Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 aprile 2023, n. 9356

Lavoro, Assegno mensile a favore di mutilati e invalidi civili, Accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni d’invalidità, Termine perentorio per contestare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, Decreto di omologa emesso in mancanza di dissenso delle parti, Ricorribilità in Cassazione, Accoglimento

 

Fatti di causa

 

1.- Il signor G.S. ha proposto istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni d’invalidità (art. 445bis, comma 1, c.p.c.), in vista del conseguimento dell’assegno mensile a favore di mutilati e invalidi civili (l. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13 recante “Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili”).

Con decreto del 18 settembre 2019, il Tribunale di Trani ha omologato l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico d’ufficio e non contestate.

Il Tribunale, in applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ha dichiarato non dovuta all’INPS la rifusione delle spese del procedimento e ha posto a carico dell’Istituto, in via definitiva, le spese della consulenza tecnica d’ufficio.

2.- Il signor G.S. impugna per cassazione il decreto di omologa, con ricorso notificato il 9 novembre 2019 e affidato a un unico motivo.

3.- L’INPS si è limitato a depositare procura conferita in calce al ricorso notificato, senza svolgere sostanziale attività difensiva.

4.- Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, in base agli artt. 375 comma 2, e 380-bis.1. c.p.c..

5.- Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.

 

Ragioni della decisione

 

1.- Il signor G.S., con l’unico motivo, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 445bis, comma 4, c.p.c. e lamenta che il Tribunale di Trani abbia emesso decreto di omologazione, pur non avendo assegnato il termine per esprimere il dissenso. In tal modo, il Tribunale avrebbe pregiudicato le prerogative difensive del ricorrente.

2.- Occorre esaminare, in primo luogo, l’ammissibilità dell’odierno ricorso.

2.1.- Il giudice, quando non siano espresse contestazioni e non sussistano i presupposti per la rinnovazione delle indagini peritali (art. 196 c.p.c.), omologa l’accertamento del requisito sanitario, secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico d’ufficio, e provvede sulle spese.

La legge qualifica tale decreto come “non impugnabile né modificabile” (art. 445bis, comma 5, c.p.c.).

2.2.- Questa Corte ammette l’impugnabilità per cassazione del decreto con riguardo alle statuizioni sulle spese, sia di lite che di consulenza, in quanto tali statuizioni integrano un provvedimento definitivo, di carattere decisorio, lesivo dei diritti patrimoniali delle parti e non altrimenti impugnabile (Cass., sez. lav., 17 marzo 2014, n. 6085).

2.3.- Quanto al decreto emesso in mancanza di dissenso delle parti, in linea generale non è ricorribile per cassazione.

Le conclusioni dell’accertamento divengono intangibili allorché non siano contestate dalle parti, nel termine fissato dal giudice ai sensi del comma 4 dell’ art. 445bis c.p.c., prima dell’emissione del decreto (Cass., sez. lav., 4 maggio 2015, n. 8878). Il decreto è definitivo e non può essere successivamente contestato, neppure ai sensi della Cost., art. 111 (Cass., sez. lav., 2 agosto 2019, n. 20847 e Cass., sez. VI-L, 9 novembre 2016, n. 22721).

Il decreto di omologazione, invero, si limita a certificare l’accordo delle parti sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio (Cass., sez. lav., 14 febbraio 2022, n. 4731) e l’esclusione della ricorribilità per cassazione si giustifica anche alla stregua della necessità di contemperare le esigenze di tutela del diritto di difesa con quelle di garanzia della ragionevole durata del processo (sentenza n. 8878 del 2015, cit.).

3.- Tali conclusioni, che si devono ribadire, poggiano sul presupposto che sia stata rispettata la scansione delineata dalla legge e che il dissenso non sia stato esternato nel termine assegnato con apposito decreto.

L’ art. 445bis, comma 4, c.p.c., richiamato a sostegno del ricorso, prescrive al giudice, una volta che siano terminate le operazioni di consulenza, di fissare alle parti un termine perentorio non superiore a trenta giorni. Il giudice provvede alla fissazione del termine con decreto comunicato alle parti. Entro il termine assegnato dal giudice le parti possono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio.

E’ significativo che il legislatore presidi il procedimento in esame, pur improntato a esigenze di speditezza, con puntuali cautele e con incisive garanzie.

Ciascuno degl’incombenti sanciti dalla legge adempie a una precisa funzione.

Il termine per il dissenso dev’essere assegnato con decreto e il decreto dev’essere emesso quando le operazioni peritali siano oramai ultimate. Al giudice è così consentito di modulare il termine secondo le peculiarità della vicenda concreta, senza frustrare le esigenze di sollecita trattazione, che rendono invalicabile il termine di trenta giorni.

