Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 maggio 2023, n. 12358
Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Doppio termine decadenziale impugnativa di licenziamento, Tentativo di conciliazione, Ambito applicativo art. 6 Legge n. 604/1966, Rigetto
Ritenuto che
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 234/2019, ha confermato la pronuncia di prime cure emessa dal Tribunale della stessa sede che aveva accolto l’eccezione di improcedibilità, per intervenuta decadenza dall’impugnazione del licenziamento, così respingendo il ricorso presentato da A.G., dipendente della società P.S. srl, diretto ad accertare l’illegittimità del licenziamento per giusta causa, intimato in data 23.10.2017.
2. I giudici di seconde cure hanno evidenziato che: a) il licenziamento era stato intimato il 23.10.2017; b) il lavoratore aveva impugnato il recesso con lettera del 25.10.2017; c) con comunicazione del 2.11.2017 era stato chiesto il tentativo di conciliazione e la società, entro il termine di venti giorni dal ricevimento della richiesta (entro cioè il 22.11.2017) non aveva depositato alcuna memoria; d) il ricorso giurisdizionale era stato depositato il 15.3.2018 e, quindi, tardivamente, oltre il termine di sessanta giorni decorrenti dal 22.11.2017, come appunto previsto dall’art. 6 della legge n. 604/1966.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per Cassazione A.G. affidato ha tre motivi cui ha resistito con controricorso l’Hotel P.S. S.r.l.
4. Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la errata applicazione della legge processuale, con riferimento alla pronuncia sull’applicazione della normativa di cui all’art. 410 cpc e art. 6 legge n. 604/66 nonché ex art. 360 n. 2 cpc. Il G. deduce che il tentativo di conciliazione avanzato era caratterizzato solo da finalità di ricerca di definizione stragiudiziale e non aveva la valenza attribuita dall’art. 6 della legge n. 604/1966, tanto è che era stato inoltrato su carta intestata dello stesso avvocato che aveva precedentemente impugnato il licenziamento, per cui dallo stesso non poteva decorrere il differente termine di sessanta giorni in caso di rifiuto, con conseguente applicabilità del termine di centottanta giorni dalla impugnativa stragiudiziale.
3. Con il secondo motivo si censura il vizio di motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo dell’omessa pronuncia sulla principale questione posta all’esame della Corte di appello, ex art. 360 n. 5 cpc, costituita dalla valutazione sulla applicazione del termine di giorni sessanta anche alle conciliazioni irrituali ovvero a quelle forme di conciliazioni atipiche aventi solo finalità transattive e non anche alle impugnative di licenziamento.
4. Con il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, richiamato dall’art. 360 n. 3 cpc, perché non era stata dichiarata la nullità della sanzione disciplinare in quanto fondata su due addebiti formulati con una contestazione non unica e determinata e di cui non era stata fornita la prova che incombeva sul datore di lavoro.
5. Il primo ed il secondo motivo, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
6. Secondo l’ormai costante orientamento di questa Corte, in tema di impugnativa di licenziamento individuale, il termine decadenziale previsto dall’art. 6, comma 2, della l. 604/1966, come modificato dall’art. 32, comma 1, della l. 183/2010, decorre dal rifiuto o dal mancato raggiungimento dell’accordo necessario all’espletamento della conciliazione o dell’arbitrato, di talché il lavoratore soggiace ad un ulteriore incombente in caso di esito negativo del componimento stragiudiziale, vale a dire il deposito del ricorso presso giudice a pena di decadenza entro 60 giorni (Cass. n. 17253/2016; Cass. n. 27948/2018).
7. La riforma apportata all’art. 6 della l. 604/1966, ha costruito una nuova e significativa fattispecie decadenziale, sorretta da un susseguirsi di oneri impugnativi strutturalmente concatenati tra loro e da adempiere entro tempi ristretti.
8. Il soggetto oggetto di licenziamento che propone tentativo di conciliazione, infatti, deve sottostare ad un doppio termine decadenziale, con tre termini da osservare a pena di inefficacia dell’impugnativa di licenziamento.
9. In particolare, il lavoratore entro 60 giorni dal licenziamento deve comunicare l’impugnativa del licenziamento; entro il successivo termine di 180 giorni deve comunicare al datore di lavoro la richiesta del tentativo di conciliazione o di arbitrato; entro l’ulteriore termine di 60 giorni dall’eventuale rifiuto della conciliazione o dell’arbitrato ovvero dal mancato raggiungimento dell’accordo deve depositare il ricorso al giudice (Cass. n. 22824/2015; Cass. n. 17253/2016; Cass. n. 14108/2018).
10. In questi termini, come precisato anche dalla Corte d’Appello, nel caso in cui non venga svolta alcuna procedura conciliativa, decorre un nuovo ed autonomo termine di decadenza, non più sottoposto al regime pregresso ex art. 410 c.p.c., ma a quello previsto dall’ultima parte del comma 2 dell’art. 6 più volte citato che lo fissa, inequivocabilmente, in un lasso temporale di 60 giorni, in ragione di un’esigenza acceleratoria dei tempi per ‘impugnativa dei licenziamenti. Tale ulteriore termine di 60 giorni assume un evidente connotato di specialità che lo rende insensibile alla disciplina generale dei termini di decadenza prevista dal comma 2 dell’art. 410 c.p.c., anche per l’incompatibilità strutturale con detta ultima disposizione (Cass. n. 27948/2018; Cass. n. 14108/2018).
11. In punto di diritto la gravata sentenza è, pertanto, corretta.
12. Quanto, invece, al tema della natura della richiesta di tentativo di conciliazione, chiesto dal G. il 2.11.2017 e avente, secondo il suo assunto, unicamente la finalità di ricerca di una definizione stragiudiziale della controversia e, quindi, inidoneo a fare decorrere il termine di sessanta giorni per la proposizione della impugnazione giudiziale, deve sottolinearsi che la questione, oltre a difettare di specificità perché non si riporta il testo completo della richiesta di conciliazione, onde poterne valutare correttamente il contenuto, e perché non è indicato con precisione il “dove”, il “come” ed il “quando” essa sia stata sottoposta ai giudici del merito negli esatti termini con i quali è stata prospettata in questa sede, appare in ogni caso implicitamente respinta dalla Corte territoriale che ha ritenuto, invece, il tentativo formulato, temporalmente e logicamente inserito nella fattispecie procedimentale di cui all’art. 6 legge n. 604/1966, attribuendo ad esso, pertanto, la valenza di istanza idonea a fare decorrere i successivi sessanta giorni previsti a pena di decadenza per la proposizione della impugnativa giudiziale.
13. Le modalità cronologiche e giuridiche, in assenza di altre specifiche annotazioni, inducevano, pertanto, a ritenere, come correttamente dalla Corte di merito, che la istanza andava collocata nell’ambito applicativo del citato art. 6 legge n. 604/1966.
14. La trattazione del terzo motivo resta assorbita dal rigetto dei primi due e, comunque, è inammissibile perché concerne un punto su cui la gravata sentenza non si è pronunciata (Cass. n. 2047/2017).
15. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
16. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
17. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.