Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2023, n. 10262

Lavoro, Risarcimento, Contestazioni disciplinari, Insussistenza di credito, Errate iscrizioni in bilancio, Svincolo di titoli costituiti in pegno, Raccolta ordini in assenza di formale disposizione della clientela,  Manomissioni della contabilità aziendale non autorizzate,  Infortunio in itinere, Licenziamento per giusta causa,  Violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà del dipendente, Danno risarcibile pari alla perdita subita dall’istituto di credito, Accertamenti ispettivi dalla Banca d’Italia, Responsabilità contrattuale, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. La Corte d’appello di Bari ha respinto l’appello di V.C., confermando la pronuncia di primo grado, di condanna del predetto al pagamento, in favore della (…) (d’ora in avanti anche “Banca”), a titolo risarcitorio, della somma di euro 150.000,00 oltre accessori.

2. La Corte territoriale ha premesso che al C., dipendente della Banca con mansioni di responsabile dell’Area Finanza, erano state mosse, con lettere del 30.4.2002 e del 15.5.2002, varie contestazioni disciplinari (in particolare, di avere omesso la segnalazione, su di un conto di corrispondenza R., di una insussistenza di credito per complessive lire 1.199.902.000; di avere concorso nelle errate iscrizioni in bilancio per lire 10 milioni di un titolo Lehman Brothers; di aver consentito lo svincolo di titoli costituiti in pegno pari a lire 160 milioni, in assenza di delibera consiliare e della necessaria autorizzazione della Segreteria crediti; di aver proceduto alla raccolta ordini pur in assenza di formale disposizione della clientela; di avere manomesso la contabilità aziendale con artificiose e non autorizzate imputazioni contabili a danno del conto economico della Banca, somme poste a credito del conto corrente intestato ai signori G.D. e B.D.S.); che gli addebiti disciplinari avevano trovato riscontro nella prova testimoniale assunta e fondavano una pronuncia risarcitoria per l’importo di euro 150.000,00 (già riconosciuto in sede di sequestro conservativo) in relazione alle “manomissioni della contabilità non autorizzate consistite nel prelievo, a danno del conto economico della Banca, e contestuale accredito sui conti correnti di G. e D.S. per l’importo di euro 150.000,00”; che, escluso uno stato di incapacità naturale del C. e posto che la condizione di malattia non preclude l’effetto immediato del licenziamento per giusta causa, dovevano considerarsi inammissibili le censure di violazione del diritto di difesa nell’esercizio del potere datoriale di recesso, avendo nella specie la Banca fatto valere una responsabilità risarcitoria, per violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà imposti al dipendente, che si colloca su un piano diverso da quella disciplinare; che gli accertamenti ispettivi eseguiti dalla Banca d’Italia, che avevano fondato l’azione di responsabilità nei confronti dei disciolti organi amministrativi e di controllo della Banca, non escludevano affatto il più basso livello gestorio riferibile alla posizione del responsabile dell’Area Finanza, signor C., né intaccavano la concludenza dimostrativa della prova orale, come correttamente valutata dal primo giudice; che l’accordo transattivo si era perfezionato nel contesto della citata azione di responsabilità, in relazione soggettiva alla responsabilità degli organi di amministrazione e controllo della Banca, senza alcuna implicazione sulla responsabilità da inadempimento del personale da essa dipendente; che le prove orali raccolte in primo grado dimostravano, come già statuito dal tribunale, che l’appellante, attraverso artifici contabili, aveva fatto conseguire ai clienti G. e D.S. un non dovuto accredito di importo pari a 150.000,00 euro.

3. Avverso tale sentenza V.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. La (…) ha resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

4. Preliminarmente, si dà atto che la Banca controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancato rispetto del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., poiché la sentenza d’appello è stata pubblicata il 17.10.2017 e notificata al difensore del C., a mezzo pec, il 30.10.2017, ed il ricorso per cassazione avviato alla notifica il 30.12.2017, tardivamente in quanto il termine di 60 giorni scadeva il 29.12.2017.

5. Nella memoria depositata dalla difesa del C., si obietta che la notifica della sentenza eseguita a cura della Banca il 30.10.2017 era da considerare nulla perché relativa ad una sentenza non conforme all’originale, priva della indicazione del numero della sentenza e del numero di registro generale e priva della firma digitale del presidente e del relatore; che di tali vizi la difesa del C. aveva dato tempestiva notizia al difensore di controparte; che la notifica della sentenza era stata quindi rinnovata a mezzo ufficiale giudiziario ed eseguita il 3.11.2017, con conseguente tempestività del ricorso per cassazione.

6. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per mancato rispetto del termine breve è infondata. Come emerge dall’esame degli atti processuali allegati al ricorso per cassazione, la sentenza d’appello, oggetto della prima notifica eseguita dalla Banca nei confronti della controparte, era effettivamente priva dell’attestazione di cancelleria circa l’avvenuta pubblicazione, della data e del conseguente numero di pubblicazione, oltre che della firma digitale del presidente e del relatore, con conseguente inidoneità di detta notifica ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione (v. Cass. n. 2362 del 2019; Cass. n. 28491 del 2018; v. anche Cass. 5771 del 2023).

7. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 2, 3 e 5, legge n. 300/1970, in relazione all’art. 2119 c.c. Si assume che lo stato di malattia del C., derivato da un infortunio in itinere, che ha determinato una condizione di inabilità temporanea assoluta dal 28.3.2002 al 16.9.2002, a partire quindi da epoca anteriore alle contestazioni disciplinari, ha reso illegittimo l’esercizio del potere disciplinare attraverso l’intimazione del licenziamento in tronco il 28.5.2002, per violazione del diritto di difesa, precluso al lavoratore a causa del diniego al posticipo del termine di scadenza per rendere le giustificazioni.

8. Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che (v. pagg. 5 e 6) non si è pronunciata sulla legittimità del licenziamento in quanto non oggetto di causa, ma unicamente sulla responsabilità risarcitoria del dipendente, derivante dalla violazione dell’art. 2104 c.c., ed ha sottolineato come quest’ultima si ponesse su un piano diverso dalla responsabilità disciplinare e fosse come tale svincolata dalla procedura di cui all’art. 7 della legge n. 300/1970. La Corte d’appello ha fatto applicazione dei principi più volte enunciati da questa Corte, ed espressamente richiamati nella decisione impugnata, secondo cui “La violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza da parte di un dipendente comporta, oltre all’applicabilità di sanzioni disciplinari, anche l’insorgere del diritto al risarcimento dei danni e ciò tanto più nel caso in cui il medesimo, quale dirigente di un istituto di credito in rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, del quale è un “alter ego”, occupi una posizione di particolare responsabilità, collocandosi al vertice dell’organizzazione aziendale e svolgendo mansioni tali da improntare la vita dell’azienda; ne consegue che, ove il dirigente consenta alla clientela della banca la formazione di una esposizione debitoria anomala facendo assumere alla banca stessa rischi eccedenti l’ordinata e corrente gestione dei rapporti di mutuo, si realizza una violazione dell’obbligo di diligenza, con la produzione di un danno risarcibile pari alla perdita subita dall’istituto di credito a causa della situazione di insolvenza dei beneficiari del credito” (Cass. n. 394 del 2009; v. anche Cass. 8702 del 2000).

9. Con il secondo motivo di un corso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 2119 c.c., per avere la Corte di merito disatteso le conclusioni contenute nella relazione della Banca d’Italia (nota n. 51712 del 12.3.2003), costituente prova legale. Si censura, in particolare, la sentenza d’appello per avere attribuito al C. una responsabilità autonoma, addirittura superiore rispetto a quella dei vertici aziendali, in netto contrasto con gli esiti della citata relazione che individua tutti gli addebiti contestati al C. come riconducibili esclusivamente agli organi di amministrazione e controllo della Banca.

10. Il motivo è infondato.

11. Come statuito da questa Corte, “gli accertamenti ispettivi condotti dalla Banca d’Italia fanno piena prova ex art. 2700 c.c., fino a querela di falso, unicamente con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale nella relazione ispettiva come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti o conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, nonché con riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti; la fede privilegiata di detti accertamenti non è, per converso, estesa agli apprezzamenti in essi contenuti, né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno notizia da altre persone o a quelli che si assumono veri in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche. Ne consegue che le valutazioni conclusive rese nelle relazioni ispettive costituiscono elementi di convincimento con i quali il giudice deve criticamente confrontarsi, non potendoli recepire aprioristicamente” (Cass. n. 13679 del 2018; v. anche Cass. n. 4006 del 2022). Da tali principi discende che non hanno fede privilegiata gli esiti della indagine ispettiva, nella specie invocati, in quanto frutto di complesse valutazioni e di apprezzamenti.

12. Il motivo di ricorso è, peraltro, privo di decisività in quanto, invocando gli esiti della relazione ispettiva, neanche si confronta con la ratio decidendi della sentenza d’appello che ha dato atto di come il Tribunale avesse valorizzato le prove testimoniali raccolte e che “alcuna specifica critica viene svolta avverso gli esiti della prova orale assunta” (pag. 7 della sentenza appello) e posta a base della decisione.

13. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1304, comma 1, c.c. in relazione all’art. 116 c.p.c., per avere la Corte di merito disatteso gli effetti della transazione (sottoscritta il 25.10.2006 dalla Banca e dagli ex amministratori), idonea invece, in applicazione dell’art. 1304, comma 1, c.c., a determinare l’estinzione della responsabilità contrattuale del C., in quanto direttamente connessa alla responsabilità per i medesimi addebiti degli organi di amministrazione e controllo della Banca ed avente ad oggetto l’unico e intero danno contestato solidalmente a tutti i soggetti coinvolti, tra cui anche il C. , firmatario della transazione quale terzo chiamato in causa per il medesimo debito.

14. Il motivo è inammissibile perché si fonda su un presupposto giuridico, cioè che l’obbligazione dei vertici aziendali e degli organi di controllo della Banca e quella del C. fossero di natura solidale, nella specie escluso dalla sentenza d’appello, senza che alcuna violazione di legge sia dedotta sul punto (cfr. Cass. n. 13877 del 2020; Cass. n. 23418 del 2016, sulla estensione degli effetti della transazione stipulata tra il creditore e uno dei condebitori solidali, in favore degli altri coobbligati).

15. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo e raddoppio del contributo unificato, se dovuto, dichiarandosi esistenti i relativi presupposti processuali (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 200,00 per esborsi e € 7.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

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