Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 aprile 2023, n. 10076

Lavoro, Licenziamento, Violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, Condotta ingannevole ai danni del datore di lavoro, Utilizzo delle assenze dal lavoro per svolgere altra attività lavorativa, Assenza alla visita fiscale, Rigetto 

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Trento – decidendo sul reclamo proposto da K.P. avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto che aveva respinto la domanda tesa ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatogli dalla D.E.P.I. s.p.a. l’8.2.2018 – ha confermato la decisione impugnata ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

2. Il giudice di appello ha accertato che con la lettera di contestazione di addebito, alla quale era poi seguito il licenziamento, al P. non era stato contestato soltanto di essersi assentato dal lavoro senza giustificazione ma anche di aver usato ingannevolmente tali assenze per svolgere un’altra attività lavorativa, così violando i doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

2.1. La Corte del reclamo ha quindi ritenuto che l’illecito addebitato non rientrasse nella fattispecie collegata all’assenza ingiustificata descritta dal c.c.n.l. ed ha verificato che l’istruttoria svolta aveva confermato i fatti addebitati al lavoratore e che – in disparte l’idoneità della condotta accertata a pregiudicare lo stato di salute del lavoratore ritardandone la ripresa del servizio – era la condotta ingannevole ai danni del datore di lavoro attuata dal P. ad essere rilevante ai fini del licenziamento.

2.2. In questo contesto la Corte territoriale ha ritenuto prive di rilevo le circostanze addotte dal ricorrente a giustificazione della sua assenza alla visita fiscale dell’INPS (malfunzionamento del citofono) e la giustificazione riferita da uno dei pomeriggi di assenza (essersi recato ad un tempio a Milano per pregare) osservando che, ove pure provate non avrebbero comunque escluso l’ingiustificatezza delle altre assenze.

2.3. In conclusione, la Corte del reclamo ha ritenuto che gli addebiti contestati e provati, a prescindere dal pur contestata recidiva, integrassero per la loro gravità la giusta causa di recesso.

3. Per la Cassazione della sentenza ha proposto tempestivo ricorso K.P. affidato a tre motivi. La D.E.P.I. s.p.a. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

 

Considerato che

 

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., perché della fase sommaria di primo grado e del giudizio di opposizione si era occupato lo stesso giudice.

5. Il motivo è prima di ogni altra considerazione inammissibile per la ragione, assorbente, che la questione risulta avanzata per la prima volta davanti a questo giudice di legittimità mentre avrebbe dovuto essere posta al giudice del reclamo.

5.1. In ogni caso la questione che viene posta è stata già esaminata ed è stata ritenuta infondata evidenziandosi che nel rito cd. Fornero, il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica e l’opposizione non ha carattere impugnatorio ma di prosecuzione dello stesso grado del giudizio (cfr. Cass. n.25046 del 2015). Pertanto, non vi è alcuna incompatibilità per il giudice della fase sommaria di conoscere anche dell’eventuale opposizione all’ordinanza emessa in quella sede (in tal senso Corte Cost. n. 78 del 2015, Cass. n. 3136 del 2015 e Cass. n. 11115 del 2019).

6. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c..

6.1. Ad avviso del ricorrente la Corte di appello avrebbe esaminato in maniera superficiale le risultanze istruttorie e non avrebbe considerato che la condotta del lavoratore era caratterizzata da buona fede. In particolare, con riguardo al permesso chiesto per la visita medica del 12.1.2018, sottolinea che non potendone conoscere l’esatto orario era stata chiesta l’intera giornata e che era stato concordato un rientro alle 13 avvantaggiandosi anche della pausa pranzo. Per un imprevisto riferibile alla struttura sanitaria la visita si era svolta con modalità tali che gli avevano impedito di rientrare al lavoro entro la fine del turno. Nei giorni 16 e 17 gennaio poi il P. era stato assente per malattia puntualmente documentata ed egli non aveva svolto alcuna attività lavorativa (come attestato dalla stessa relazione investigativa) recandosi alla Fiera solo per accompagnare dei connazionali e trattenendosi lì brevemente. Esclude che possa in tal senso essere rilevante la circostanza attestata dell’investigatore di aver scaricato valigie pesanti o di essersi trattenuto alla fiera senza che sia risultata alcuna specifica e tipica attività.

7. La censura, pur veicolata come una violazione di legge, si risolve in un riesame dei fatti acquisiti e già valutati dalla Corte di merito, precluso in sede di legittimità, ed è perciò inammissibile.

7.1. Va qui ribadito che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del già menzionato giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. 20/05/2019 n. 13534).

7.2. Nel caso in esame il ricorrente non ha indicato i parametri integrativi del precetto normativo elastico che sarebbero stati violati dai giudici di merito, e si limita a contrapporre una ricostruzione e valutazione dei fatti diversa rispetto a quella posta a base della decisione impugnata.

8. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 2119 c.c. e degli artt. 52, 53 e 54 c.c.n.l. gomma e plastica (industria).

8.1. Il ricorrente sostiene di aver agito sempre in buona fede e nel rispetto del rapporto di lavoro sia nei giorni oggetto della contestazione che nel lungo periodo di diciotto anni in cui si è protratto il rapporto di lavoro e che la condotta addebitatagli non integrerebbe alcuna delle ipotesi previste dall’art. 54 c.c.n.l..

8.2. Deduce che le assenze, peraltro preordinate, erano comunque al di sotto del minimo previsto dalla norma collettiva e comunque la condotta non era tale da giustificare una lesione così grave del rapporto fiduciario.

9. Anche tale motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

9.1. Nel richiamare le considerazioni già esposte in risposta al precedente motivo va sottolineato che la Corte territoriale non è incorsa in alcun vizio di sussunzione dei fatti nella nozione di giusta causa e neppure ha erroneamente disatteso le norme collettive invocate.

9.2. Ricostruendo i fatti accertati in giudizio e valutandoli il giudice del reclamo ha ritenuto preminente l’aspetto fraudolento sotteso alle condotte che le lega tra loro e tale questione, peraltro attinente come detto alla ricostruzione dei fatti che è demandata in via esclusiva al giudice del merito, non risulta neppure puntualmente contestata pur nei limiti in cui ciò è ancora consentito, vale a dire denunciando un vizio di motivazione della decisione.

10. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 4500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 aprile 2023, n. 10076
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: