Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2023, n. 10265

Lavoro, Contratti a tempo determinato, Apposizione del termine, Illegittimità, Contratto di lavoro di un dipendente di ente pubblico economico sottoposto a tutela o vigilanza della Regione Sicilia, Consorzi di Bonifica della Regione Sicilia, Conversione a tempo indeterminato di rapporti a termine intercorsi con i Consorzi di Bonifica della Regione Sicilia, Impossibilità della conversione, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. A.L. convenne in giudizio davanti al Tribunale di Enna il C. di Enna ed espose di aver lavorato alle sue dipendenze in virtù di una serie di contratti a tempo determinato dal 1997 al 1° dicembre 2011, da ultimo con contratto del 30.5.2011 ai sensi dell’art. 1 comma 2 della L.R. n. 4 del 2006 e ss. modifiche e integrazioni, per la durata complessiva di 1952 giorni pari ad oltre cinque anni di attività continuativa. Chiese perciò che si accertasse e dichiarasse la illegittimità dei termini apposti ai contratti – dal primo del 1997 o quanto meno dall’ultimo del 30.5.2011 – e l’esistenza tra le parti di un contratto a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 5 comma 4 bis del d.lgs. n. 368 del 2001 con condanna del Consorzio alla riassunzione ed al pagamento delle spettanze retributive e previdenziali, condannando altresì al pagamento dell’indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 32 comma 5 della legge n. 183 del 2010.

1.1. Il Tribunale accolse il ricorso, dichiarò illegittimo il termine apposto all’ultimo dei contratti del 30.5.2011 – evidenziando che per quelli precedenti non era stata neppure allegata una prova documentale – e ordinò la riassunzione del lavoratore condannando la società al pagamento dell’indennità ex art. 32 comma 5 della legge n. 183 del 2010 che quantificò in 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita.

2. La Corte di appello di Caltanissetta, in parziale accoglimento dell’appello del Consorzio, pur confermata l’illegittimità del termine apposto al contratto del maggio 2011 ritenne, tuttavia, in adesione a quanto disposto dalla Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 4685 del 2015, che in mancanza di un previo concorso o di una selezione, in violazione dell’art. 9 della l. r. n. 14 del 1958, non potesse essere disposta la conversione del rapporto trattandosi di contratto stipulato ben oltre la vigenza dell’art. 1 bis della l. r. Sicilia n. 12 del 1991 e nel vigore della legge regionale siciliana n. 15 del 2004.

2.1. Quanto alle conseguenze sanzionatorie derivanti dalla illegittima apposizione del termine, la Corte territoriale ritenne che il risarcimento del danno, per essere una misura adeguatamente dissuasiva, ben potesse essere parametrato a quello previsto dall’art. 32 comma 5 della legge n. 183 del 2010. Pertanto, confermò la misura già individuata dal primo giudice che non era stata contestata.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre A.L. che articola due motivi. Il C. Enna ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in vista dell’adunanza camerale del 15 marzo 2022, poi rinviata e fissata per la decisione all’udienza odierna a causa della sopravvenuta indisponibilità del relatore. Anche in vista dell’odierna adunanza le parti hanno depositato memorie illustrative.

 

Considerato che

 

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 49 della legge Regione Sicilia numero 15 del 2004, degli artt. 1, 2 e 5 del d. lgs. n. 368 del 2001 e degli artt. 1 e 36 del d.l.gs. n. 165 del 2001, oltre che dell’art. 1 della legge n. 230 del 1962 e dell’art. 11 delle preleggi, tanto con riferimento all’articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c.

4.1. Sostiene il ricorrente che essendo il Consorzio di Bonifica convenuto un ente pubblico economico non gli si applicherebbe il d. l.gs. n. 165 del 2001. Ai sensi dell’art. 1 della legge regionale n. 12 del 1991, modificato dalla legge regionale n. 18 del 1999, sarebbe venuto meno il principio del concorso previsto per gli altri enti pubblici e dunque alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto conseguirebbe il diritto all’assunzione che non sarebbe condizionato dall’espletamento di procedure selettive. Sostiene che l’art. 49 della legge regionale n. 15 del 2004, con il quale introdotto lo strumento concorsuale, non si applichi agli enti pubblici economici cui la norma non fa cenno.

4.2. Sotto altro aspetto, deduce poi che il divieto di assunzione a tempo determinato, previsto dall’art. 32 della legge regionale siciliana n. 45 del 1995, istitutiva dei consorzi di bonifica, sarebbe derogato dalla normativa regionale successiva in particolare dalla legge regionale n. 76 del 1995 con la quale, all’art.3, i consorzi sono stati espressamente autorizzati a ricorrere alle assunzioni a tempo determinato nel rispetto della legge numero 230 del 1962. Sottolinea che solo i consorzi costituiti tra enti territoriali sono esclusi dall’applicazione della disciplina dettata dal testo unico del pubblico impiego mentre gli enti pubblici economici sono assoggettati alla disciplina di diritto privato. Osserva che, quand’anche al rapporto di lavoro del ricorrente si dovesse ritenere applicabile la disciplina dettata dalla legge regionale n. 15 del 2004 questa, priva di efficacia retroattiva, in ogni caso sarebbe sopravvenuta al consolidarsi della trasformazione del rapporto di lavoro per effetto della legge n. 230 del 1962 e del d. lgs. n. 368 del 2001, ratione temporis vigenti.

