Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 marzo 2023, n. 7110

Lavoro, Indennità di posizione variabile, Danno a titolo di ingiusta ritenzione e ingiusto arricchimento, Procedure di graduazione delle funzioni dirigenziali e pesatura degli incarichi, Dirigenti medici, Retribuzione di posizione, Rigetto 

 

Svolgimento del processo

 

R.R., con ricorso del 10 aprile 2013, ha chiesto al Tribunale di Agrigento che le fosse riconosciuto, in via principale, il diritto alla retribuzione dell’indennità di posizione variabile per la funzione svolta e, in via subordinata, il risarcimento del danno a titolo di ingiusta ritenzione ed ingiusto arricchimento.

Il Tribunale di Agrigento, con sentenza n. 1358-2014, ha accolto la domanda subordinata.

In particolare, ha precisato di non potere accogliere la domanda di pagamento della menzionata indennità, in assenza delle necessarie procedure di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi, ma che sussisteva un inadempimento colpevole dell’azienda per non avere posto in essere tali procedure, con la conseguenza che andava risarcito il danno conseguente.

L’ASP (…) ha proposto appello.

La Corte d’appello di Palermo, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 949-2916, ha respinto il gravame.

L’ASP (…) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

R.R. ha resistito con controricorso ed ha poi depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1) Con il primo ed il secondo motivo che, stante la stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente, l’ASP (…) lamenta la violazione degli artt. 27, lett. c), 39, 50 e 51 CCNL dell’8 giugno 2000, integrativo del CCNL del 5 dicembre 1996, dell’art. 24, comma 9, CCNL del 3 novembre 2005 e degli artt. 1175, 1176, 1218, 1366 e 1375 c.c. poiché la corte territoriale avrebbe errato nel non dare alle procedure di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi da parte dell’Azienda sanitaria il giusto rilievo.

Ad avviso di parte ricorrente, il lavoratore avrebbe potuto vantare un diritto pieno alla sola parte fissa della retribuzione mentre quella variabile, oggetto del contendere, sarebbe stata “coordinata ad alcuni elementi, in cui il ruolo del datore di lavoro assume un rilievo non formale, ma sostanziale”, con la conseguenza che il dipendente, in assenza dell’intervento del detto datore di lavoro, non avrebbe avuto il diritto a ricevere l’emolumento in esame.

In ogni caso, l’ASP (…) sottolinea che, con delibera n. 320 del 21 gennaio 2013, era stato riconosciuto a tutti i dirigenti medici, compresa la controricorrente, un minimum della retribuzione di posizione, il che escludeva ogni colpevole inerzia dell’azienda sanitaria considerato anche che la Regione Sicilia aveva ordinato di sospendere il conferimento degli incarichi di responsabile di struttura semplice e complessa.

Inoltre, la corte territoriale avrebbe errato nel qualificare il mancato pagamento della variabile aziendale come responsabilità contrattuale atteso che, non essendo stata effettuata la graduazione dell’incarico in capo al dirigente e in assenza del completamento delle funzioni degli altri dipendenti, R.R. non avrebbe potuto vantare un diritto, ma solo “un’attesa”.

La stessa R., peraltro, avendo ricevuto un “minimum” dell’indennità, avrebbe avuto l’onere di dimostrare che, in presenza della pesatura della funzione esercitata, avrebbe avuto diritto ad ottenere una somma maggiore, esattamente quantificata.

Il versamento di detto “minimum” doveva essere considerato come manifestazione della buona fede dell’amministrazione interessata.

Infine, parte ricorrente evidenzia che, in un altro caso identico, la Corte d’appello di Palermo aveva respinto le richieste del dirigente ricorrente.

Le doglianze sono infondate.

