Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2023, n. 10223
Lavoro, Contratto a termine, Trasformazione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, Limiti alle assunzioni previsti per gli organismi in house providing, Nesso causale tra intensificazione dell’attività e attuazione dei progetti, Specificità della ragione giustificatrice dell’apposizione del termine, Esigenze aziendali, Rigetto
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta da M.M., ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto dal medesimo concluso il 27.6.2005 con (…) (d’ora in avanti “F.”), ha dichiarato costituito tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data suddetta ed ha condannato parte datoriale alla riammissione in servizio e al pagamento dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 32, della legge 183 del 2010, nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.
2. La Corte territoriale ha accertato come il lavoratore fosse stato utilizzato non solo nell’ambito del progetto indicato nel contratto (“dall’iter alle reti: implementazione sportello imprese”) quale causale della apposizione del termine, ma in numerosi altri progetti, risultando la sua assunzione destinata a soddisfare esigenze aziendali non temporanee bensì permanenti e durature.
3. Avverso tale sentenza F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi. M.M. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
Considerato che
4. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.lgs. 175/2016 e dell’art. 97 Cost. Si assume che la pronuncia d’appello, nella parte in cui ha dichiarato costituito tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, abbia violato i divieti e i limiti alle assunzioni previsti per gli organismi in house providing dall’art. 19 cit. e, prima ancora, dal d.l. 112/2008; che lo ius superveniens fosse applicabile in ogni stato e grado del giudizio; che F. è un’associazione riconosciuta, dotata di personalità giuridica, ente in house del Dipartimento della Funzione Pubblica, sottoposto al controllo, alla vigilanza, ai poteri ispettivi della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica; che F. è stato inserito nell’elenco delle amministrazioni pubbliche che concorrono a formare il conto economico consolidato dello Stato e con d.p.c.m. del 7.2.2007 è stato sottoposto al controllo della Corte dei conti; che la natura di ente in house del F. emergeva dagli elementi offerti ai giudici di primo e secondo grado e che la Corte d’appello ha del tutto omesso di valutare la questione relativa alla natura in house dello stesso e le disposizioni di legge sopravvenute (d.lgs. 175/2016) che impedivano di procedere alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
5. Il motivo non può trovare accoglimento.
6. Il d.lgs. 175 del 2016, e quindi anche il suo art. 19, si applicano esclusivamente ai soggetti giuridici che abbiano i requisiti per essere qualificati “società a partecipazione pubblica” (cfr. Cass., Sez. Un., n. 20632 del 2022; n. 26738 del 2021; n. 32608 del 2019, chiamate a pronunciare sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario, contabile ed amministrativo, tutte relative a soggetti giuridici aventi forma societaria).
Il F., come stabilito dall’art. 1 del d.lgs. n. 6 del 2010, è “un’associazione riconosciuta, con personalità giuridica di diritto privato sottoposta al controllo, alla vigilanza, ai poteri ispettivi della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica”; esso non ha forma societaria e quindi deve ritenersi non pertinente il richiamo fatto al citato art. 19. Peraltro, quest’ultima disposizione non potrebbe trovare applicazione rispetto al rapporto oggetto di causa in quanto risalente al maggio 2005, cioè ad epoca anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 175 del 2016 ed anche del d.l. n. 12 del 25.6.2008 (ndr d.l. n. 112 del 25.6.2008), convertito dalla legge n. 133 del 2008, anch’esso concernente le “società a partecipazione pubblica totale o di controllo” (v. Cass. n. 4571 del 2022; Cass. 3621 del 2018; Cass. n. 4897 del 2018; con specifico riferimento a F. P.A. v. Cass. n. 32696 del 2018; Cass. n. 29926 del 2018; Cass. n. 27228 del 2018).
Né le disposizioni invocate dalla parte ricorrente prevedono espressamente una efficacia retroattiva, con applicazione ai giudizi in corso.
7. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c. poiché la decisione impugnata non spiega, con la necessaria chiarezza e consequenzialità logica, le ragioni di fatto sulla cui base arriva ad affermare la mancanza di allegazioni e richieste probatorie del F. sulla intensificazione dell’attività indicata quale causale della apposizione del termine; la sentenza d’appello, inoltre, considera decisivo il fatto che il datore di lavoro abbia chiesto di provare le circostanze di cui alla memoria solo in via subordinata e per il caso di ammissione delle prove orali di controparte, là dove nella memoria è fatta istanza di prova diretta sui capitoli già formulati in primo grado, mentre la richiesta subordinata concerneva la prova contraria sui capitoli di controparte; si deduce, infine, l’erronea interpretazione della domanda del M., integrante vizio di ultrapetizione, nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto contestata l’effettività della causale indicata nel contratto a termine, essendosi viceversa il lavoratore limitato a contestare che l’intensificazione dell’attività avesse costituito la fonte giustificatrice della posizione del termine.
8. Il motivo è infondato.
9. La sentenza d’appello, in relazione al (terzo) contratto a termine la cui causale era legata alla “intensificazione dell’attività in relazione a determinati progetti”, e premesso che F. opera sulla base di commesse provenienti dal Dipartimento della Funzione Pubblica, dagli enti locali o da altri enti, ha ritenuto che sarebbe stato necessario, al fine di giustificare l’apposizione del termine, allegare e dimostrare “non solo l’adibizione dell’assunto a termine a lavorare sulla commessa ricevuta ma anche, e soprattutto, il contesto aziendale di riferimento e quindi, ad esempio, la occasionalità, non programmabilità e tendenziale irripetibilità della medesima (commessa) o di altre dello stesso tipo, la insufficienza del personale a disposizione, la inutilità della prestazione del lavoratore al termine della lavorazione” (pag. 11); ha rilevato come tali dati, essenziali ai fini della legittimità della clausola appositiva del termine, non solo non erano indicati nel contratto ma neppure erano stati oggetto di allegazioni e prove da parte del datore di lavoro onerato, essendo al contrario emerso che il dipendente era stato impiegato anche per la “attuazione di altri progetti”, diversi da quelli indicati nel contratto, e quindi destinato a soddisfare “esigenze aziendali permanenti e durature” (pag. 12 della sentenza).
10. La motivazione segue un percorso logico lineare e certamente e non presenta alcuno dei vizi che determinano nullità ai sensi dell’art. 132 n. 4 c.p.c., come definiti dalle S.U. di questa Corte (sentenze n. 8053 e 8054 del 2014 e successive conformi). Per il resto, la censura investe l’interpretazione degli atti processuali, come operata dai giudici di merito, o ancora la valutazione delle risultanze di causa e si rivela, per tali aspetti, inammissibile. Al riguardo, è costante l’affermazione di questa Corte secondo cui l’interpretazione degli atti processuali integra un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, censurabile solo per vizio di motivazione (nella specie escluso) o per violazione dei canoni ermeneutici (neanche invocati); parimenti, la selezione e valutazione del materiale istruttorio è riservata al giudice di merito e, salvo i ristretti limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., non è suscettibile di revisione in questa sede di legittimità.
11. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., per avere la sentenza d’appello considerato prive di prova le circostanze allegate nella memoria difensiva di F., quando invece dette circostanze, poiché non contestate da controparte, non necessitavano di prova. In particolare, l’intensificazione delle attività del Centro, cui fa riferimento il terzo contratto, non è mai stata messa in discussione da controparte ed è altresì incontestabile che il F. ha allegato (nelle memorie di primo e secondo grado puntualmente trascritte) tutte le circostanze idonee a dimostrare l’esistenza del nesso causale tra tale intensificazione e l’attuazione dei progetti cui fanno riferimento il quarto e il quinto contratto. Dalla mancata contestazione deriva che nessun onere probatorio faceva carico a F. sia sull’effettiva intensificazione del lavoro e sia sul collegamento causale tra tale intensificazione e l’assunzione del M..
