Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 aprile 2023, n. 9453
Lavoro, Riqualificazione del licenziamento da giusta causa in giustificato motivo soggettivo, Principio di immediatezza della contestazione, Scarso rendimento del lavoratore, Rigetto
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 80/2019, il Tribunale di Treviso, in sede di opposizione ex art. 1, co. 57, L. n. 92/2012 avverso l’ordinanza resa nella fase sommaria dal medesimo Tribunale, e in riforma di tale ordinanza (la quale aveva fatto applicazione in favore dell’attore (…) della tutela di cui all’art. 18, comma 6, L. n. 300/1970), riqualificava il licenziamento al (…) intimato in data 1.8.2016 dalla convenuta (…) s.c.p.a. per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con condanna del (…) alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione dell’ordinanza suddetta, detratto tuttavia l’importo dovuto per indennità di mancato preavviso.
2. La citata ordinanza, resa all’esito della fase sommaria, rispetto alle diverse contestazioni disciplinari mosse al lavoratore con la lettera del 5.7.2016, riteneva accertate la violazione del principio di immediatezza della contestazione in relazione agli addebiti di cui ai punti a), b), c) e d) della citata nota, nonché l’irrilevanza disciplinare dell’addebito di cui al punto e) della stessa. Tuttavia, ritenendo dimostrata l’effettiva sussistenza degli addebiti di cui al punti c) e d), senza che il vizio di tardività della contestazione avesse determinato un vulnus al diritto di difesa, il giudice di quella fase – esclusa altresì la natura ritorsiva del recesso – aveva limitato la tutela all’indennità risarcitoria di cui al comma 6 dell’art. 18 L. n. 300/1970, nella misura di 12 mensilità.
3. La sentenza emessa in sede d’opposizione, invece, concludeva che gli addebiti sub a) e b) della lettera di contestazione erano non solo tardivi, ma insussistenti; quanto all’addebito sub c) confermava la violazione del principio di immediatezza della contestazione, pur dovendo l’addebito riconoscersi sussistente a fronte delle ammissioni del lavoratore. Inoltre, circa l’addebito di scarso rendimento sub d), il giudice dell’opposizione, superando l’eccezione della sua tardività, concludeva per la sussistenza dello stesso e per la sua idoneità a giustificare da solo il recesso per scarso rendimento (mentre l’addebito sub e) veniva ritenuto assorbito e comunque disciplinarmente irrilevante). Pertanto, richiamato quanto alla condotta contestata sub d) l’art. 44, co. 1, lett. d) del CCNL applicato, che contemplava come licenziamento per giustificato motivo quello fondato su un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, il giudice dell’opposizione operava appunto la conversione del recesso per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, riconoscendo dovuta l’indennità di mancato preavviso, con condanna del (…) alla restituzione di quanto in più corrispostogli in esecuzione dell’ordinanza di fase sommaria.
4. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia rigettava sia il reclamo principale proposto dal (…) contro tale sentenza sia il reclamo incidentale proposto dalla Banca di (…) s.c.p.a., confermando la sentenza di primo grado e compensando interamente le spese del secondo grado.
5. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, nel respingere le contrapposte impugnazioni, dopo aver richiamato taluni precedenti di legittimità in tema di licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento, riesaminava le risultanze processuali anche in rapporto ai rilievi svolti dal (…) quale reclamante principale. E, confermata l’esclusione della ritorsività del recesso datoriale, giungeva alla conclusione che, pur essendo l’inadempimento del lavoratore limitato nel tempo (circoscritto al periodo da novembre 2015 ad aprile 2016, ed in particolare riferito al primo trimestre 2016 ai fini della comparazione con i suoi colleghi), l’intensità dello stesso (ovvero lo scarso rendimento in termini di visite a clienti e raccolta) era stata in detto periodo notevole, e che tale inadempimento, unito alla mancanza di elementi obiettivi che giustificassero la riduzione dell’attività, comportava che la valutazione operata nella sentenza reclamata fosse condivisibile.
6. Avverso tale decisione (…) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
7. Ha resistito l’intimata con controricorso.
8. Il ricorrente ha prodotto memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, dell’art. 5 L. n. 604/1966. Premette che la Corte d’appello, nell’ambito della sua motivazione, aveva affermato che “… Deve condividersi al contrario il rilievo della reclamata (pagina 17 memoria difensiva) secondo il quale l’onere di provare l’impossibilità di adempiere correttamente alla prestazione era a suo carico ex articolo 1218 del codice civile”.
Deduce allora il ricorrente che la Corte d’appello aveva proceduto ad una lettura erronea delle norme contenute nell’articolo 1218 del codice civile, e quindi, trattandosi di licenziamento, della norma speciale di cui all’art. 5 della legge 604/66.
