è fattore condizionante la permanenza del rapporto, può essere compromessa, non solo in conseguenza di specifici inadempimenti contrattuali, ma anche in ragione di condotte extralavorative che, seppure tenute al di fuori dell’impresa o dell’ufficio e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione, nondimeno possono essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti qualora abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto e compromettano le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività (cfr. fra le tante Cass. n. 24023/2016 e Cass. n. 17166/2016).
Muovendo da detta premessa, si è poi detto che le condotte extralavorative che possono assumere rilievo ai fini dell’integrazione della giusta causa afferiscono non alla sola vita privata in senso stretto, bensì a tutti gli ambiti nei quali si esplica la personalità del lavoratore e non devono essere necessariamente successive all’instaurazione del rapporto, sempre che si tratti di comportamenti appresi dal datore dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate al dipendente e dal ruolo da quest’ultimo rivestito nell’organizzazione aziendale. Possono, di conseguenza, rilevare anche le condotte tenute dal lavoratore in occasione di altro rapporto di lavoro, tanto più se omogeneo rispetto a quello in cui il fatto viene in considerazione (Cass. n. 428/2019 che richiama un principio già affermato da Cass. n. 15373/2004).
A maggior ragione il principio, che deve essere qui ribadito, consente di ravvisare la giusta causa di recesso qualora, come nella fattispecie, si susseguano fra le medesime parti più rapporti a tempo determinato e vengano in rilievo condotte poste in essere in occasione di uno di detti rapporti, seppure antecedente rispetto a quello in relazione al quale il potere è esercitato.
In tali casi, seppure non sia ravvisabile un illecito disciplinare in senso stretto, che presuppone un inadempimento del dipendente rispetto ai doveri che scaturiscono dal rapporto al quale si riferisce l’intimazione del licenziamento, nondimeno non può essere esclusa la legittimità dell’atto, ove dalla condotta extralavorativa, valutata in relazione a tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi del caso concreto, si possa desumere l’‘irrimediabile lesione del vincolo fiduciario, inteso nei termini sopra indicati.
2.3. La Corte territoriale non si è discostata dai richiamati principi ed ha compiuto l’accertamento di fatto riservato al giudice del merito, pervenendo a ravvisare detta lesione in ragione della gravità «quantitativa» e «qualitativa» del comportamento tenuto e valorizzando anche il collegamento che, per le peculiarità proprie del sistema di reclutamento in ambito scolastico, si instaura fra i rapporti a termine che si susseguono fra le parti.
2.4. Il ricorso nella parte in cui contesta il giudizio di proporzionalità e la ritenuta sussistenza della giusta causa di recesso, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di norme di legge, in realtà contesta il giudizio di merito espresso dal giudice d’appello e sollecita un diverso apprezzamento delle risultanze processuali, non consentito in sede di legittimità.
3. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
4. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.