Qualora il licenziamento per superamento del comporto sia genericamente motivato, al lavoratore spetta la sola tutela indennitaria c.d. “dimezzata”.
Nota a Cass. ord. 2 marzo 2023, n. 6336
Francesco Belmonte
In tema di licenziamento per superamento del comporto, non assimilabile a quello disciplinare, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive; tuttavia, la motivazione deve essere idonea ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, dando atto del numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo. Qualora la motivazione non sia conforme a tali previsioni, il licenziamento deve ritenersi inefficace, con conseguente applicazione della tutela indennitaria c.d. “dimezzata”.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione (ord. 2 marzo 2023, n. 6336) in relazione ad una fattispecie concernente un licenziamento per superamento del numero massimo di assenze consentite dal ccnl nel caso di malattia del lavoratore, nella cui comunicazione il datore di lavoro si limitava ad indicare il termine finale del comporto e il numero minimo complessivo dei giorni d’assenza.
Nei precedenti gradi di giudizio, i giudici di merito (App. Roma n. 2490/2019) hanno qualificato il licenziamento come inefficace, per violazione del requisito di motivazione di cui all’art. 2, co. 2, L. n. 604/66, ed applicato la tutela indennitaria c.d. “dimezzata”, di cui all’art. 18, co. 6, Stat. Lav.
Successivamente, il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi della circostanza che la Corte territoriale, pur avendo riscontrato l’invalidità del licenziamento, ha applicato la tutela meramente indennitaria prevista per le violazioni formali, in luogo della tutela reintegratoria.
Per il ricorrente, la speciale previsione di cui all’art. 18, co. 7, Stat. Lav., che prevede la reintegra nel posto di lavoro (tutela reale c.d. “debole”) in caso di licenziamento intimato in violazione dell’art. 2110, co. 2, c.c., non distingue tra vizi formali e sostanziali del recesso e deve ritenersi “speciale” e, quindi, prevalere rispetto alle disposizioni contenute nel co. 6 del medesimo articolo (tutela indennitaria c.d. “dimezzata”).
La Cassazione, nel rigettare il ricorso, si allinea alle statuizioni dei giudici di merito che hanno correttamente escluso l’applicabilità della tutela reintegratoria al caso di specie.
In particolare, la Suprema Corte esclude la prospettata violazione della disciplina protettiva di cui all’art. 2110, co. 2, c.c. – che comporta l’applicazione della tutela reale “debole”, ex art. 18, co. 7, Stat. lav. – in quanto nel corso del giudizio era stato accertato un effettivo superamento del periodo di comporto da parte del dipendente.