Il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 24, comma 1, prescrive che:

“La retribuzione del personale con qualifica di dirigente è determinata dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, prevedendo che il trattamento economico accessorio sia correlato alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità. La graduazione delle funzioni e responsabilità ai fini del trattamento accessorio è definita, ai sensi dell’art. 3, con decreto ministeriale per le amministrazioni dello Stato e con provvedimenti dei rispettivi organi di governo per le altre amministrazioni o enti, ferma restando comunque l’osservanza dei criteri e dei limiti delle compatibilità finanziarie fissate dal Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica”.

L’art. 51 del CCNL 5 dicembre 1996 dispone, poi, che le aziende od enti, in relazione alle articolazioni aziendali individuate dal D.Lgs. n. 502 del 1992, dalle leggi regionali di organizzazione e dagli eventuali atti di indirizzo e coordinamento del Ministero della Sanità, determinano la graduazione delle funzioni dirigenziali cui è correlato il trattamento economico di posizione, ai sensi del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 24.

L’individuazione delle funzioni viene effettuata nel rispetto di quanto previsto dall’art. 53 e 54 e sulla base di una serie di criteri e parametri di massima che le aziende ed enti menzionati possono integrare con riferimento alla loro specifica situazione organizzativa e nel rispetto delle citate leggi regionali. Le aziende ed enti, in base alle risultanze della detta graduazione, attribuiscono ad ogni posizione dirigenziale prevista nel proprio assetto organizzativo un valore economico secondo i parametri di riferimento di cui agli artt. 56 e 57, previa informazione alle rappresentanze sindacali di cui agli artt. 10 e 11, seguita, su richiesta da un incontro. A parità di struttura organizzativa e corrispondenza delle funzioni, alle posizioni è attribuita la stessa valenza economica.

Alla retribuzione di posizione, sulla base dei criteri e parametri stabiliti dal menzionato art. 51, si provvede mediante un apposito Fondo – costituito presso ogni azienda o ente al fine di assegnare ai dirigenti un trattamento economico correlato alle funzioni dell’incarico attribuito ed alle connesse responsabilità – e finanziato con le modalità di cui agli artt. 60 e 61 e dell’art. 63, comma 2, lett. a) del CCNL 5 dicembre 1996.

Il successivo art. 55 afferma, quindi, che la retribuzione di posizione è una componente del trattamento economico dei dirigenti di I e II livello dell’area medico – veterinaria che, in relazione alla graduazione delle funzioni prevista dall’art. 51, comma 3, è collegata all’incarico agli stessi conferito dall’azienda o ente. Essa è composta di una parte fissa e di una parte variabile, la cui somma complessiva corrisponde al valore economico degli incarichi attribuiti in base alla graduazione delle funzioni, ai sensi del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 24, e compete per tredici mensilità.

La componente variabile della retribuzione di posizione, salvo quanto previsto dal comma 7, è determinata in sede aziendale sulla base della graduazione delle funzioni in conformità degli incarichi di cui agli artt. 56 e 57 e con le procedure previste dagli artt. 53 e 54.

Dal 1 dicembre 1995 e sino al conferimento degli incarichi di cui al comma 6, la retribuzione di posizione dei dirigenti, è costituita dai valori indicati per le due componenti – fissa e variabile – nella tabella allegata n. 3 del CCNL 5 dicembre 1996.

Alla corresponsione della retribuzione di posizione nelle sue componenti – fissa e variabile – si provvede con i fondi di cui agli artt. 60 e 61.

L’art. 39 del successivo CCNL 8 giugno 2000, dopo avere confermato, ai commi 1 e 2, che la retribuzione di posizione è una componente del trattamento economico dei dirigenti che, in relazione alla graduazione delle funzioni prevista dall’art. 51, comma 3 del CCNL 5 dicembre 1996, è collegata all’incarico agli stessi conferito ai sensi dell’art. 27, ed è composta da una parte fissa e una parte variabile e compete per tredici mensilità, ha previsto, ai commi da 5 a 7, che:

“5. In prima applicazione del CCNL del 5 dicembre 1996 come integrato dal CCNL del 2 luglio 1997, il valore economico minimo contrattuale della retribuzione di posizione – parte fissa e variabile – per il personale già in servizio all’entrata in vigore del contratto medesimo – è stato indicato nella tabella all. 1 del CCNL relativo al II biennio economico, secondo le posizioni funzionali od economiche di provenienza dei dirigenti.

