Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 marzo 2023, n. 9121

Lavoro, Sanzione disciplinare, Tempestività della contestazione, Competenza per le sanzioni c.d. minori in capo al superiore di rango dirigenziale preposto all’ufficio presso cui lavora il dipendente, L’eventuale applicazione della sanzione da parte non del superiore diretto immediatamente preposto all’ufficio presso cui il dipendente presta servizio, ma di altro dirigente ancora superiore ma pur sempre nella medesima linea gerarchica propria del settore di appartenenza, non comporta la nullità della sanzione irrogata, Accoglimento

 

Rilevato che

 

1. D., dipendente I.N.P.S. inquadrata in area C, posizione C5, con mansioni, da ultimo, di responsabile del Team “fondi di solidarietà”, ha impugnato giudizialmente la sanzione disciplinare del rimprovero scritto inflittale dal Direttore Centrale della Direzione Centrale Entrate dell’ente, formulando eccezioni procedurali, sotto il profilo della tempestività della contestazione e della competenza del dirigente che aveva poi applicato la sanzione, oltre che di merito;

la sanzione è stata annullata dal Tribunale di Roma, con pronuncia confermata dalla Corte d’Appello della stessa città;

quest’ultima, ha in particolare rilevato che la D., all’epoca dei fatti, prestava servizio presso l’Area “normativa e contenzioso amministrativo aziende” della Direzione Centrale Entrate, quale responsabile del Team “fondi di solidarietà”;

l’Area, rilevava ancora la Corte territoriale, era diretta da un dirigente di prima fascia ed essa faceva capo a propria volta al direttore generale;

la Direzione Centrale Entrate, cui era proposto il predetto direttore generale, era composta da 8 aree di seconda fascia, a loro volta suddivise in 27 Teams ed una di queste aree era quella cui apparteneva la D., articolata in 10 Teams fra cui quello affidato alla lavoratrice;

la Corte territoriale rilevava quindi che l’art. 55-bis attribuisce il potere disciplinare, rispetto alle sanzioni conservative fino alla sospensione in misura di dieci giorni, al responsabile con qualifica dirigenziale della struttura in cui il dipendente lavora, oppure all’ufficio per i procedimenti disciplinari, ma solo se il responsabile di struttura non sia munito di qualifica dirigenziale;

pertanto, anche in base alla giurisprudenza di legittimità sul tema, il procedimento svolto presso organo diverso da quello così individuato era illegittimo e comportava la nullità della sanzione per violazione di norma inderogabile sulla competenza;

2. l’I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, resistiti da controricorso della D.;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo del ricorso principale è dedotta la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del d. lgs. 165-2001, art. 55-bis, quale introdotto dal d. lgs. 150-2009, art. 69, nonché del d.lgs. 165/2001, artt. 2 e 27 rimarcando come la sanzione fosse stata applicata dall’organo a tal fine competente secondo l’organigramma dell’ente e che comunque non poteva non dirsi, stante la propria supremazia gerarchica, responsabile della struttura ove la dipendente lavorava; il secondo motivo assume la nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere la Corte d’Appello neppure proceduto all’esame delle doglianze esposte nel gravame avverso la sentenza di primo grado, con riferimento alla tempestività della contestazione ed alla fondatezza nel merito di esse;

2. il primo motivo è fondato ed assorbente;

non vi è dubbio che l’art. 55-bis delinei la competenza per le sanzioni c.d. minori in capo al superiore di rango dirigenziale preposto all’ufficio presso cui lavori il dipendente e non c’è dubbio che, in fatto, secondo quanto accertato dalla Corte territoriale, tale dirigente nel caso di specie non fosse quello che ha poi applicato la sanzione;

tuttavia, è impensabile che in ciò – o nell’organigramma che preveda la competenza di un dirigente più lontano nella scala gerarchica – si possa ravvisare un’illegittimità della sanzione così infine irrogata;

una tale evenienza esprime infatti – semmai – una maggiore terzietà del dirigente che valuta e decide la sanzione, di cui il dipendente non può certo in alcun modo dolersi;