4.3. Quanto all’esistenza dei ripetuti rapporti contrattuali a termine il ricorrente deduce che questa risultava attestata dal documento n. 5 del fascicolo di primo grado con il quale il direttore del Consorzio, il 10 febbraio 2012, aveva dato atto dell’attività prestata dal signor L. dal 1997 in poi. Osserva infatti che tale documento non era stato mai contestato e non era stato preso in esame dalla sentenza che era così incorsa nella denunciata violazione dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. essendo stato trascurato l’esame di un fatto decisivo.

5. Il motivo non può essere accolto.

5.1. In disparte i profili di inammissibilità connessi alla trattazione promiscua di censure di violazione di legge e vizio di motivazione (cfr. Cass. 23/10/2018 n. 26874), va rilevato in primo luogo che con riguardo ai contratti di lavoro a termine pregressi rispetto a quello ritenuto illegittimo già dal Tribunale di Enna l’odierno ricorrente ha trascurato di impugnare davanti al giudice di appello l’affermazione del giudice di primo grado, rispetto alla quale era risultato soccombente, che di essi non era stata offerta in giudizio allegazione e prova. Rileva il Collegio che in tale situazione non era sufficiente la mera riproposizione della questione in appello ma era necessario che la parte, parzialmente vittoriosa in primo grado, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., appellasse in via incidentale la statuizione rispetto alla quale era rimasta soccombente (cfr. Cass. n. 9889 del 2016).

5.2. Tanto premesso ritiene il Collegio che la sentenza impugnata abbia dato corretta applicazione alla disciplina che regola il contratto del 30 maggio 2011 del quale è stata confermata la illegittima apposizione del termine. Se infatti nel regime anteriore l’entrata in vigore della legge reg. Sicilia 5 novembre 2004, n. 15 alla accertata nullità del termine apposto al contratto di lavoro di un dipendente di ente pubblico economico sottoposto a tutela o vigilanza della Regione Sicilia, ai sensi della legge reg. Sicilia 19 agosto 1999, n. 18 l’instaurazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato non era condizionata dall’obbligo di espletare un pubblico concorso o procedure selettive, successivamente, con sentenza 9 gennaio 2019, n. 274, cui si fa rinvio anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., alla quale ha dato continuità Cass. n. 22981 del 2020 (e quindi anche Cass. n. 38657 del 2021) si è ritenuto che i principi enunciati nell’arresto delle Sezioni Unite n. 4685 del 2015, posti a base della sentenza impugnata, non trovano applicazione ai Consorzi di Bonifica della Regione Sicilia, pur dovendo riconoscersi ai medesimi la natura di enti pubblici economici.

Tanto in ragione della peculiare disciplina dettata dal legislatore regionale in materia di assunzioni alle dipendenze dei consorzi di bonifica regionale, la quale, per effetto della sua specialità, non può ritenersi derogata dalla disciplina regionale, nei termini ricostruiti ed interpretati dalla anzidetta sentenza delle Sezioni Unite.

5.3. Si è, in particolare, affermato che «la L.R. Sicilia n. 76 del 1995 non deroga al divieto di assunzione a tempo indeterminato dettato dalla L.R. n. 45 del 1995, art. 32 ma si pone in linea di continuità sistematica con quest’ultima, “sicché in caso di violazione dei limiti posti dalla L.R. n. 76 del 1995, artt. 3 e 4, per il ricorso al contratto a tempo determinato da parte dei consorzi di bonifica della Regione Sicilia, regolati mediante rinvio alla disciplina di cui alla L. n. 230 del 1962, non è consentita la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.

5.4. Il principio è parimenti applicabile ai contratti regolati dal d.lgs. nr. 368/2001, in quanto fondato non sulla disciplina di legge del contratto a termine (L. n. 230 del 1962, vigente alla data di pubblicazione della L.R. n. 76 del 1995) ma sul divieto per i Consorzi di Bonifica, imposto dalla legge regionale n. 45 del 1995, art. 32, di procedere a nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato. Si è, infatti, osservato che l’automatica trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato finirebbe per eludere tale divieto.

5.5. È corretta perciò l’affermazione della Corte di merito che ha escluso che sia possibile convertire a tempo indeterminato i rapporti a termine intercorsi con i Consorzi di Bonifica della Regione Sicilia.

6. Il secondo motivo di ricorso con il quale è denunciata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 49 della legge Regione Sicilia n. 15 del 2004 per violazione dell’articolo 117 comma 2 lett. L) della Costituzione e la violazione dell’articolo 117 comma 2 lett. L) della Cost. consistente nell’applicazione della legge n. 15 del 2004 art. 49 con riferimento all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. è inammissibile essendo diretto unicamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale di una norma. La violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata. È riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale, ben potendo la stessa essere sempre proposta o riproposta dall’interessato ed anche prospettata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali ritualmente dedotte nel processo (cfr. Cass. n. 14666 del 2020 ed anche Cass. n. 3708 del 2014 e n. 5927 del 2016).

7. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

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