Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 aprile 2023, n. 9530
Lavoro, Licenziamento, Lavoratori autoferrotranviari, Consiglio di disciplina, Mancata costituzione, Nullità di protezione, Tutela reintegratoria, Questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, D. Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, Sospensione del giudizio
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma di sentenza del Tribunale di Pisa (che aveva respinto le domande del lavoratore), ha dichiarato la nullità del licenziamento – destituzione di Luca Sardella con comunicazione in data 5/10/2018 ed ha dichiarato estinto il rapporto di lavoro intercorso con (…) s.r.l. (società di gestione del trasporto urbano in diverse province della Toscana), condannando il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR;
2. la Corte di merito, in particolare, ha osservato, che:
– dopo la contestazione degli addebiti, l’opinamento di destituzione da parte dell’amministratore delegato (AD) in data 17/5/2018, e la tempestiva richiesta del lavoratore di intervento del Consiglio di Disciplina (CDD), ai sensi della normativa speciale per gli autoferrotranvieri di cui agli artt. 53 e 54 R.D. 148/1931, detto organo non era stato costituito e la sanzione espulsiva era stata adottata dal medesimo AD, dando atto che la Regione non aveva indicato il proprio rappresentante nel CDD;
– per effetto della mancata costituzione del CDD, che rappresenta una forma di garanzia procedurale ulteriore e speciale anche rispetto a quella di cui all’art. 7, legge n. 300/1970, tutt’ora vigente, il procedimento disciplinare, conclusosi con sanzione irrogata direttamente da parte datoriale, nonostante rituale richiesta del lavoratore di ricorso al giudizio del CDD, era nullo, per essere stato l’esercizio della potestà punitiva esercitato dal datore di lavoro, cui tale facoltà non spettava in conseguenza dell’obbligatoria devoluzione della decisione in merito al CDD, organo terzo, su opzione del lavoratore;
– tenuto conto della data di assunzione del lavoratore successiva all’entrata in vigore del d. lgs. n 23/2015, poiché l’art. 2, comma 1, di tale normativa prevede la reintegrazione del lavoratore limitatamente ai casi di licenziamento discriminatorio ovvero perché “riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge”, e poiché in questo caso andava esclusa la discriminatorietà e la nullità non era espressa, ma riconducibile a categorie di ordine generale, andava applicata la sola tutela economica crescente nella misura indicata;
3. avverso la predetta sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con unico motivo; ha resistito la società con controricorso, ed ha proposto ricorso incidentale con unico motivo, cui ha resistito il lavoratore con controricorso su ricorso incidentale; la causa è stata rimessa da udienza camerale ad udienza pubblica; le parti hanno depositato memorie e discusso oralmente la causa; il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale;
Considerato che
1. parte ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 76 Cost., 1, comma 7, lett. c) della legge delega n. 83/2014, 2-3 d. lgs. n. 23/2015, 1418 c.c., 2058 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.): sostiene l’erroneità dell’interpretazione della Corte di merito nell’applicare la tutela reintegratoria soltanto ai casi di nullità espressa e non a tutti i casi di nullità, anche derivanti, come nel caso di specie, dall’art. 1418 c.c., sia sotto il profilo dell’eccesso di delega, sia perché l’enfatizzazione dell’avverbio “espressamente” risulterebbe incostituzionale e comunque illogica ed incoerente;
2. parte ricorrente incidentale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 54 dell’All. A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, per non avere il lavoratore chiesto tempestivamente una nuova audizione, e comunque perché l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, in fatto sospeso per l’inerzia, motivata da necessità di approfondimento normativo, dell’organo amministrativo (Regione Toscana) nella nomina del proprio rappresentante del CDD, deve prevalere sulle garanzie di difesa del lavoratore secondo un criterio di proporzionalità;
3. secondo consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 17286/2015, n. 13804/2017, n. 12770/2019), nel caso in cui il dipendente autoferrotranviario, a seguito dell’opinamento di destituzione, abbia invocato la pronuncia del consiglio di disciplina, posto il persistente vigore delle disposizioni dettate dal Regio Decreto in materia disciplinare (come chiarito da Cass. n. 12490/2015, n. 855/2017, S.U. n. 15540/2016, n. 12490/2015, n. 5551/2013, n. 11929/2009), anche quale disciplina maggiormente garantita rispetto a quella prevista dalla legge n. 300/1970, rimane irrilevante il fatto che gli enti competenti non abbiano esercitato il potere di nomina dei componenti di quell’organo; infatti, in materia di procedimento disciplinare a carico degli autoferrotranvieri, l’art. 53 dell’allegato A al R.D. n. 148 del 1931 prevede una procedura articolata in più fasi, inderogabile e volta alla tutela del lavoratore dipendente, quale contraente debole; l’omissione di una delle suddette fasi determina la nullità della sanzione disciplinare che, in relazione al tipo di violazione, rientra nella categoria delle nullità di protezione (v. anche, in materia di permanente specialità, sia pure residuale, del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, Cass. n. 5551/2013, n. 26267/2021; in tema di specifica “doppia fase di contestazione”, collegata al diritto di difesa e piena valorizzazione dello stesso quale regola indefettibile in materia disciplinare, Cass. n. 11543/2012, n. 13654/2015);