Il provvedimento del giudice dev’essere comunicato alle parti. La comunicazione è funzionale all’esercizio della facoltà di esprimere il dissenso nelle forme prescritte dal codice di rito (atto scritto depositato in cancelleria), anche con riguardo agli aspetti preliminari oggetto di verifica giudiziale, come i presupposti processuali e le condizioni dell’azione (ordinanza n. 20847 del 2019, cit.).

La comunicazione risponde anche all’esigenza di fruire appieno di un termine che la legge stessa qualifica come perentorio per l’esercizio di una facoltà che è gravida d’implicazioni sul corso del procedimento.

La scansione appena tratteggiata assume rilievo cruciale ai fini della salvaguardia del diritto di difesa, alla luce delle ragguardevoli implicazioni in punto d’intangibilità dell’accertamento del requisito sanitario.

Solo l’osservanza di tali regole vale a conferire il crisma della definitività all’accertamento del requisito sanitario omologato dal giudice e giustifica la decadenza della parte dal potere di dare ulteriore impulso al procedimento, con un atto di esplicito e univoco dissenso che il legislatore ha voluto rivestire di forme tassative, differenziandolo dalle osservazioni mosse durante lo svolgimento delle operazioni peritali (Cass., sez. lav., 1 febbraio 2021, n. 2163).

Quando non sia rispettata la sequenza individuata dalla legge, difettano le ragioni che questa Corte ha addotto per negare l’impugnabilità ex Cost. art. 111 non si ravvisa quell’accordo sulle conclusioni del consulente e si pregiudica il diritto di difesa delle parti, già vincolate a uno stringente termine perentorio, diritto di difesa che il legislatore ha inteso invece bilanciare con le esigenze di celerità.

4.- Nel caso di specie, il ricorrente lamenta che l’inoppugnabilità dell’accertamento del requisito sanitario, non altrimenti contestabile e lesiva dei diritti della parte che non abbia potuto esprimere il dissenso, discenda dalla violazione delle regole processuali.

Il ricorso, volto a rimuovere il pregiudizio di una definitività contra legem, è, dunque, ammissibile, in applicazione del seguente principio di diritto: “E’ impugnabile per cassazione ai sensi della Cost. art. 111 il decreto con cui il giudice, sul presupposto dell’assenza di contestazioni, omologhi e renda così definitivo l’accertamento del requisito sanitario ai sensi dell’ art. 445bis, comma 5, c.p.c., senza avere prima fissato con decreto comunicato alle parti, all’esito delle operazioni di consulenza, un termine non superiore a trenta giorni per contestare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio”.

5.- Nel merito, la doglianza è fondata.

Il ricorrente ha allegato e dimostrato, con la documentazione richiamata a corredo della censura e descritta nei suoi dati salienti (pagina 4 del ricorso), che il Tribunale si è limitato a comunicare il 6 maggio 2019 il deposito della consulenza tecnica d’ufficio, senza provvedere all’assegnazione di un termine ai sensi dell’art. 445bis, comma 4, c.p.c., con apposito decreto.

Solo da tale decreto, emesso a conclusione delle operazioni peritali e comunicato alle parti, può decorrere il termine perentorio per contestare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, con la conseguente preclusione di ulteriori contestazioni, nelle fasi contenziose prefigurate dall’ art. 445bis, sesto e comma 7, c.p.c., per la parte che non abbia esternato il dissenso secondo le cadenze temporali individuate dalla legge e poi specificate dal giudice.

Di un espresso decreto di assegnazione del termine, comunicato alle parti, non si rinviene traccia neppure nel decreto di omologazione impugnato in questa sede, che si limita a fare generico richiamo alle disposizioni di legge, senza offrire più puntuali ragguagli in ordine all’osservanza delle tassative prescrizioni che esse racchiudono.

Il decreto sottoposto all’odierno esame, nell’omologare l’accertamento del requisito sanitario sulla base della mancanza di contestazioni, incorre dunque nel vizio denunciato dalla parte ricorrente.

6.- Ne consegue che il ricorso dev’essere accolto. L’impugnato decreto di omologazione è cassato.

7.- La causa dev’essere rinviata al Tribunale di Trani, in persona di diverso magistrato, che si uniformerà al seguente principio di diritto: “L’intangibilità dell’accertamento del requisito sanitario, omologato dal giudice secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico d’ufficio, presuppone che il giudice, concluse le operazioni di consulenza, abbia assegnato con decreto comunicato alle parti un termine per la contestazione delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non superiore a trenta giorni, e che le parti, con atto scritto depositato in cancelleria, non abbiano formulato contestazioni di sorta nel termine assegnato, anche con riguardo agli aspetti preliminari oggetto di verifica giudiziale (presupposti processuali e condizioni dell’azione)”.

8.- Al giudice di rinvio è rimessa anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa l’impugnato decreto e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, al Tribunale di Trani, in persona di diverso magistrato.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 aprile 2023, n. 9356
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