non a caso, i precedenti di legittimità citati dalla Corte territoriale (Cass. 7 giugno 2016, n. 11632; Cass. 14 luglio 2014, n. 16091; Cass. 25 luglio 2011, n. 16190; Cass. 17 giugno 2010, n. 14628; Cass. 30 settembre 2009, n. 20481; Cass. 5 febbraio 2004, n. 2168) riguardano il caso disomogeneo in cui una sanzione c.d. maggiore, in genere il licenziamento, non sia stata applicata da un ufficio debitamente costituito ed in posizione di terzietà;

la sentenza impugnata va dunque cassata;

3. il secondo motivo riguarda le questioni sulla tempestività della contestazione dell’addebito e sul merito;

si tratta di questioni da assorbire, in quanto mai esaminate dalla Corte territoriale e che dovranno esserlo in sede di rinvio;

rispetto ai profili riguardanti la tempestività va detto, per completezza e stretta connessione con quanto attiene al tema della competenza di cui al motivo accolto, che l’organizzazione disciplinare dell’ente deve comunque assicurare quanto imposto dalla legge, ovverosia che le sanzioni disciplinari “minori”, quando verificatesi in relazione ad un ufficio in cui vi sia un preposto legittimato ad irrogarle, siano contestate con l’immediatezza che è loro propria e che discende dal fatto che, proprio per il trattarsi di rilievo inferiore, la portata disciplinare va subito fatta rilevare da chi già presso l’ufficio è competente per farlo, sicché non è possibile che tale immediatezza sia elusa per il fatto di rimettere la decisione, pur in presenza di un preposto legittimato all’interno dell’ufficio di appartenenza, ad altro e superiore dirigente, perché ciò entrerebbe in contrasto con l’assetto normativo quale esplicitamente costruito dal legislatore;

sul punto non è però possibile alcuna disamina di merito in questa sede, poiché sono evidentemente necessari accertamenti, osservandosi, a mero titolo di esempio, la necessità di verifiche più approfondite sul fatto che una delle circostanze indicate nel motivo – di cui tuttavia fugge la decisività e la rilevanza rispetto ad un addebito disciplinare tutto da vagliare e comprendere nei suoi contenuti, come qui non si riesce a fare – risalirebbe al 11.5. e quindi sposterebbe in avanti il dies a quo, tra l’altro rispetto ad una contestazione di cui gli atti del giudizio di legittimità – ad ulteriore riprova della necessità di accertamenti in fatto – non forniscono esatta contezza quanto a datazione;

4. tutto ciò consente di declinare il seguente principio: “La competenza per l’applicazione delle sanzioni disciplinari “minori” in capo al dirigente dell’ufficio presso cui il lavoratore presta servizio, ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 1, va stabilita sulla base all’organigramma dell’ente di riferimento e può essere legittimamente fissata anche in capo a chi non sia l’immediato superiore gerarchico del dipendente, ma sia comunque un dirigente posto in linea gerarchica rispetto allo stesso. Inoltre, pur in assenza di tale previsione nell’organigramma dell’ente, l’eventuale applicazione della sanzione da parte non del superiore diretto immediatamente preposto all’ufficio presso cui il dipendente presta servizio, ma di altro dirigente ancora superiore ma pur sempre nella medesima linea gerarchica propria del settore di appartenenza, non comporta alcuna nullità della sanzione irrogata, risolvendosi nell’intervento di un dirigente comunque di pertinenza del settore presso cui il servizio è prestato, ma in maggiore posizione di terzietà e quindi con una ancora maggior garanzia per il dipendente. Resta tuttavia in ogni caso salva la necessità che lo spostamento della funzione disciplinare verso soggetti diversi da quello competente e preposto all’ufficio di appartenenza non si traduca in violazione del termine normativamente stabilito (di venti giorni) per la contestazione, da misurarsi pertanto rispetto alla contezza dell’illecito che si abbia nel contesto dell’ufficio, munito di dirigente o preposto competente, di appartenenza”.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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