Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 aprile 2023, n. 10206

Lavoro, Pensionati e loro superstiti, Agevolazione tariffaria sul consumo dell’energia elettrica, Principio di fedeltà ai precedenti, Esclusione della natura retributiva del beneficio, Successione dei contratti collettivi, Diritto quesito, Esclusione, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione di primo grado con cui era stato respinto il ricorso proposto dai pensionati indicati in epigrafe (o dai loro superstiti), già dipendenti del Gruppo E., volto ad ottenere nei confronti di E. Spa e E.D. Spa l’accertamento del diritto a fruire delle riduzioni tariffarie sulla fornitura di energia elettrica sulla scorta della disciplina collettiva vigente in costanza di rapporto di lavoro.

2. La Corte, in estrema sintesi, ha ritenuto che la disdetta E. del 12 ottobre 2015 ed il successivo accordo aziendale del 27 novembre 2015, con estinzione del beneficio alla data del 31 dicembre 2015, risultavano legittimi, “posto che nulla osta all’eliminazione di benefici previsti da contratti/accordi collettivi anche per i pensionati”, in presenza di originari obblighi assunti a tempo indeterminato.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i soccombenti con cinque motivi; hanno resistito con controricorso le società intimate (E. s.p.a., E.I. s.p.a., E.D. s.p.a.). Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di ricorso, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 2099, 2121 c.c., 48 e 51 del T.U.I.R., affermandosi che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l’agevolazione tariffaria sul consumo dell’energia elettrica non configurasse un elemento della retribuzione, spettante al pensionato in ragione dell’attività lavorativa resa nel corso degli anni di servizio.

2. Con il secondo motivo, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 1373, 2099 c.c., 33 del c.c.n.l. del 21.2.1989 avendo, la Corte territoriale, errato a non ritenere che lo sconto sui consumi dell’energia elettrica è un diritto definitivamente acquisito al patrimonio dei lavoratori che, in quanto tale, è insensibile alla contrattazione collettiva successiva. Il diritto dei pensionati e dei loro superstiti deve essere qualificato come diritto quesito poiché il fatto costitutivo del diritto (il rapporto di lavoro e la sua cessazione) era sorto prima della disdetta.

3. Con il terzo motivo, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 1373 c.c. in relazione agli artt. 46 del contratto collettivo del 21.2.1989 e 55 dei contratti collettivi 24.7.2001, 18.7.2006, 5.3.2010, 18.2.2013, avendo, la Corte territoriale, trascurato che il recesso datoriale sarebbe nullo poiché ha riguardato solo le previsioni collettive aventi a oggetto l’agevolazione tariffaria e non l’accordo nella sua interezza.

4. Con il quarto motivo, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1387, 1388, 1392, 1399 c.c., avendo, la Corte territoriale, trascurato il difetto di rappresentanza delle organizzazioni sindacali e la conseguente inefficacia del recesso esercitato dal datore di lavoro in quanto la nota del 12.10.2015 era indirizzata alle organizzazioni sindacali a cui gli attuali ricorrenti non aderivano; il ricorrente assume che le organizzazioni sindacali non avevano alcun potere di dismettere diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori, in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi.

5. Con il quinto motivo, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1230 c.c. in relazione all’art. 1333 c.c., avendo, la Corte territoriale, trascurato che la nota sottoscritta dal datore di lavoro e consegnata ai ricorrenti all’atto del pensionamento, avente per oggetto il riconoscimento del diritto allo sconto tariffario determina la definitiva incorporazione del beneficio per cui è causa nel trattamento individuale dei pensionati. Dalla predetta nota si evince la volontà datoriale di novare la fonte dell’obbligo all’atto della cessazione del rapporto, di guisa che la stessa agevolazione si è definitivamente incorporata nel trattamento pensionistico.

6. Il ricorso non è fondato. Tutte le questioni poste con i suesposti motivi di ricorso sono già state esaminate e ritenute non fondate da decisioni della Corte rese in controversie concernenti la stessa vicenda (Cass. nn. 1281, 1289, 1296, 1309, 1596, 1597 del 2023). Pertanto, in mancanza di ragioni nuove e diverse da quelle disattese nei giudizi analoghi, deve operare il principio di fedeltà ai precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione ordinamentale e, al contempo, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale affidata alla Corte di cassazione (vedi Cass., sez. un, 4 luglio 2003, n. 10615; 15 aprile 2003, n. 5994); la disamina approfondita già affrontata da questa Corte, anche con riferimenti ai (più risalenti) precedenti giurisprudenziali richiamati dai ricorrenti, esclude la ricorrenza dei requisiti per l’invio degli atti all’esame delle Sezioni Unite. Si rinvia, di conseguenza, alla motivazione dei precedenti richiamati, di cui si espongono in sintesi i punti essenziali.

7. Dalla ricostruzione emergente dagli atti di causa risulta che, da un punto di vista storico, l’agevolazione tariffaria sull’energia elettrica venne introdotta per la prima volta nel contratto collettivo post corporativo a favore dei dipendenti delle aziende elettriche private con la finalità di attribuire un beneficio alle famiglie dei dipendenti che si servivano per uso domestico della energia erogata dal proprio datore di lavoro. La misura in oggetto fu strettamente collegata all’uso familiare dell’abitazione principale del dipendente tanto che in presenza di più dipendenti E., componenti del medesimo nucleo familiare, l’agevolazione tariffaria spettava per una sola utenza e comunque entro determinati limiti; essa venne estesa agli ex dipendenti posti in quiescenza e riconosciuta anche in favore di soggetti non dipendenti quali le vedove e i vedovi dei dipendenti. La previsione di tale beneficio fu mantenuta nei diversi contratti collettivi succedutisi nel tempo fino al contratto collettivo del 1996 che escluse tale misura per i dipendenti assunti a partire dal 1° luglio 1996. Il successivo contratto collettivo 2001 abolì l’istituto stabilendo la necessità di una rinegoziazione della complessiva disciplina aziendale in vigore. In tale contesto si colloca la stipula dell’accordo aziendale di cui al verbale del 19 aprile 2002 (cd. accordo di armonizzazione) con il quale le parti convenivano che, per i lavoratori in servizio alla data del 30 giugno 1996, restavano confermate le disposizioni di cui all’art. 33 del c.c.l. 21.2.1989 in materia di energia elettrica. Con il contratto collettivo elettrici dell’anno 2006 E. s.p.a. e le organizzazioni sindacali assunsero formale impegno alla definizione a livello aziendale della questione relativa al riesame della materia delle agevolazioni tariffarie ed in attuazione di tale impegno venne avviato un processo negoziale confluito nella sottoscrizione, nel maggio 2011, di alcuni autonomi accordi programmatici, dedicati alle agevolazioni tariffarie ed alla contestuale attuazione di misure di sostegno del sistema della previdenza complementare, misure modulate in maniera differenziata per fasce di dipendenti distinte in relazione all’epoca di assunzione; tale processo fu portato a conclusione con l’accordo in data 1° dicembre 2011 tra E. e le parti sindacali e prevedeva, per quel che qui rileva, la sostituzione, a decorrere dal 1° febbraio 2012, dell’istituto delle agevolazioni tariffarie con misure di sostegno al sistema della previdenza complementare in Azienda. Tali accordi furono sottoscritti dai rappresentanti di tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo elettrici. In data 12 ottobre 2015 E. s.p.a. comunicò alle Segreterie Nazionali delle Organizzazioni Sindacali formale recesso dalla regolamentazione collettiva sulle agevolazioni tariffarie, con estinzione del beneficio alla data del 31 dicembre 2015 anche per gli ex dipendenti ed i loro superstiti. In data 27 novembre 2015, in seguito a confronto tra E. s.p.a. e le organizzazioni sindacali, fu sottoscritto uno specifico accordo con il quale veniva previsto che dal 1° gennaio 2016 agli ex dipendenti e superstiti fruitori del beneficio alla data del 31 dicembre 2015 era riconosciuta una tantum ed a titolo di liberalità una somma lorda quantificata in base all’età del singolo beneficiario la cui erogazione fu condizionata alla sottoscrizione di un verbale di conciliazione.

8. Dalla evoluzione della disciplina collettiva in materia di agevolazione tariffaria si evince, quindi, che a partire quanto meno dal contratto collettivo del 1996 si avvertì la necessità di un superamento dell’istituto, ritenuto evidentemente anacronistico in considerazione sia della mutata natura dell’E., da ente pubblico economico a società per azioni per effetto del d.l. n. 333/1992 (art. 15) convertito in legge n. 359/1992, sia in relazione al processo di liberalizzazione del mercato elettrico disposto con il d. lgs. n. 79/1999, in attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, processo completato il 1° luglio 2007 (d.l. n. 73/2007 convertito in legge n. 125/2007). L’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG) intervenne con delibera del 29 dicembre 2007 sollecitando l’incentivazione del riassorbimento degli sconti sui consumi elettrici riconosciuti ai dipendenti del settore assunti prima del 1° luglio 1996, al fine di evitare distorsioni del segnale del prezzo percepito per tali consumatori domestici e di ridurre il rischio di un uso inefficiente dell’energia elettrica e le complicazioni amministrative in capo al distributore e al venditore. Alla luce di tale complessivo contesto e, in particolare, della evoluzione della disciplina collettiva in tema di agevolazione tariffaria devono essere esaminate le questioni poste dai motivi in esame.

