La transazione con cui le parti risolvono il contratto di lavoro, con rinuncia da parte del dipendente all’indennità sostitutiva del preavviso, non pregiudica il diritto dell’INPS di chiedere il versamento della relativa contribuzione.
Nota a Cass. (ord.) 29 marzo 2023, n. 8913
Sonia Gioia
In materia di obblighi contributivi previdenziali, l’accordo transattivo con cui le parti risolvono il contratto di lavoro, con rinuncia del prestatore al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso ed erogazione, da parte dell’azienda, di una somma a titolo di incentivo all’esodo, spiega efficacia nei confronti del rapporto di lavoro ma non su quello previdenziale, con la conseguenza che, rimanendo l’obbligazione contributiva insensibile agli effetti della transazione, l’INPS “ha sempre la facoltà di dimostrare quali somme sarebbero dovute in base al rapporto di lavoro, e dunque soggette a contribuzione”, sebbene poi non siano state erogate per accordo transattivo tra le parti.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (ord., 29 marzo 2023, n. 8913, difforme da App. Bologna n. 822/2018), in relazione ad una fattispecie concernente il pagamento dei contributi relativi alle indennità sostitutive del preavviso non erogate ai lavoratori con cui era stato raggiunto un accordo, in sede sindacale, in forza del quale gli stessi rinunciavano a tali indennità e ricevevano somme a titolo di incentivo all’esodo.
In particolare, la società datrice, nel proporre opposizione al verbale di accertamento emesso dall’INPS, sosteneva che non essendo stata erogata alcuna somma a titolo di indennità sostitutiva, non poteva sorgere alcun obbligo contributivo mentre, secondo l’ente previdenziale, gli emolumenti retributivi corrispondenti alle indennità sostitutive, dovute per legge (ex art. 2118 c.c.), sebbene non corrisposte per accordo transattivo, avrebbero comunque dovuto conteggiarsi entro il distinto rapporto previdenziale, con conseguente obbligo contributivo, dal momento che il contratto di transazione ha efficacia nei confronti del solo rapporto di lavoro.
Al riguardo, la Cassazione ha precisato che, nei rapporti previdenziali, vige la regola del c.d. minimale contributivo, in base al quale la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può risultare inferiore “all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative su base nazionale”, ai sensi dell’art. 1, D.L. 9 ottobre 1989, n. 338 (convertito, con mod., in L. 7 dicembre 1989, n. 389).
La norma fa riferimento alla retribuzione dovuta per legge e non a quella effettivamente corrisposta dall’imprenditore, sicché sono “irrilevanti gli inadempimenti contrattuali del datore verso il lavoratore che implichino omesso pagamento o pagamento della retribuzione in misura inferiore a quello dovuto per legge, come sono irrilevanti gli accordi tra datore e lavoratore in base ai quali si stabilisca la non debenza della retribuzione”, quali, ad esempio, gli accordi per la riduzione dell’orario di lavoro o di sospensione temporanea della prestazione e conseguente omessa remunerazione (Cass. n. 15120/2019, annotata in q. sito da K. PUNTILLO; Cass. n. 13650/19).
Ciò, dal momento che il rapporto assicurativo e l’obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l’instaurarsi del contratto di impiego ma sono del tutto autonomi e distinti da quest’ultimo, nel senso che l’obbligazione contributiva – che ha natura di obbligazione pubblica nascente ex lege e che fa capo ad un soggetto terzo al rapporto di lavoro – sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d’opera siano stati in tutto o in parte soddisfatti o che il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti.
Pertanto, la transazione con cui le parti risolvono il contratto di lavoro, con conseguente rinuncia del dipendente al diritto all’indennità sostitutiva del preavviso e con corresponsione, da parte dell’azienda, di una somma a titolo di incentivo all’esodo, “è inopponbile all’Inps, inerendo al rapporto di lavoro e non al distinto rapporto previdenziale” (Cass. n. 8662/2019).
Le somme erogate in adempimento del negozio transattivo trovano titolo in esso e non nel rapporto di impiego, con la conseguenza che “le stesse per regola non sono soggette alla regola del minimale contributivo”, ma l’INPS ha sempre la facoltà di azionare il credito previdenziale provando – con qualsiasi mezzo ed anche in via presuntiva, traendo elementi dallo stesso contratto di transazione e dal contesto dei fatti in cui si è inserito – quali siano le somme assoggettabili a contribuzione spettanti al lavoratore in base al contratto di impiego (ex art. 12, L. 30 aprile 1969, n. 153), indipendentemente dal fatto che non siano poi state effettivamente erogate per accordo transattivo (Cass. n. 41021/21; Cass. n. 17495/09).
Nel caso di specie, la Corte, in accoglimento del ricorso dell’Istituto, ha cassato la pronuncia di merito, con rinvio ad altro giudice in diversa composizione, per aver fatto errata applicazione dei principi soprarichiamati, rilevando che la rinuncia del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso, prevista nell’accordo transattivo, è improduttiva di effetti nei riguardi del rapporto previdenziale e che l’INPS legittimamente domandava, in base alla regola del minimale contributivo, somme che sarebbero state dovute in forza di legge e aventi titolo non nella transazione ma nel rapporto di lavoro, a prescindere da quanto poi abbiano stabilito le parti in sede transattiva.
Pertanto, il Collegio avrebbe dovuto verificare se, considerata la volontà datoriale di recedere dal contratto di impiego, sarebbe spettata l’indennità sostitutiva del preavviso ai lavoratori, indipendentemente poi dalla circostanza che non sia stata corrisposta in quanto gli stessi abbiano accettato somme a titolo diverso o di incentivo all’esodo.