2. Col secondo motivo, denuncia: “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – immotivata mancata ammissione dei mezzi istruttori di prova e degli elementi che verranno esposti, costituenti di per sé fatti decisivi per il giudizio e già trattati nei diversi gradi di causa. Mancata applicazione dell’articolo 39 c.p.c.”. Deduce in sintesi, la pendenza dinanzi al Tribunale di Treviso di altro procedimento tra le stesse parti, avente ad oggetto la sua dequalificazione professionale. Secondo il ricorrente, la causa aveva ad oggetto una questione pregiudiziale rispetto al licenziamento, ovvero si poneva in rapporto di continenza, il che avrebbe dovuto condurre alla rimessione della causa dinanzi al giudice preventivamente adito, ovvero al giudice della causa sulla dequalificazione.
3. Il primo motivo è privo di fondamento.
3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, rientrante nel tipo del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro – cui spetta l’onere della prova – non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che la causa di esso derivi da colpevole negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione (così, nei termini più chiari, Cass. civ., sez. lav., 17.9.2009, n. 20050).
3.2. La Corte territoriale, tuttavia, non ha violato l’art. 5 L. n. 604/1996 nel caso di specie in cui, per quanto premesso, essendo venute meno le ulteriori contestazioni mosse al lavoratore, viene ormai in considerazione appunto un licenziamento solo per lo scarso rendimento come addebitato al (…) sub punto d) della lettera di contestazione disciplinare.
A riguardo, la Corte di merito, dopo aver dato conto della contestazione “di aver fatto visita a un modestissimo numero di clienti e di aver reso una prestazione lavorativa insufficiente nel primo trimestre 2016, limitata all’acquisizione di un solo cliente”, ha condiviso l’accertamento fattuale compiuto dal primo giudice, rilevando che il ricorrente aveva reso una prestazione lavorativa insufficiente per l’esiguità dei clienti e delle filiali visitati tra il novembre 2015 e l’aprile 2016 (rispettivamente 11 e 12), specificando poi che nel primo trimestre 2016 aveva effettuato complessivamente 16 visite a clienti e/o filiali (rispetto alle 120 degli altri colleghi dell’ufficio sviluppo) e acquisito un solo cliente. Tali dati sono stati posti a confronto con i dati di produzione (raccolta impieghi) degli altri colleghi – enormemente superiori a quelli del ricorrente (pag. 15) – sì da concludere per l’effettività dello scarso rendimento e della sua gravità. In nessuna parte della sentenza si afferma che era onere del lavoratore provare il fatto negativo e contrario allo scarso rendimento.
3.3. Quanto, ancora, allo specifico passo motivazionale censurato dal ricorrente (<“Deve condividersi al contrario il rilievo della reclamata (pag. 17 memoria difensiva) secondo il quale “l’onere di provare l’impossibilità di adempiere correttamente alla prestazione era a suo carico ex articolo 1218 c.c.”>), il ricorrente non tiene conto che tale affermazione ha riguardo alle giustificazioni, da lui dedotte, volte a dimostrare che, a fronte dell’accertato scarso rendimento, la riduzione della sua attività fosse dovuta a elementi oggettivi.
Al riguardo, anzi, la Corte ha precisato che: “In ogni caso le deposizioni testimoniali assunte portano ad escludere che il (…) (che aveva già una pregressa specifica esperienza nelle mansioni e anche nel medesimo territorio) sia stato emarginato ci abbia avuto a disposizione dotazioni e tecnologie insufficienti o diverse da quelle dei colleghi”; e in tal senso ha richiamato talune precipue dichiarazioni dei testi (…) (cfr. pag. 16-17 dell’impugnata sentenza).
Pertanto, il giudice di secondo grado ha formato il suo convincimento sul punto specifico che il lavoratore non versasse in una situazione nella quale gli era impossibile adempiere correttamente alle proprie mansioni nel campo dello sviluppo in base a prove testimoniali ritualmente acquisite nel processo, e non in forza del rilievo che il lavoratore non avesse assolto ad un onere probatorio su di lui incombente a riguardo.
3.4. Per il resto, la stessa Corte circa lo scarso rendimento contestato come tale al lavoratore si è avvalsa di dati indotti dalla banca convenuta sulla quale faceva carico l’onere della prova e sulle testimonianze assunte.
In particolare, correttamente ha posto in comparazione i dati relativi all’attività del (…) e quelli relativi all’analoga attività di suoi colleghi in simile posizione nel settore sviluppo, ed ha apprezzato l’inadempimento addebitato in uno “alla mancanza di elementi obiettivi che giustifichino la riduzione dell’attività” del (…) (cfr. per i dettagli pag. 17 dell’impugnata sentenza).