4. poiché le fasi del procedimento disciplinare non possono essere omesse o concentrate, e, di conseguenza, la nullità di una sanzione disciplinare, per tale tipo di violazione, rientra nella categoria delle nullità di protezione, in quanto fondata sullo scopo di tutela del contraente debole del rapporto, tale violazione non è assimilabile a quelle procedurali (di cui all’art. 18, comma 6, legge n. 300/1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, Legge n. 92/2012); non è, invero, qualificabile come violazione procedurale in materia disciplinare del lavoro autoferrotranviario l’adozione della sanzione della destituzione da parte del datore di lavoro, cui tale potere non è più assegnato in caso di opzione del lavoratore per l’intervento del Consiglio di disciplina, al quale detto potere è in tal caso deferito in base alla legge; si tratta, infatti, di violazione a monte della procedura, per deviazione dell’esercizio del potere in materia, devoluto nella specie ad organo terzo anziché a parte datoriale, e di fattispecie comparabile a quella di licenziamento a non domino, prevedendo la legge, in caso di opzione in tale senso del lavoratore, l’attribuzione del potere di licenziamento disciplinare (denominato destituzione) all’organo (CDD) previsto dalla normativa speciale;
5. tale regime di nullità (di protezione) emerge da ricostruzione sistematica ed è riconducibile al regime generale delle nullità disciplinato dagli artt.1418 ss. c.c., sicché tale qualificazione (di nullità di protezione) comporta l’integrazione dell’ipotesi di nullità per contrarietà a norma imperativa, cui di norma si applica la tutela reintegratoria (cfr. Cass. n. 32681/2021);
6. nella fattispecie concreta, la Corte di merito ha ritenuto la tutela reintegratoria non applicabile, pur accertando nullità del procedimento disciplinare ai sensi degli artt. 53 e 54 R.D. 8 gennaio 1931, n. 148 (“Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione”), trattandosi di lavoratore autoferrotranviario assunto dopo l’entrata in vigore del d. lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (“Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”), in quanto l’art. 2, comma 1, d. lgs. 4 marzo 2015, n. 23 prevede che il giudice, “con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio (…) ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro (…) la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto”; ha, cioè, ritenuto che la natura della nullità (di protezione) rilevata non sia ricompresa nei casi di “nullità espressamente previsti dalla legge” di cui alla disposizione da ultimo richiamata;
7. il Collegio dubita che la delimitazione della tutela reintegratoria ai casi di nullità “espressamente previsti della legge” sia in contrasto con la norma della legge-delega (legge 10 dicembre 2014, n. 183 -“Deleghe al governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”), art. 1, comma 7, lett. c), norma che dispone che il legislatore delegato preveda per le nuove assunzioni, la (diversa) limitazione del “diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”;
8. tale sospetto di illegittimità costituzionale della norma da applicare al caso concreto, la cui rilevanza deriva dal diverso regime di tutela applicabile al lavoratore per effetto della nullità del licenziamento disciplinare (destituzione) comunicatogli dal datore di lavoro, si valuta in questa sede non manifestamente infondato per il duplice ordine di ragioni che segue;
9. in primo luogo, sotto l’aspetto dell’interpretazione letterale delle norme, si osserva che il legislatore delegante ha incaricato il legislatore delegato, per le nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, di limitare “il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”: la lettera della legge (delegante) sembra comprendere nell’area della reintegrazione tutti i licenziamenti nulli e discriminatori, e delegare l’individuazione di specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato (ma non per questo nullo, cui ulteriormente ricollegare il diritto alla reintegrazione; in altri termini, la limitazione del diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare non implica l’ulteriore limitazione alle nullità espresse dalla legge, perché, in senso letterale, la delega esclude dalla limitazione l’area dei licenziamenti nulli (tutti) e discriminatori, oltre a specifiche ipotesi di licenziamenti disciplinari non nulli da individuarsi in sede delegata;
10. in secondo luogo, da un punto di vista sistematico, come osservato in dottrina, la restrizione ai soli casi di nullità espressa – nel senso di esplicitata come sanzione della violazione del precetto primario – finisce con il forzare il valore della coerenza del sistema, e a non considerare operante, anche ai fini di cui all’art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 23 del 2015, il principio generale che ricollega la conseguenza della nullità alla violazione di norme imperative dell’ordinamento civilistico; in realtà, la differenza tra nullità espressamente previste e nullità da ricollegare a categorie civilistiche generali può risultare il precipitato non di una diversità ontologica o valoriale, ma di peculiare ragioni storiche, sistematiche o di stratificazione normativa, con esiti casuali e non razionali, così realizzando un’eterogenesi dei fini ordinatori della disciplina delegante; senza considerare che anche l’art. 1418 c.c. è norma espressa;
