Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 marzo 2023, n. 8737

Lavoro, Licenziamento in tronco, Natura ritorsiva del licenziamento, Esclusione, Mancata osservanza degli orari di lavoro e rifiuto di svolgere mansioni, Accoglimento 

 

Svolgimento del processo

 

1. (…), già dirigente cat. F, liv. 6, CCNL ANPAS, dipendente della (…), sez. Prov. (…), impugnava il licenziamento in tronco irrogatogli deducendone la natura ritorsiva dello stesso, in quanto intimato a seguito e per effetto della rottura, all’inizio del luglio 2017, della relazione sentimentale che aveva intrattenuto sin dal luglio 2012 con la Presidente della (…) sez. CZ, in subordine l’illegittimità del recesso per insussistenza dei fatti contestati, e comunque per sproporzione della sanzione espulsiva.

2. Il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso.

3. In sede di opposizione, ritenuto ammissibile il ricorso, il Tribunale di Catanzaro ha affermato sussistenti, sulla base della prova testimoniale, gli episodi di insubordinazione contestati, riconducibili alla mancata osservanza, da parte del dipendente, degli orari di lavoro contrattualmente stabiliti e al rifiuto di svolgere alcune mansioni, situazione che aveva creato un disagio anche tra i colleghi del ricorrente, e che doveva pertanto escludersi la nullità ritorsiva del licenziamento, dal momento che la conflittualità esistente tra le parti, per ragioni di carattere meramente sentimentale, seppur poteva essere stata concausa del contegno assunto dalle parti e della conseguente cessazione del rapporto di lavoro, non aveva costituito il motivo unico determinante del licenziamento, essendosi per contro venuto a creare in ambito lavorativo una situazione insostenibile.

Il Tribunale ha affermato, comunque, l’illegittimità del licenziamento sotto il profilo della proporzionalità, anche alla luce delle pregresse modalità di svolgimento della prestazione.

Riconosceva la tutela obbligatoria (2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto) e rigettava domanda di pagamento indennità sostitutiva del preavviso.

3. La Corte d’Appello, adita in sede di reclamo, ha accolto l’impugnazione incidentale proposta dalla (…), Sezione provinciale di (…) nei confronti del lavoratore e ha dichiarato la legittimità del licenziamento irrogato allo stesso il 17 agosto 2017, e ha assorbito il reclamo principale con cui il lavoratore aveva chiesto l’indennità di mancato preavviso e l’indennità risarcitoria nella misura massima prevista dalla legge.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando due motivi di ricorso.

5. Resiste con controricorso la (…), Sez. Prov. (…).

6. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo è dedotta la nullità della sentenza per violazione degli articoli 115, 116, 244, c.p.c., articolo 2697, c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4.

Assume il ricorrente che la Corte d’Appello, nell’affermare che i comportamenti accertati nell’istruttoria concretano una forma di insubordinazione grave posta in essere dal lavoratore, tale da rendere congrua la misura espulsiva adottata a carico dello stesso, e nel dipingere un soggetto noncurante dei compiti da svolgere, degli orari da rispettare, aveva omesso di esaminare fatti decisivi. Nel caso di specie non vi era solo una differente valutazione del fatto storico, ma il mancato esame di fatti storici decisivi ai fini della decisione.

Ciò, sia con riguardo alle prove testimoniali, sia con riguardo a documentazione probatoria prodotta da parte ricorrente (in nota 3 in calce alla pagina 7 è riportato testo di un asserito messaggio whatsapp, di cui, tuttavia, non è indicata né il luogo di produzione o allegazione nei giudizi di merito).

La motivazione della Corte d’appello era quindi viziata dall’omesso esame di fatti storici decisivi.

La Corte d’Appello aveva ritenuto che la misura espulsiva fosse determinata da un costante generale atteggiamento di sfida e di disprezzo del lavoratore nei confronti della parte datoriale, di per sé solo idonea a far venir meno il permanere delle indispensabili elemento fiduciario, e fosse giustificata dalle modalità comportamentali con cui il lavoratore ricorrente ha rifiutato di compiere le attività già fissate nel mese di agosto.