6. La componente fissa della retribuzione di posizione stabilita dalla tabella indicata nel comma 5 non è modificabile, mentre l’incremento della componente variabile minima contrattuale della medesima tabella – sulla base della graduazione delle funzioni di cui all’art. 26, è competenza delle singole aziende in relazione alle risorse disponibili nell’apposito fondo. Di conseguenza la retribuzione di posizione dei dirigenti, fermo rimanendo il principio che, a parità di graduazione delle funzioni, deve essere identica, si colloca – in base alla tipologia degli incarichi conferiti – nelle fasce economiche degli artt. 56 e 57 del CCNL 5 dicembre 1996.

7. Il valore economico complessivo dell’incarico determinato ai sensi del comma 6 è la risultante della somma del minimo contrattuale del comma 5 e della quota aggiuntiva variabile definita aziendalmente. Detto valore, a parità di funzioni, si ottiene mediante i relativi conguagli sulla parte variabile rispetto al minimo contrattuale in godimento fino al raggiungimento del valore economico complessivo”.

Sul punto è intervenuto in maniera decisiva l’art. 24 del CCNL 3 novembre 2005 il quale, interpretando autenticamente l’art. 55 del CCNL 5 dicembre 1996 e l’art. 39 del CCNL 8 giugno 2000, ha chiarito che, in materia di trattamento economico del personale dirigente amministrativo sanitario, l’art. 51 del CCNL 5 dicembre 1996 dell’area dirigenza dei ruoli sanitario, professionale tecnico ed amministrativo del SSN, nel prevedere, da parte delle aziende, la determinazione della graduazione delle funzioni dirigenziali attribuendo ad ogni relativa posizione un valore economico complessivo, riconosce ai dirigenti una retribuzione di posizione complessiva, che è composta da una quota stabilita tabellarmente in sede contrattuale, divisa in una parte fissa e in una variabile, nonché da un’ulteriore quota, parimenti variabile e definita in sede aziendale, collegata all’incarico conferito sulla base della graduatoria delle funzioni, fermo restando che, sino al conferimento degli incarichi, deve essere corrisposta una retribuzione di posizione minima, costituita dalle componenti, fissa e variabile, della quota tabellare, destinata ad essere riassorbita nel valore economico complessivo successivamente attribuito all’incarico conferito in quanto mera anticipazione prevista dal contratto collettivo (al riguardo, in giurisprudenza può citarsi Cass., Sez. L, n. 22934 del 10 novembre 2016).

La composizione complessiva della retribuzione di posizione dopo la graduazione delle funzioni è, quindi, la seguente:

1) Parte fissa della quota tabellare stabilita in sede contrattuale;

2) Parte variabile della quota tabellare stabilita in sede contrattuale;

3) Variabile definita in sede aziendale dipendente dalla graduazione delle funzioni.

L’art. 60 del CCNL 5 dicembre 1996 prescrive, per la parte che qui rileva, che al finanziamento della retribuzione di posizione dei dirigenti di I e II livello si provvede mediante l’utilizzo di un fondo, costituito a decorrere dal 1 dicembre 1995 ed a valere sulla competenza 1996 senza alcun pregiudizio sugli aumenti del biennio successivo.

Tale fondo annuale deve essere integralmente utilizzato. Eventuali risorse che, a consuntivo, risultassero ancora disponibili nel citato fondo annuale sono temporaneamente utilizzate nel fondo per la retribuzione di risultato relativo al medesimo anno e, quindi, riassegnate al fondo di cui al presente articolo a decorrere dall’esercizio finanziario dell’anno successivo.

Analoga previsione è contenuta nell’art. 50 del CCNL dell’8 giugno 2000.