11. d’altra parte, l’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa non può portare all’abrogazione dell’avverbio “espressamente”, trattandosi di lemma che non si presta ad interpretazioni semantiche diverse da quella limitativa dei casi di nullità cui ricollegare la tutela reintegratoria, con ciò generandosi le incompatibilità ed incongruenze con la legge- delega di cui sopra;
12. la Corte costituzionale (sentenza n. 125/2022), seppure con riferimento a diverso profilo di denunciata illegittimità costituzionale ed a diversa (quantunque contigua) normativa in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha rilevato che un requisito indeterminato (in quel caso espresso dall’aggettivo “manifesta”), con cui si demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e priva di un plausibile fondamento empirico, che neppure si connette razionalmente alla peculiarità delle diverse fattispecie di licenziamento, finisce con non avere alcuna attinenza con il disvalore del licenziamento intimato e risulta eccentrico nell’apparato dei rimedi, usualmente incentrato sulla diversa gravità dei vizi e non su una contingenza accidentale;
13. già con la sentenza n. 3/1957 la stessa Corte ha spiegato che i limiti dei principi e criteri direttivi, del tempo entro il quale può essere emanata la legge delegata, di oggetti definiti, servono da un lato a circoscrivere il campo della delegazione, sì da evitare che la delega venga esercitata in modo divergente dalle finalità che la determinarono, e devono, dall’altro, consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche della legislazione precedente, che nella legge delegata deve trovare una nuova regolamentazione; pertanto la delegazione è accompagnata da limiti che si riflettono sulla legge delegata, la cui legittimità costituzionale è subordinata alla conformità della norma delegata alla norma delegante; con la conseguenza che il giudizio sulla conformità o divergenza porta a considerare l’eccesso di delega come figura comprensiva della mancanza, anche parziale, di delegazione, nonché l’uso del potere normativo da parte del Governo oltre il termine fissato, ovvero in contrasto con i predeterminati criteri direttivi o per uno scopo estraneo a quello per cui la funzione legislativa fu delegata;
14. ha poi ulteriormente chiarito (sentenza n. 98/2008) che il controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto fra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, l’uno relativo alla norma che determina l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega, l’altro relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi; sebbene la delega legislativa non escluda ogni discrezionalità del legislatore delegato, occorre valutare se il legislatore abbia ecceduto tali margini di discrezionalità, individuando la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente;
15. la necessaria coerenza tra legge delegante e legge delegata appare nel caso in esame dubbia per la previsione di una limitazione di tutela non prevista nella norma delegante e di individuazione incerta;
16. pertanto, in conclusione, nella presente fattispecie di destituzione per motivi disciplinari di lavoratore autoferrotranviario assunto dopo l’entrata in vigore del d. lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (“Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”) e di dedotta nullità del procedimento disciplinare ai sensi degli artt. 53 e 54 R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, questa Corte:
– ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, d. lgs. 4 marzo 2015, n. 23, in riferimento all’art. 76 Cost., nella parte in cui prevede che il giudice, “con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio (…) ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro (…) la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto”;
– solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 76 Cost. ed altri eventuali parametri derivati, della delimitazione della tutela reintegratoria ai casi di nullità “espressamente previsti della legge”, per contrasto con la norma della legge-delega (legge 10 dicembre 2014, n. 183, art. 1, comma 7, lett. c), che dispone che il legislatore delegato preveda per le nuove assunzioni, la limitazione del “diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”;
– sospende il presente giudizio;
– ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al Pubblico Ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei ministri;
– ordina, altresì, che la presente ordinanza venga comunicata dal Cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
– dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale;
P.Q.M.
Ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, in riferimento all’art. 76 Cost., rimette gli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il presente giudizio e mandando alla Cancelleria per gli adempimenti di legge.