Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 aprile 2023, n. 10237
Lavoro, Impugnazione del licenziamento senza preavviso, Procedimento disciplinare, Contestazione dell’addebito, Illecito di falsa attestazione della presenza in servizio – Assenze per malattia – Assenze per ferie – Giornate di permesso, Indennità penitenziaria – Ricorso rigettato
Fatti di causa
1. – La Corte d’appello di Napoli ha respinto il gravame proposto da (…) dipendente del (…) avverso la sentenza di primo grado con la quale era stata rigettata l’impugnazione del licenziamento senza preavviso intimatogli ai sensi dell’art.62, comma 9.2 lett. a) del contratto collettivo del comparto ministeri dell’anno 2018, in combinato disposto con l’art. 55 quater del d.lgs. 165 del 2001.
1.1. – Per quel che qui rileva, la Corte territoriale ha ritenuto infondato il motivo di gravame relativo alla genericità della contestazione disciplinare sul rilievo che l’atto è funzionale all’esercizio del diritto di difesa da parte dell’incolpato; nella specie – come evidenziato dal primo giudice – la contestazione aveva rinviato alla nota del 14marzo 2019 e alla lettera riservata datata 11 marzo 2019, con espresso avviso all’incolpato del diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento disciplinare; in tal modo, attraverso il rinvio per relationem a fonti esterne, non era stato in alcun modo limitato l’esercizio del diritto di difesa perché il lavoratore era stato posto in condizione di venire a conoscenza dei dati fattuali pressoché contestualmente alla contestazione, dovendosi escludere che la posizione difensiva dell’incolpato fosse aggravata dal rinvio ad atti ulteriori in quanto il datore di lavoro ne aveva predisposto un sistema di immediata conoscibilità, più specifico e più agile del generale diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione; peraltro, la memoria depositata dal (…) nel corso del procedimento disciplinare conteneva un’articolata e specifica difesa anche riguardo agli atti interni indicati nella contestazione, il che dimostrava l’effettivo esercizio del diritto di difesa.
Infine, la Corte territoriale aveva escluso che la contestazione di addebito fosse generica.
1.2. – Quanto al secondo motivo di gravame, relativo alla nullità del recesso per aver ritenuto che le condotte contestate integrassero l’illecito di falsa attestazione della presenza in servizio, sotto il triplice profilo della carenza di una falsa attestazione, della mancanza di prova della modificazione dei cartellini marcatempo a mezzo di accesso abusivo al sistema gestionale dei badge e dell’assenza dell’elemento intenzionale, la Corte di merito ha proceduto alla descrizione delle condotte attribuite al lavoratore, come segue:
– a far tempo dall’agosto 2016, il (…), era responsabile della gestione delle presenze e dei giustificativi, delle eventuali modificazioni di orari attraverso l’accesso al software badge con password di amministratore;
– dal dicembre 2018, in virtù delle modifiche apportate al software, il (…) con la propria password poteva accedere al sistema solo per inserire i giustificativi delle assenze ed acquisire le timbrature;
– nel medesimo periodo al (…) fu affidato l’incarico di accertare le assenze per malattia del personale al fine di operare la decurtazione dell’indennità penitenziaria;
– tuttavia, gli esiti di questo accertamento non erano stati acquisiti agli atti dell’ufficio perché il (…) aveva comunicato di aver smarrito il relativo carteggio;
– dell’effettuazione dell’accertamento fu incaricata un’altra dipendente, che avrebbe dovuto confrontare le risultanze dei badge con i documenti giustificativi delle assenze;
– in esito a questi riscontri era stato accertato che solo per il (…) risultava alterato nel sistema informatico il titolo delle assenze, come comprovato dal fascicolo personale;
– in particolare, le assenze per malattia risultavano sostituite da assenze per ferie anche per anni precedenti ovvero con giornate di permesso, emergendo alterazioni per trentadue giornate analiticamente indicate nella relazione di servizio della funzionaria preposta ai predetti accertamenti.
A fronte di tali risultanze – secondo la ricostruzione effettuata nella sentenza impugnata – il (…) ha sostenuto che non sarebbe dimostrata la paternità delle alterazioni riscontrate, considerato che il sistema informatico non conservava memoria della password utilizzata per effettuare le modifiche. Tuttavia, ad avviso della Corte d’appello, come già evidenziato dal primo giudice, l’insieme delle circostanze di fatto costituiva un quadro indiziario univoco che non era resistito da una diversa ipotesi ricostruttiva, atteso che il (…) aveva pieno accesso al sistema per l’inserimento dei dati o la modifica dei cartellini.