Una volta escluse, perciò, le situazioni allegate dal lavoratore (sua condizione di emarginazione e disponibilità di dotazioni e tecnologie insufficienti o diverse da quelle dei colleghi impiegati come lui nel settore sviluppo), che avrebbero potuto quantomeno in parte giustificarlo, correttamente è stato ritenuto dimostrato che il suo scarso rendimento era a lui imputabile a titolo quanto meno di colpa.
4. Infine, circa lo specifico profilo dell’accertamento della gravità dell’inadempimento, secondo le decisioni di questa Corte richiamate nell’impugnata sentenza (a pag. 14), il licenziamento per cosiddetto scarso rendimento costituisce un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e segg. cod. civ, sicché, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento da essi può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell’attività resa per un apprezzabile periodo di tempo (così Cass. civ., sez. lav., 9.7.2015, n. 14310). Pertanto è stato ritenuto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 4.9.2014, n. 18678).
4.1. Come si è visto, il ricorrente reputa limitato il periodo di tempo su cui è soffermata la valutazione della Corte di merito “in assenza della prova inerente altri dati concernenti la valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore”, sembrando alludere a quest’ultimo proposito ad una valutazione più estesa delle prestazioni da lui rese, non limitata al periodo oggetto di causa.
Questi generici rilievi, però, non possono essere condivisi per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, infatti, correttamente la Corte d’appello in sede di reclamo, come il giudice della fase di opposizione, si è espressa sul periodo temporale che formava oggetto della contestazione datoriale.
In secondo luogo, la Corte ha evidenziato essere stato notevole tale inadempimento in quel periodo, dopo aver posto in luce che: “I dati indicati dalla Banca (pag. 6 memoria difensiva) e posti in comparazione sono i seguenti: (…) raccolta euro 5000; impieghi/impegni, da un unico cliente, Euro 40.000. Semen: raccolta euro 5.400.000,00; impieghi/impegni euro 576.000,00. Colosimo: raccolta euro 521.000,00; impieghi/impegni euro 423.000,00.
Nicolausig: raccolta euro 98.000,00; impieghi/impegni euro 247.582,00″, nonché dopo aver considerato l’esiguità dei clienti e delle filiali visitati nel periodo tra novembre 2015 ed aprile 2016 in confronto ai suoi colleghi impegnati nelle stesse mansioni, nei termini su specificati.
E si tratta di elementi probatori, il cui apprezzamento è riservato al giudice di merito, ma che, in termini quantitativi di attività e risultati, rappresentano a livello comparativo una rilevantissima sproporzione tra le prestazioni dell’attuale ricorrente e quelle di diversi suoi colleghi del medesimo ufficio sviluppo; sproporzione che, a sua volta, ben può essere sussunta in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore.
5. Il secondo motivo di ricorso dev’essere giudicato inammissibile sotto diversi profili.
5.1. Esso fa riferimento anzitutto all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia, al vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., senza che il ricorrente abbia dedotto quale sia il fatto decisivo per il giudizio, che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, e che sia stato omesso nella valutazione del giudice.
L’impugnante lamenta, piuttosto, la mancata ammissione, a suo dire immotivata, di mezzi di prova e degli elementi, che, come si apprende dallo svolgimento del secondo motivo, erano riferibili al ricorso introduttivo di altro giudizio tra le medesime parti, relativo ad una dequalificazione professionale di cui ivi si doleva l’istante.
5.2. Ma anche in questa diversa prospettiva il secondo motivo, al di là di quale possa essere il suo inquadramento rispetto alle ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, c.p.c., resta inammissibile.
Per un verso, stando a quanto riferito dalla Corte territoriale, “la causa per demansionamento in corso”, era stata sì richiamata dall’allora reclamante, ma esclusivamente nell’ambito del motivo d’appello, con il quale egli “ribadiva la propria prospettazione di ritorsività del licenziamento” (cfr. pag. 8 della sua sentenza); e si tratta di un motivo che la stessa Corte aveva poi respinto (cfr. pagg. 17-18 della stessa).
Per altro verso, la Corte d’appello si è pure pronunciata sul secondo motivo d’appello, a mezzo del quale il (…) si doleva della mancata ammissione di una serie di capitoli di prova, che però nulla avevano a che vedere con il ricorso dell’altro giudizio pendente inter partes (cfr. pag. 8 e pag. 11 della sentenza impugnata).
Infine, la stessa Corte, come si è già visto, aveva ritenuto non dimostrata la condizione di emarginazione lavorativa, allegata dal (…).
Nel ricorso per cassazione, comunque, neppure sono specificati gli estremi di un provvedimento della Corte territoriale in cui sia stata negata l’ammissione dei mezzi di prova ed elementi cui allude l’impugnante.
Nemmeno, infine, risulta configurabile un rapporto di pregiudizialità o di continenza con il diverso giudizio, avente ad oggetto la dequalificazione professionale, stante l’autonomia tra le due domande.
6. Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.