Qualora non sia configurabile un’organizzazione unitaria alla quale ascrivere l’intera attività ed il relativo personale, quale unico centro di imputazione e datore di lavoro reale, la esternalizzazione dei servizi operata dalla prima alla seconda azienda integra un trasferimento di ramo di azienda con conseguente reintegrazione presso il cessionario del lavoratore illegittimamente licenziato.
Nota a Trib. Catanzaro 17 febbraio 2023, n. 1799
Pierfrancesco Quattrocchi
Si configura un trasferimento d’azienda laddove difetti l’unicità del centro di imputazione di un rapporto di lavoro a causa dell’assenza di una situazione di simulazione o di preordinazione in frode alla legge. È quanto ribadito dal Tribunale di Catanzaro (17 febbraio 2023, n. 1799; conf. Cass. n. 2014/2022, annotata in q. sito da M. MOCELLA, e Cass. n. 26346/2016), il quale sintetizza anche una serie di importanti principi:
– “Il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è, di per sé solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro”. Tale situazione si verifica quando emergano i seguenti indici sintomatici di una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale: “a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori”;
– nella nozione di trasferimento d’azienda (ai sensi dell’art. 2112 c.c.) rientra “qualsiasi operazione che comporti il mutamento della titolarità di un’attività economica qualora l’entità oggetto del trasferimento conservi, successivamente allo stesso, la propria identità, da accertarsi in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione, tra cui il tipo d’impresa, la cessione o meno di elementi materiali, la riassunzione o meno del personale, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate”. E non osta, alla configurabilità del trasferimento, la mancanza di un fine di lucro, “purché sussista un’organizzazione di mezzi produttivi idonei a fornire un prodotto o un servizio obiettivamente caratterizzati ed economicamente valutabili quanto meno sotto il profilo dei mezzi di produzione e delle prestazioni lavorative necessari per il loro conseguimento” (cfr. Cass n. 29422/2017 e Cass. n. 8262/2010);
-“In materia di trasferimento d’azienda, la Direttiva CE 77/187, come ripresa nel contenuto dalla Direttiva CE 98/50 e, infine, razionalizzata nel testo mediante sostituzione con la direttiva CE 2001/23 (all’origine della rinnovata versione dell’art. 2112 cod. civ.), nell’ambito del fenomeno della circolazione aziendale, persegue lo scopo di garantire ai lavoratori – assicurando la continuità dell’inerenza del rapporto di lavoro all’azienda, o alla parte di essa, trasferita ed esistente al momento del trasferimento – la conservazione dei diritti in caso di mutamento dell’imprenditore”;
– per “ramo d’azienda”, suscettibile di autonomo trasferimento, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e (v. Corte di Giustizia 24 gennaio 2002, C-51/00) “consenta l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obbiettivo, il cui accertamento presuppone la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trasferimento di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, dell’eventuale trasferimento della clientela, nonché del grado di analogia tra le attività esercitate prima o dopo la cessione, in ciò differenziandosi dalla cessione del contratto ex art. 1406 cod. civ. che attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto, comportando la sola sostituzione di uno dei soggetti contraenti e necessitando, per la sua efficacia, del consenso del lavoratore ceduto” (cfr. Cass. n. 6452/2009);
– il trasferimento di ramo d’azienda è configurabile (v. CGUE 20 gennaio 2011, C-463/09; 6 marzo 2014, C-458/12 e 13 giugno 2019, C-664/17) “anche quando oggetto della cessione sia un gruppo organizzato di dipendenti stabilmente assegnato a un compito comune senza elementi materiali significativi, purché tale entità preesista al trasferimento e sia in grado di svolgere quello specifico servizio prescindendo dalla struttura dalla quale viene estrapolata, in favore di una platea indistinta di potenziali clienti” ( Cass. n. 7364/2021 e Cass. n. 28593/2018 che fa riferimento ad “un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva, purché dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili”);
– manca una norma di legge che prescriva la forma scritta per la validità della cessione; per cui non osta alla configurabilità della cessione stessa l’inesistenza di un contratto scritto tra cedente e cessionario. Ciò, “purché l’entità economica conservi la propria identità e si accerti l’esistenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese”;
– l’art. 2556, co. 1., c.c., laddove prescrive la forma scritta ad probationem per i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di azienda concerne soltanto le parti contraenti e non è applicabile ai terzi (come i dipendenti dell’imprenditore in relazione ai diritti fatti valere, a norma dell’art. 2112 c.c., nei confronti del cessionario in conseguenza della cessione dell’azienda). Da parte dei terzi, infatti, la prova del trasferimento dell’azienda non è soggetta ad alcun limite e, quindi, può essere fornita anche con testimonianze e presunzioni;
– nell’ambito di un trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., non si applicano i termini di decadenza di cui all’art. 32, co. 4, L. n. 183/2010 qualora il lavoratore reclami il diritto ad essere ricompreso nel perimetro del segmento aziendale ceduto e richieda, quindi, la prosecuzione del rapporto di lavoro con il soggetto cessionario (v., tra e tante, Cass. n. 28750/2019);
Nel caso di specie, il Tribunale ha ravvisato, nella esternalizzazione dei servizi, gli elementi fattuali sintomatici dell’esistenza di un ramo di azienda oggetto di cessione ed ha ordinato la reintegrazione del lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo presso la società cessionaria.