Quanto alla procedura da seguire per giungere a determinare la parte variabile di retribuzione di posizione definita in sede aziendale dipendente dalla graduazione delle funzioni, l’art. 4, CCNL 8 giugno 2000, riguardante la contrattazione collettiva integrativa, nello stabilire che essa si svolge utilizzando le risorse dei fondi di cui agli artt. 50 (Fondi per la retribuzione di posizione, equiparazione, specifico trattamento, indennità di direzione di struttura complessa) 51 (Fondo del trattamento accessorio legato alle condizioni di lavoro) e 52 (Fondo della retribuzione di risultato e premio per la qualità della prestazione individuale), individua, fra gli oggetti di tale contrattazione, anche la rideterminazione della parte variabile della indennità di posizione.

Il ruolo fondamentale di tale livello di contrattazione, per quel che qui rileva, è confermato dalla regola, anch’essa contenuta nel citato art. 4 del contratto in esame, secondo cui, in sede integrativa, le parti definiscono i criteri generali per “la distribuzione tra i fondi degli artt. 50 e 52 delle risorse aggiuntive assegnate” e “lo spostamento di risorse tra i fondi di cui agli artt. 50, 51 e 52 ed al loro interno, in apposita sessione di bilancio, la finalizzazione tra i vari istituti nonché la rideterminazione degli stessi in conseguenza della riduzione di organico derivante da stabili processi di riorganizzazione previsti dalla programmazione sanitaria regionale”.

Secondo l’art. 5, comma 2, del medesimo CCNL 8 giugno 2000, rubricato “Tempi e procedure per la stipulazione o il rinnovo del contratto collettivo integrativo” l’azienda provvede a costituire la delegazione di parte pubblica abilitata alle trattative entro trenta giorni da quello successivo alla data di stipulazione del detto contratto e a convocare la delegazione sindacale di cui all’art. 10, comma 2, per l’avvio del negoziato, entro quindici giorni dalla presentazione delle piattaforme.

Il precedente art. 4 dello stesso contratto stabilisce, per quanto rileva, che “… decorsi trenta giorni dall’inizio delle trattative senza che sia raggiunto l’accordo tra le parti, queste riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e di decisione. D’intesa tra le parti, il termine citato è prorogabile di altri trenta giorni”.

Le dette regole procedimentali attribuiscono diritti e doveri alle parti stipulanti e non ai singoli dipendenti, ai quali il contratto si applica per effetto delle previsioni normative contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001.

Il procedimento di negoziazione ha, infatti, un significato prevalentemente politico-sindacale, con la conseguenza che le scansioni previste per tale procedimento non hanno funzione simile a quelle di un ordinario procedimento amministrativo e che l’inosservanza del termine per la costituzione della delegazione di parte pubblica e per la convocazione dei sindacati, come pure la mancata conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto, non costituiscono di per se inadempimento da parte dell’Azienda ai suoi obblighi contrattuali verso i dipendenti (Cass., SU, n. 7768 del 31 marzo 2009).

Dalle disposizioni sopra elencate si ricava che il provvedimento di graduazione delle funzioni è atto riservato all’organo di vertice delle amministrazioni, riconducibile, come generalmente ritenuto, alle previsioni del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1, quale atto di macro-organizzazione, e che dalla sua adozione dipende la determinazione della retribuzione di posizione.

L’Azienda provvederà ad effettuare la graduazione delle funzioni e la pesatura degli incarichi e, quindi, a determinare la componente variabile della retribuzione di posizione distinta dalla quota tabellare stabilita in sede contrattuale utilizzando le risorse di cui al fondo menzionato dall’art. 60 CCNL 5 dicembre 1996 e dall’art. 50 CCNL 8 giugno 2000.

Sempre dalle disposizioni legislative e contrattuali citate si evince che a carico della P.A. vi è un obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi, discendente dalla necessità di quantificare una quota della retribuzione spettante ai medici per l’attività da loro svolta e dal dovere di attivare la contrattazione collettiva che la concerne alle scadenze previste.