9. Una prima questione concerne la natura, retributiva (rectius corrispettiva) o meno, dell’agevolazione tariffaria in controversia; la relativa verifica, condotta alla luce delle caratteristiche dell’istituto quale regolato dalle norme collettive (v. paragrafo 2.1.), induce ad escludere ogni rapporto di corrispettività tra l’agevolazione tariffaria e la prestazione del singolo lavoratore; il riconoscimento del relativo diritto e della sua misura, prescindeva, infatti, del tutto dalla qualità e quantità della prestazione lavorativa resa dal singolo dipendente nonché dalla durata del pregresso rapporto e dalla posizione che il lavoratore aveva assunto in azienda; in conseguenza, tale istituto risultava sottratto al rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., configurandosi come un beneficio che trovava origine nel complessivo regolamento del rapporto di lavoro senza essere specificamente destinato alla remunerazione della prestazione resa dal dipendente.

10. In senso contrario a tale approdo non sono utilmente invocabili alcuni precedenti di questa Corte (Cass. n. 24268 del 2013 e Cass. n. 24533 del 2013), che hanno scrutinato fattispecie non sovrapponibili a quella in esame, ove tale agevolazione aveva carattere alternativo rispetto al riconoscimento di un assegno ad personam non assorbibile, di pacifica natura retributiva. Né orienta a soluzione opposta a quella qui condivisa la presenza di “certificazioni” in cui la società avrebbe riconosciuto il mantenimento del diritto alla riduzione tariffaria ai ricorrenti all’atto del loro pensionamento; ciò sia perché tali documenti esprimono solo la posizione dell’E., che non può essere significativa della comune volontà delle parti collettive nella regolamentazione dell’istituto, sia perché l’interpretazione di tali atti unilaterali si traduce in un accertamento di fatto ed è affidata al giudice del merito e non è sindacabile in questa sede di legittimità (cfr. Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014).

11. Neppure può valere a sorreggere l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria in oggetto la circostanza del suo inserimento nel CUD e la sua qualificazione come «reddito da lavoro» ai fini IRPEF (Cass. n. 586 del 2017; Cass. n. 11414 del 2015), tenuto conto delle specifiche finalità della legge tributaria per la quale ciò che rileva è che una determinata erogazione (o il suo controvalore) costituisca indice di capacità contributiva che lo renda assoggettabile a prelievo fiscale; tanto esclude che dalla qualificazione a fini fiscali dell’agevolazione tariffaria possano trarsi indicazioni destinate ad incidere sulla configurazione dell’istituto in oggetto nell’ambito del rapporto di lavoro.

12. Una seconda questione che si pone concerne la configurabilità di un diritto quesito in capo agli odierni ricorrenti, ex dipendenti, al mantenimento del beneficio. Posto che, secondo l’orientamento del giudice di legittimità, sono diritti quesiti solo quelle «situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato» (Cass. n. 14944 del 2014; Cass. n 20838 del 2009), la pretesa azionata dagli odierni ricorrenti è espressione di una mera aspettativa al mantenimento nel tempo della più favorevole normativa collettiva che tale beneficio ha previsto.

L’agevolazione tariffaria in questione trova, infatti, la propria fonte nelle disposizioni del contratto collettivo le quali, come ripetutamente chiarito dal giudice di legittimità, non si incorporano nel contenuto del contratto individuale dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano sul singolo rapporto come fonte eterogenea di regolamento del rapporto, concorrente con la fonte individuale, con la conseguenza che, in caso di successione dei contratti collettivi, si realizza una sostituzione delle nuove clausole e le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole, restando la conservazione di quel trattamento affidata all’autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti, le quali possono prevederla con apposita clausola di salvaguardia (Cass. n. 16043 del 2018; Cass. n. 1298 del 2000; Cass. n. 11466 del 1997; Cass. n. 11052 del 1995), volontà nello specifico non rinvenibile.

13. Una volta esclusa la configurabilità del consolidarsi di un diritto quesito al mantenimento del beneficio in capo ai lavoratori per effetto delle richiamate pattuizioni collettive, il recesso di E. s.p.a. risulta senz’altro consentito alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, che si richiama anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., secondo il quale qualora il contratto collettivo non abbia un predeterminato termine di efficacia, esso non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all’esigenza di evitare – nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto – la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione (tra molte: Cass. n. 14961 del 2022; Cass n. 40409 del 2021; Cass. n. 23105 del 2019; Cass. n. 18548 del 2009; Cass. n. 19351 del 2007).

14. Alla stregua delle argomentazioni esposte il ricorso deve essere respinto nel suo complesso; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

15. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 27.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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