Assume il ricorrente che in tal modo la Corte d’Appello ha pretermesso la documentazione depositata in atti e le risultanze testimoniali, da cui unitamente si evinceva che la motivazione del licenziamento era da ricercare nella fine della relazione affettiva tra il ricorrente e la Presidente dell’Ente datore di lavoro, e non nelle contestazioni effettuate a ridosso del periodo di assenza del lavoratore per ferie durante il mese di agosto.

La motivazione in esame poteva qualificarsi apparente.

2. Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale ha affermato con esplicita statuizione che la conflittualità esistente tra le parti, per ragioni di carattere meramente sentimentale, seppur possa essere stata concausa del contegno assunto dalle parti e della conseguente cessazione del rapporto di lavoro, non ha costituito il motivo unico determinante del licenziamento, così peraltro escludendo il motivo ritorsivo.

Tale statuizione non risulta dalla sentenza di appello aver formato oggetto del reclamo principale proposto dal lavoratore, né ciò è dedotto nell’odierno motivo di ricorso. Pertanto, sulla mancanza di motivo ritorsivo del licenziamento si è formato giudicato interno.

Di talché, l’odierna censura che ripropone attraverso la deduzione del mancato esame di prove testimoniali e documenti relativi – a parte la mancata indicazione nel motivo della rituale produzione nei gradi di merito – la doglianza dell’imputabilità del licenziamento alla relazione affettiva che sarebbe intercorsa tra il lavoratore e la Presidente dell’Ente datore di lavoro già disattesa dal Tribunale, è inammissibile per il formarsi del giudicato interno e per il difetto di rilevanza.

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per violazione degli articoli 115, 116 e 244 c.p.c., degli articoli 2106 e 2119, c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4.

E’ contestata la proporzionalità della sanzione espulsiva, atteso che la proporzionalità deve essere valutata avendo riguardo all’entità dell’inadempimento e della colpa, nonché della grave incidenza di essi sull’elemento della fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre sul lavoratore ai fini della prosecuzione del rapporto.

4. Il motivo di ricorso è fondato nei sensi di cui in motivazione.

4.1. Come si è già affermato sulla mancanza del carattere ritorsivo del licenziamento si è formato giudicato interno.

4.2. Questa Corte ha più volte affermato (si v., Cass., n. 12789 del 2022) che l’articolo 2119. c.c., configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, nell’estrinsecarsi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, fino alla formazione del diritto vivente mediante puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto, precisando che l’operazione valutativa, compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’articolo 2119 c.c., non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità (Cass., nn. 1351 del 2016, 12069 del 2015, 6501 del 2013), poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento.

La relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass., nn. 1977 del 2016, 1351 del 2016, 12059 del 2015).

I fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario e spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzi tutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente e dalla qualifica rivestita, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla sua particolare natura e tipologia (v., ad es. Cass. nn. 2013 del 2012).

Nella specie la Corte d’Appello, pur richiamando modalità di comportamento del lavoratore riguardanti le attività fissate per il mese di agosto, ha incentrato la sussistenza della giusta causa nella violazione dell’ordine di servizio del 24 luglio 2017, allorché in data 31 luglio 2017, il lavoratore senza richiedere alcuna autorizzazione abbandona in via anticipata il posto di lavoro, nonostante fosse stato chiarito nella riunione di metà mese l’assoggettamento senza deroghe agli orari di entrata e di uscita indicati in contratto.

La Corte d’Appello ha affermato che la circostanza che ciò sia avvenuto, non solo il 31 luglio, ma in maniera reiterata anche dopo aver ricevuto l’ordine di servizio suddetto, costituiva elemento che denotava un costante generale atteggiamento di sfida e di disprezzo nei confronti della parte datoriale, di per sé solo idonea a far venir meno il permanere dell’indispensabile elemento fiduciario.

Atteso che la Corte d’Appello ha dato atto che una modifica dell’orario di lavoro del ricorrente era intervenuta in modo chiaro e definitivo solo il 24 luglio, ne discende che la legittimità del recesso è stata affermato con riguardo al mancato rispetto dell’orario di lavoro in un limitato arco temporale di pochi giorni.

Tale statuizione non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, che richiedono un più ampio vaglio di contesto oggettivo e soggettivo, ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa di recesso.

5. La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione.

6. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione.

In caso di diffusione della presente ordinanza vanno omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

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