12. Il motivo è infondato atteso che il principio di non contestazione, il cui fondamento si trova nell’art. 416 c.p.c. concerne le sole allegazioni in punto di fatto e non si estende alle circostanze che implicano un’attività di giudizio (Cass. n. 6606 del 2016; Cass. n. 11108/07); esso non può pertanto essere invocato rispetto al dato della “intensificazione della attività” e al nesso causale tra tale fattore e l’assunzione del lavoratore, trattandosi di elemento valutativi, peraltro rientranti nella esclusiva sfera di conoscibilità di parte datoriale, e che rappresentano il contenuto della causale appositiva del termine.
13. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1, d.lgs. 368/2001 e dell’art. 1362 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto non assolto l’onere datoriale di specificazione della causale giustificativa dell’apposizione del termine, benché nel contratto per cui è causa fosse indicata l’intensificazione dell’attività del settore a cui il lavoratore è stato effettivamente assegnato, la ragione di detta intensificazione, costituita da un’ulteriore progetto da realizzare nell’ambito del settore stesso, il profilo professionale attribuito al ricorrente e l’ambito temporale di esecuzione del contratto; si rileva, inoltre, come l’onere di specificazione non imponga un particolare riferimento alla temporaneità della esigenza posta a base dell’assunzione.
14. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1, d.lgs. 368/2001, per avere la sentenza d’appello escluso la legittimità del termine per il fatto che le ragioni poste a fondamento della clausola di durata erano riferibili ad esigenze organizzative e produttive stabili del datore di lavoro e poiché i contratti a termine si erano succeduti tra le parti per un lungo arco temporale, là dove, in base alla giurisprudenza nazionale ed eurounitaria, deve ritenersi consentita l’apposizione del termine anche a fronte di ragioni riferibili all’ordinaria e fisiologica attività di impresa. Nel caso di specie, tali ragioni erano ancorate alla reale esistenza di esigenze temporanee, obiettivamente verificabili, legate alla necessità di attuare, nel periodo in cui sono stati stipulati i contratti per cui è causa, progetti che avevano reso necessario l’utilizzo di corrispondente personale, tenuto conto della cadenza non programmabile delle commesse che il F. riceveva dagli enti pubblici.
15. Con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., per avere la Corte di merito errato nella interpretazione del contratto concluso tra le parti, in cui il progetto indicato ha trovato menzione solo come causa dell’intensificazione del carico di lavoro del settore e non già come esclusivo ambito di svolgimento delle prestazioni affidate al M..
16. I motivi quarto, quinto e sesto possono essere esaminati congiuntamente, per connessione logica, e sono infondati.
17. Questa Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 2279 del 2010; Cass. n. 10033 del 2010; n. 15002 del 2012; n. 208 del 2015; n. 20201 del 2017; n. 20113 del 2017; n. 840 del 2019) ha affermato il seguente principio di diritto che in questa sede deve essere ribadito: l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dare riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto (cfr. Cass. n. 20604 del 2012). In base a tale principio, la temporaneità va riferita alla necessità che dalla clausola giustificatrice dell’apposizione del termine risulti la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa è chiamata a realizzare.
18. Quanto alla specificità della ragione giustificatrice dell’apposizione del termine, nelle stesse pronunce, si è precisato che essa sussiste quando gli elementi indicati nel contratto di lavoro consentono di identificare e di rendere verificabile l’esigenza aziendale che legittima la previsione della clausola accessoria, spettando al giudice di valutare ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dare riscontro alle ragioni specificamente indicate nel contratto ai fini dell’assunzione a termine.