Rispetto alla precisazione del lavoratore – secondo cui era previsto l’accesso solo dopo l’inserimento della password della direttrice – la Corte ha osservato che il sistema non prevedeva un blocco automatico, di talché, ove non si fosse effettuato il logout, sarebbe stato sempre possibile l’accesso anche ad opera di soggetti non autorizzati, aggiungendo che era lo stesso (…) a coadiuvare la direttrice nelle predette operazioni e che l’alterazione dei dati aveva ingenerato una situazione di vantaggio unicamente in favore dell’incolpato perché gli aveva consentito di lucrare indebitamente l’indennità penitenziaria.
In sintesi, il (…) aveva la possibilità e l’interesse a compiere la modifica e avrebbe dovuto quantomeno ipotizzare una ricostruzione dei fatti parimenti plausibile sotto il profilo logico, o evidenziando l’interesse di altri dipendenti all’alterazione oppure circostanziando una situazione di malanimo dei suoi confronti, tale da giustificare un intervento artatamente diretto a farlo apparire responsabile dell’illecito disciplinare, mentre si era limitato alla mera negazione del fatto.
1.3. – Per questi motivi, la Corte territoriale ha ritenuto corretta la valutazione del primo giudice, che non aveva ammesso la prova testimoniale articolata dal (…) in quanto diretta ad una generica ricostruzione dell’organizzazione dell’ufficio, ritenuta irrilevante ai fini della decisione.
1.4. – Inoltre, secondo la Corte d’appello, la mancanza contestata era sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 55 quater del d.lgs. n. 165 del 2001, posto che, come evidenziato anche dal primo giudice, i cartellini marcatempo nei giorni 17 e 18 giugno 2010 e del 30 gennaio 2015 erano stati alterati per far risultare la presenza in servizio, laddove il (…) era assente per malattia; in ogni caso, anche per le altre ventinove giornate in cui l’illecito era consistito nel mutamento del titolo dell’assenza, si era comunque consumata un’alterazione del sistema di rilevazione per il medesimo fine fraudolento di ottenere dall’amministrazione una retribuzione non dovuta.
E ancora, lo stesso (…) incaricato del riscontro del titolo dell’assenza, aveva omesso di comunicarne gli esiti, rendendo più complesso l’accertamento della propria condotta, in tal modo trovando riscontro oggettivo anche l’elemento intenzionale. Anche l’assoluta inverosimiglianza di un errore nell’annotazione del titolo dell’assenza era evidente, posto che erano stati utilizzati codici che sarebbero stati creati solo in epoca successiva a quella in cui l’assenza stessa si era verificata (in particolare: cod. A32, relativo ai permessi previsti dal c.c.n.l. del 2018, annotato sui cartellini degli anni 2012 e 2014 ovvero il cod. F18 relativo alle ferie dell’anno 2018 annotato sul cartellino di settembre 2014).
1.5. – Da ultimo, in relazione alla censurata mancanza di proporzionalità tra la condotta e la sanzione, per l’illegittimo automatismo adottato dall’amministrazione, che, secondo il lavoratore, aveva omesso di valutare la consistenza oggettiva e la carenza dell’elemento intenzionale, la Corte d’appello ha ritenuto la legittimità del licenziamento irrogato in ragione della gravità del comportamento del lavoratore in sé considerata a prescindere dal danno cagionato al datore di lavoro, atteso che la condotta del (…) sia pure diretta al conseguimento di un vantaggio economicamente poco consistente, era gravemente inadempiente rispetto agli obblighi di buona fede e correttezza perché diretta ad alterare documenti di pertinenza datoriale dei quali il (…) medesimo aveva la disponibilità per ragioni di servizio e in virtù della particolare fiducia riposta nel suo operato dal superiore gerarchico: pertanto, l’amministrazione non poteva nutrire un ragionevole affidamento in ordine al successivo corretto adempimento della prestazione, considerate anche le modalità di alterazione e occultamento, onde la sanzione espulsiva costituiva l’unico provvedimento adottabile al datore di lavoro per sanare la lesione del vincolo fiduciario.
2. – Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione i (…) per tre motivi, mentre i (…) non ha svolto attività difensiva.
3. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in relazione all’art. 55 quater, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165 del 2001, per genericità della contestazione disciplinare, in quanto non sarebbero state riportate le singole condotte di manomissione del sistema di rilevazione delle presenze e dei giorni di assenza ingiustificata; il ricorrente nega altresì che l’infrazione contestata rientri fra quelle di cui all’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001.
1.1. – Il motivo, con il quale il ricorrente ripropone le argomentazioni già disattese dalla Corte d’appello, ad onta delle dedotte violazioni di legge sollecita, in sostanza, una diversa lettura della contestazione rispetto a quella effettuata dal giudice di merito.
In proposito, Cass. Sez. L, 30/05/2018, n. 13667 ha già avuto modo di osservare che «In tema di licenziamento disciplinare, la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità; l’apprezzamento di tale requisito – da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali – è riservato al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata»).
Nel caso di specie i giudici di merito hanno correttamente ritenuto che il tenore della contestazione fosse in concreto idoneo a soddisfare le esigenze difensive del lavoratore che, infatti, aveva svolto un’articolata e specifica difesa, anche riguardo agli atti interni indicati nella contestazione, a conferma dell’effettivo esercizio del diritto di difesa (in tal senso, Cass. Sez. L, 18/04/2018, n. 9590, secondo cui «La previa contestazione dell’addebito, necessaria nei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.; per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione»).
Altrettanto correttamente i giudici di merito hanno ritenuto irrilevante un’eventuale erronea qualificazione giuridica – nella lettera di contestazione di addebito – della condotta.
2. – Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1455 e 2119 cod. civ., nonché dell’art. 62, comma 9, lett. a) e comma 1, lett. a), d) ed e) del c.c.n.l. di riferimento, per essere il licenziamento sproporzionato rispetto all’oggettiva gravità dell’infrazione e dovendosi escludere ogni automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare anche perché la condotta in contestazione non poteva essere sussunta nell’ipotesi delineata dall’art. 55 quater del d.lgs. n. 165 del 2001.
2.1. – Anche il secondo motivo è infondato se non inammissibile, posto che il ricorrente mira a contestare il giudizio di proporzionalità in concreto della sanzione espresso dal giudice di merito, valutazione incensurabile in sede di legittimità («In tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente – è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità.»: Cass. Sez. L, 17/10/2018, n. 26010).
Nella specie, la Corte d’appello, dopo aver analiticamente ricostruito i fatti e il comportamento addebitato, ha svolto un’ampia e motivata valutazione in ordine alla gravità della condotta, anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, pervenendo infine ad un giudizio prognostico negativo circa il futuro adempimento degli obblighi lavorativi da parte del dipendente.
3. – Con il terzo motivo si lamenta ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. nonché degli artt. 115, 116, 177, 187, 188, 189 e 244 cod. proc. civ. in riferimento alla mancata ammissione delle prove testimoniali richieste.
3.1. – Tale motivo è inammissibile perché non autosufficiente, non essendo stati riportati i capitoli di prova al fine di consentire a questa Corte, nel rispetto del principio di specificità della censura, di apprezzare la decisività del mezzo istruttorio (in tal senso, fra molte, già Cass. Sez. 2, 23/04/2010, n. 9748: «La censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare – elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto – non alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire “ex actis” alla Corte di Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione.»; più di recente, Cass. Sez. 6-L, 04/04/2018, n. 8204: «La censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile qualora con essa il ricorrente si duole della valutazione rimessa al giudice del merito, quale è quella di non pertinenza della denunciata mancata ammissione della prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza allegare le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, né adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto e la tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione»).
4. – Il ricorso va dunque respinto e tale esito ha indotto il Collegio a non disporre la rinnovazione della notifica del ricorso al (…) erroneamente eseguita presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di (…) anziché presso l’Avvocatura generale dello Stato: invero, è consolidato l’indirizzo secondo cui «La declaratoria di inammissibilità del ricorso esonera la S.C. dal disporre la rinnovazione della notificazione dello stesso nulla, poiché effettuata presso l’Avvocatura distrettuale anziché presso l’Avvocatura generale dello Stato, in applicazione del principio della ragionevole durata del processo che impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire i comportamenti che ostacolino una sollecita definizione del giudizio, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuale e in formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo.» (Cass. Sez. 1, 11/03/2020, n. 6924).
5. – Non vi è luogo, pertanto, a provvedere sulle spese in difetto di attività difensiva del mentre occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.