Per giungere a questo esito, però, occorre seguire uno specifico iter, in quanto la concreta individuazione della voce retributiva in esame richiede un’attività finale esclusivamente riservata all’amministrazione datrice di lavoro e una fase preparatoria negoziale che coinvolge i sindacati.

In seguito all’espletamento di detta fase preparatoria la P.A. provvederà ad attingere dalle risorse dei fondi menzionati e a predisporre il provvedimento conclusivo.

Si evince da ciò che prima della graduazione delle funzioni e della pesatura degli incarichi vi è una obbligatoria fase procedimentale che non coinvolge il lavoratore e rispetto alla quale quest’ultimo è indifferente.

Tale fase procedimentale è governata da termini il cui mancato rispetto, però, non esonera l’Azienda dall’obbligo di porre in essere l’attività necessaria per giungere alla graduazione delle funzioni e alla pesatura degli incarichi.

Allo stesso modo, eventuali problematiche concernenti il fondo ex artt. 60 CCNL 5 dicembre 1996 e 50 CCNL 8 giugno 2000 non comporteranno di per sé il venire meno dell’obbligo de quo.

L’attività negoziale preliminare che coinvolge i sindacati e la stessa formazione e gestione del fondo citato rientrano fra gli atti esecutivi dell’obbligazione e di adempimento della stessa, che devono essere realizzati dalla P.A. nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.

Una volta scaduti i termini fissati dalla contrattazione collettiva per coinvolgere le parti sociali e costituitasi la provvista nel fondo, l’Azienda ha l’obbligo di attivare il procedimento che condurrà alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi.

Se non lo fa è inadempiente.

Con riferimento al fondo previsto dagli artt. 60 CCNL 5 dicembre 1996 e 50 CCNL 8 giugno 2000 la contrattazione collettiva pone un dovere di integrale utilizzo annuale delle relative risorse e, quindi, la P.A. non potrà opporre, in linea di principio, al dipendente la propria volontà di non utilizzarle per il fine al quale sono destinate.

Qualora, poi, si verifichino eventi imprevedibili che incidano su questa fase procedimentale, impedendone l’instaurazione e lo svolgimento, perché ostacolano la negoziazione sindacale o perché, quanto al fondo de quo, lo privano di risorse o lo rendono inattivo, sempre la stessa P.A. sarà gravata ex art. 1218 c.c. dall’onere di allegare e provare detti eventi; il medesimo onere di allegazione e prova graverà sull’amministrazione in ordine a qualunque eccezione.

Il creditore lavoratore deve, invece, dimostrare solo la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento dell’amministrazione.

A tali conclusioni si perviene applicando le ordinarie regole civilistiche sulla ripartizione dell’onere probatorio nelle obbligazioni contrattuali, così come delineate da consolidata giurisprudenza (da Cass., SU, n. 13533 del 30 ottobre 2001 in poi).

Nella specie non può accogliersi la tesi di parte ricorrente, secondo cui la corte territoriale avrebbe errato nel non dare alle procedure di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi da parte dell’Azienda sanitaria il giusto rilievo.

Infatti, come chiarito, l’ASP (…) era tenuta a dare avvio alla procedura che avrebbe portato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi e il lavoratore aveva diritto a che parte ricorrente operasse in questa direzione.

Del resto, opinando il contrario, la parte variabile dell’indennità di posizione finirebbe per costituire una prestazione rimessa al mero unilaterale arbitrio dell’Amministrazione, in contrasto con la previsione di principio contenuta nella legge nonché con una lettura ragionevole dell’impianto di fonte negoziale.

Nella presente controversia, la corte territoriale ha escluso del tutto che tale procedura fosse stata attivata, con la conseguenza che non potrebbe neppure discutersi di una condotta comunque diligente dell’ASP (…).

