Il riposo giornaliero si aggiunge al riposo settimanale anche se precede direttamente quest’ultimo (e ciò anche se la normativa nazionale concede ai lavoratori un periodo di riposo settimanale di durata superiore a quella minima richiesta dal legislatore UE).

Nota a Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, 2 marzo 2023, n. 477, causa C-477/21

Fabrizio Girolami

Nell’ordinamento UE gli artt. 3 (“Riposo giornaliero”) e 5 (“Riposo settimanale”) della Direttiva 2003/88/CE del 4.11.2003 (di seguito, per brevità “Direttiva”) – che persegue l’obiettivo di fissare “prescrizioni minime” per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di salute dei lavoratori mediante un ravvicinamento delle normative nazionali riguardanti l’organizzazione dell’orario di lavoro – prevedono, rispettivamente, quanto segue:

  • Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive”;
  • Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste all’articolo 3. Se condizioni oggettive, tecniche o di organizzazione del lavoro lo giustificano, potrà essere fissato un periodo minimo di riposo di 24 ore”.

L’art. 15 della Direttiva (“Disposizioni più favorevoli”) prevede, altresì, che la stessa “non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori o di favorire o consentire l’applicazione di contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori”.

A completamento del quadro normativo UE, l’art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) stabilisce che “ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite”.

La Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, con sentenza 2 marzo 2023, n. 477 (causa C-477/21) ha affermato che: 1) l’art. 5 della Direttiva, letto alla luce dell’art. 31.2 CDFUE, va interpretato nel senso che il riposo giornaliero previsto all’art. 3 della Direttiva “non fa parte del periodo di riposo settimanale di cui al suddetto art. 5, ma si aggiunge ad esso”; 2) gli artt. 3 e 5 della Direttiva, letti alla luce dell’art. 31.2 CDFUE, devono essere interpretati nel senso che qualora una normativa nazionale preveda un periodo di riposo settimanale che supera la durata di 35 ore consecutive, si deve concedere al lavoratore “in aggiunta a tale periodo, il riposo giornaliero” garantito dall’art. 3 della Direttiva; 3) l’art. 3 della Direttiva, letto alla luce dell’art. 31.2 CDFUE, va interpretato nel senso che quando a un lavoratore è concesso un periodo di riposo settimanale, esso “ha altresì il diritto di beneficiare di un periodo di riposo giornaliero che preceda detto periodo di riposo settimanale”.

La CGUE ha enunciato tali importanti principi di diritto nell’ambito di una controversia insorta tra un macchinista dipendente della MÁV-Start, società ferroviaria nazionale ungherese, che si era rifiutata di riconoscere al lavoratore un periodo di riposo giornaliero di almeno 11 undici ore consecutive quando tale periodo precedeva o seguiva un periodo di riposo settimanale o un periodo di ferie.

Investita della questione dalla Corte ungherese di Miskolc, la CGUE ha affermato quanto segue:

  • gli artt. 3 e 5 della Direttiva impongono agli Stati membri di “prendere le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, rispettivamente, nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, di un periodo minimo di riposo di undici ore consecutive e, per ogni periodo di sette giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di ventiquattro ore cui si sommano le undici ore di riposo giornaliero”;
  • è quindi necessario che “gli Stati membri garantiscano il rispetto di tali periodi minimi di riposo” (cfr. CGUE, Grande sezione, 14 maggio 2019, causa C-55/18);
  • pertanto, tenuto conto degli obiettivi essenziali della Direttiva, gli Stati membri sono tenuti a far beneficiare i lavoratori “effettivamente dei periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale” previsti dalla Direttiva;
  • il lavoratore costituisce “la parte debole nel rapporto di lavoro”, per cui è necessario “impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti”;
  • a tal fine, la Direttiva “prevede il diritto al riposo giornaliero e il diritto al riposo settimanale in due disposizioni distinte, ossia, rispettivamente, all’articolo 3 e all’articolo 5”, intendendo attribuire “due diritti autonomi” che “perseguono diversi obiettivi”, consistenti, nel caso del riposo giornaliero, nel permettere al lavoratore “di sottrarsi al suo ambiente di lavoro per un determinato numero di ore che non solo devono essere consecutive, ma anche seguire direttamente un periodo di lavoro” e, nel caso del riposo settimanale, nel consentire “il riposo del lavoratore nell’arco di ogni periodo di sette giorni”. Occorre, pertanto, garantire ai lavoratori “il godimento effettivo di ciascuno di tali diritti”;
  • l’art. 5 della Direttiva non si limita a fissare globalmente un periodo minimo a titolo del diritto al riposo settimanale, ma “si premura di precisare che a tale periodo si aggiunge quello che deve essere riconosciuto a titolo del diritto al riposo giornaliero”, sottolineando così “il carattere autonomo di questi due diritti”. Ne consegue che il diritto al riposo settimanale “non è destinato a ricomprendere, se del caso, il periodo corrispondente al diritto al riposo giornaliero, ma deve essere riconosciuto in aggiunta a quest’ultimo diritto”. Pertanto, il riposo giornaliero “non fa parte del periodo di riposo settimanale, ma si aggiunge ad esso”;
  • laddove la normativa nazionale preveda un periodo di riposo settimanale che supera la durata di 35 ore consecutive (quale il diritto nazionale ungherese che prevede la concessione al lavoratore di un periodo di riposo settimanale di almeno 42 ore, operando dunque, una deroga più favorevole all’art. 5 della Direttiva sul periodo minimo di riposo settimanale di 24 ore), è necessario garantire al lavoratore “in aggiunta” a tale periodo di riposo settimanale, anche il riposo giornaliero quale garantito dall’art. 3 della Direttiva;
  • infatti, la circostanza che una normativa nazionale preveda disposizioni più favorevoli in materia di riposo settimanale rispetto alla soglia minima prescritta dalla Direttiva “non può privare il lavoratore di altri diritti che gli sono concessi da tale Direttiva, e in particolare del diritto al riposo giornaliero”. Di conseguenza, il riposo giornaliero va concesso “indipendentemente dalla durata del riposo settimanale prevista dalla normativa nazionale applicabile”;
  • infine, ogni lavoratore deve sempre beneficiare di un periodo di riposo giornaliero e ciò indipendentemente dal fatto che tale periodo di riposo sia seguito da un periodo di servizio ovvero di riposo settimanale. In questo ambito, “dopo un periodo di lavoro, ogni lavoratore deve immediatamente beneficiare di un periodo di riposo giornaliero, e ciò indipendentemente dalla questione se tale periodo di riposo sarà o meno seguito da un periodo di lavoro”. Inoltre, quando il riposo giornaliero e il riposo settimanale sono concessi in modo contiguo “il periodo di riposo settimanale può cominciare a decorrere solo dopo che il lavoratore abbia beneficiato del riposo giornaliero”.
Il riposo giornaliero e il riposo settimanale costituiscono due diritti autonomi e distinti
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