19. Premesso che la formulazione dell’art. 1, d.lgs. n. 368 del 2001, applicabile ratione temporis, non includeva il riferimento alle ragioni “anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro”, introdotto solo col d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, deve tuttavia precisarsi, secondo quanto già statuito in sede di legittimità, che all’introduzione di tale inciso deve attribuirsi una valenza unicamente esplicativa e non innovativa, volta a chiarire come nel sistema introdotto dal d.lgs. n. 368 del 2001, caratterizzato dalla previsione di una clausola generale espressa dalle “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, l’apposizione del termine costituisce, in coerenza col significato letterale dell’art. 1 anche nel testo originario, una ipotesi sì derogatoria ma non legata a presupposti connotati da eccezionalità ed imprevedibilità, come tali estranei alla ordinaria e fisiologica attività d’impresa; richiedendosi invece che le esigenze aziendali sottese alle ragioni, da indicare puntualmente nel contratto di assunzione, siano temporanee o, comunque, tali da poter essere soddisfatte, sulla base di criteri di normalità tecnico – organizzativa, con il ricorso alla clausola di durata, piuttosto che con l’ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato (così Cass. n. 23111 del 2019, in motivazione).
20. Nella fattispecie oggetto di causa, la Corte appello si è attenuta ai principi di diritto appena richiamati e ha accertato che il lavoratore assunto per un determinato progetto è stato destinato anche ad altri progetti e in sostanza “destinato a soddisfare esigenze aziendali permanenti e durature”, il che implica l’assenza di nesso causale tra la ragione giustificativa dell’apposizione del termine indicata nel contratto e l’assunzione del medesimo; tanto basta a far emergere l’infondatezza dei motivi di ricorso, investendo le residue censure l’interpretazione del contratto (sul rilievo che la clausola era da intendere nel senso che il lavoratore era stato assunto non per un determinato progetto ma per far fronte al carico di lavoro indotto dalla destinazione del personale in forza a quel progetto) e la valutazione delle prove, come tali precluse, per le ragioni già esposte, in questa sede di legittimità.
21. Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 6, legge 183/2010 per non avere la Corte di merito considerato la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 32, comma 6, cit., avendo F. stipulato un accordo sindacale per l’avvio di una selezione interna a cui ha partecipato anche il M., circostanze non contestate dalla difesa avversaria e documentate in atti.
22. Il motivo è infondato.
23. Come statuito da questa Corte, “in materia di contratto a tempo determinato, la possibilità della riduzione alla metà del limite massimo dell’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183, in dipendenza della applicabilità al lavoratore di accordi di stabilizzazione, ai sensi dell’art. 32, comma 6 della legge 183 cit., deve essere verificata con riferimento alla data della cessazione del rapporto ed è subordinata all’effettiva e concreta possibilità per il lavoratore di aderire, in tale momento, ad un accordo di stabilizzazione e non, invece, alla semplice stipula, in assoluto, da parte del datore di lavoro, di accordi di stabilizzazione” (Cass. n. 3027 del 2014; v. anche Cass. n. 20923 del 2018; Cass. n. 21621 del 2019 in motivazione).
24. Nel caso in esame il riferimento contenuto nel ricorso ad un “accordo sindacale …del 26.11.2010 …per l’avvio di una selezione interna tra coloro che hanno rapporti di lavoro con il Centro, finalizzata all’assunzione, entro il primo semestre del 2011, di 24 unità, più altre 12 nel 2012”, selezione a cui avrebbe partecipato anche il ricorrente, non integra il requisito di “effettiva e concreta possibilità per il lavoratore di aderire […] ad un accordo di stabilizzazione” con riferimento alla data di cessazione del rapporto, dovendosi quindi escludere la denunciata violazione di legge.
25. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto, non ricorrendo esigenze di rilievo nomofilattico atte a giustificare il rinvio alla pubblica udienza, sollecitato nella memoria del controricorrente.
26. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo e raddoppio del contributo unificato, se dovuto, dichiarandosi esistenti i relativi presupposti processuali (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.