La Corte d’appello di Palermo, in particolare, ha negato che il datore di lavoro avesse provato, come sarebbe stato suo onere, di essersi trovato nell’impossibilità di eseguire la prestazione per causa a lui non imputabile ed ha espressamente affermato che l’ASP (…) non aveva contestato l’iter argomentativo del Tribunale di Agrigento, secondo il quale la “presa di posizione” dell’Assessorato regionale, con cui le AASSPP erano state invitate ad “astenersi dal modificare gli assetti organizzativi al fine di rispettare i parametri già fissati dal Comitato LEA”, non poteva essere qualificata come factum principis, sia perché intervenuta in epoca successiva alla nascita dell’obbligo contrattuale in capo all’ASP (…), sia perché, comunque, la menzionata “presa di posizione” non impediva di dare corso alla procedure concorsuali de quibus.

In realtà, proprio il rilievo che l’odierna ricorrente attribuisce a tale “presa di posizione” conferma come il mancato completamento di dette procedure fosse voluto e, quindi, integrasse gli estremi di un inadempimento imputabile.

Esattamente, poi, i giudici del merito hanno respinto la domanda di R.R. volta a conseguire direttamente la retribuzione dell’indennità di posizione variabile per la funzione svolta, da qualificare come domanda di adempimento.

Infatti, in materia di dirigenza pubblica, il provvedimento di graduazione delle funzioni integra un elemento costitutivo della parte variabile della retribuzione di posizione, con la conseguenza che, in sua mancanza, detta componente non può essere determinata né con riferimento soltanto all’importanza e complessità dell’incarico ricoperto né, in maniera indifferenziata, in proporzione alla disponibilità dell’apposito fondo aziendale (Cass., Sez. L, n. 20480 del 28 settembre 2020).

Pertanto, il semplice accertamento della violazione dell’obbligo, gravante sull’ASP (…), non poteva comportare l’accoglimento della domanda di adempimento di R.R..

Allo stesso tempo, però, l’accertata violazione del diritto della dipendente a che la P.A. attivasse la procedura in questione giustifica l’accoglimento della domanda subordinata di risarcimento del danno avanzata dalla stessa R.R..

Invero, ove la P.A. risulti – come accertato nel caso in esame – inadempiente rispetto al proprio obbligo di avviare la procedura finalizzata all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi, il dipendente potrà chiedere non già una tutela in forma specifica – essendo detto provvedimento oggetto di un facere discrezionale e infungibile dell’amministrazione – ma una mera tutela per equivalente, ossia risarcitoria.

A sua volta tale risarcimento non potrà che essere sub specie di risarcimento del danno da perdita di chance.

Tale danno va riconosciuto, ove sussista la prova, fornita anche presuntivamente dal soggetto leso, di una concreta ed effettiva occasione perduta (da valutare in base ai parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza) e va liquidato in via equitativa, tenuto conto del grado di probabilità e della natura di danno futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo.

Per l’esattezza, in tema di risarcibilità dei danni conseguiti da fatto illecito o da inadempimento, nell’ipotesi di responsabilità contrattuale, il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale (Cass., Sez. 3, n. 15274 del 4 luglio 2006).

La regola per la quale il risarcimento per l’inadempimento dell’obbligazione esige un rapporto causale immediato e diretto fra lo stesso inadempimento e il danno, prevista dall’art. 1223 c.c., pur essendo fondata sulla necessità di limitare l’estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti, deve essere intesa, dunque, come orientata ad escludere dal risarcimento esclusivamente le conseguenze dell’inadempimento che non siano connesse a questo in maniera giuridicamente rilevante. In questi termini va interpretata la prescrizione per la quale tale risarcimento deve comprendere la perdita e il mancato guadagno del creditore che di detto inadempimento siano ex art. 1223 c.c. conseguenza propriamente “immediata e diretta”. E’ compito del giudice di merito accertare la materiale esistenza di un rapporto causale che abbia i menzionati caratteri normativamente richiesti (Cass., Sez. L, n. 9374 del 21 aprile 2006).

Il dipendente è tenuto, allora, ad allegare l’esistenza di un danno da perdita di chance e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale (nei termini sopraesposti), fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo un calcolo di probabilità.

Una volta fatto ciò, il giudice, che ritenga fornita tale prova, liquida il danno eventualmente in via equitativa.

Nella specie, l’ASP (…) sostiene, quanto alla domanda di risarcimento del danno, che, con delibera n. 320 del 21 gennaio 2013, era stato riconosciuto a tutti i dirigenti medici, compresa la controricorrente, un minimum della retribuzione di posizione, il che avrebbe escluso ogni colpevole inerzia dell’azienda sanitaria considerato anche che la Regione Sicilia aveva ordinato di sospendere il conferimento degli incarichi di responsabile di struttura semplice e complessa.

La stessa R., peraltro, avendo ricevuto un “minimum” dell’indennità, avrebbe avuto l’onere di dimostrare che, in presenza della pesatura della funzione esercitata, avrebbe avuto diritto ad ottenere una somma maggiore, esattamente quantificata.

Il versamento di detto “minimum” avrebbe dovuto essere considerato come manifestazione della buona fede dell’amministrazione interessata.

Le contestazioni dell’ASP (…) in ordine al riconoscimento del danno risarcibile non possono essere accolte.

Innanzitutto, va osservato che dalla lettura della sentenza di appello emerge come tale profilo non sia stato oggetto di specifico gravame.

Inoltre, deve sottolinearsi che l’ASP (…), corrispondendo un minimum di quanto dovuto, aveva semplicemente adempiuto, pur se in maniera parziale, i propri obblighi.

Peraltro, detto minimum costituisce proprio un elemento valutabile, in via equitativa, per quantificare il risarcimento da perdita di chance della controricorrente.

Si osserva, altresì, che parte ricorrente aveva l’onere, comunque, di dedurre che le somme riconosciute a R.R. erano un adeguato compenso della prestazione da essa resa, il che non è espressamente avvenuto.

Infine, è irrilevante e neppure spendibile nella presente sede di legittimità la circostanza, dedotta dall’ASP (…), che in un caso identico la Corte d’appello di Palermo avrebbe respinto le richieste del dipendente.

Il ricorso è, quindi, rigettato, con l’affermazione dei seguenti principi di diritto:

“In tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per l’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi, nel cui ambito la fase di consultazione sindacale, finalizzata anche a determinare l’ammontare delle risorse destinate al pagamento della quota variabile della retribuzione di posizione definita in sede aziendale e dipendente dalla graduazione delle funzioni, ha carattere endoprocedimentale; il mancato rispetto dei termini interni che ne scandiscono lo svolgimento, l’omessa conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto collettivo e le eventuali problematiche concernenti il fondo espressamente dedicato, ai sensi del medesimo contratto collettivo, alla quantificazione della menzionata quota variabile non fanno venir meno di per sé l’obbligo gravante sulla P.A. di attivare e concludere la procedura diretta all’adozione di tale provvedimento”.

“La violazione dell’obbligazione della P.A. di attivare e completare il procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi legittima il dirigente medico interessato a chiedere non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione. A tal fine, il dirigente medico è tenuto solo ad allegare la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento della controparte; il datore di lavoro è gravato, invece, dell’onere della prova dei fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa o della dimostrazione che il proprio inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile”.

“Il danno subito dal dirigente medico della sanità pubblica per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione, conseguente all’inadempimento della P.A. all’obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi a tal fine necessaria, può essere liquidato dal giudice anche in via equitativa; in proposito il dipendente deve allegare l’esistenza di tale danno e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, inteso in modo da ricomprendere nel detto risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità”.

2) In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, per l’ASP (…), di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata dopo la data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, n. 14515 del 10 luglio 2015).

 

P.Q.M.

 

– Rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite alla controricorrente, che liquida in Euro 1.800,00 per compenso ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;

– dà atto che sussiste l’obbligo per parte ricorrente, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

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