Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 maggio 2023, n. 12994

Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Infortunio sul luogo di lavoro, Ipotesi di truffa, Obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, Onere della prova a carico del datore di lavoro durante assenza per malattia del dipendente, Inammissibilità

 

Rilevato che

 

1. con sentenza 26 aprile 2019, la Corte d’appello di Catania ha rigettato l’impugnazione di S.P. del licenziamento per giusta causa intimatogli l’1 ottobre 2018 da S.M. s.r.l., sulla previa contestazione di simulazione dell’infortunio occorsogli sul luogo di lavoro (che gli aveva cagionato un trauma alla caviglia sinistra) o comunque di aggravamento dello stato di malattia (dal 5 gennaio al 5 giugno 2017, dall’8 agosto al 15 settembre 2017 e ancora dal 20 febbraio al 19 gennaio 2018) ed ostacolatone la guarigione, per le condotte contrarie ai doveri di diligenza, fedeltà, correttezza e buona fede – specificamente addebitate per il periodo dal 7 agosto al 5 settembre 2018 – con sottrazione illegittima alla prestazione lavorativa ed abuso del beneficio concesso dalla legge, integrante ipotesi di truffa in danno dell’impresa datrice e dell’Inail: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece accolto l’impugnazione del lavoratore;

2. al contrario del Tribunale, che aveva qualificato illegittimo il licenziamento intimato dalla società condannandola alla reintegrazione del lavoratore per insussistenza dei fatti contestatigli in assenza di prescrizioni mediche che lo limitassero nei movimenti o negli spostamenti o nelle attività quotidiane ma soltanto di un periodo di “riposo e cure”, la Corte territoriale ha altrimenti ritenuto;

3. essa ha, infatti, premesso i principi di diritto di inesistenza di un obbligo del lavoratore in stato di malattia di astenersi da attività, anche lavorative, con esso compatibili, purché con le cautele idonee a non ritardarne la guarigione, nel rispetto dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà: diversamente, giustificandosi il recesso datoriale, come pure nell’ipotesi in cui dall’attività esterna prestata possa essere presunta l’inesistenza della malattia (dimostrandone la fraudolenta simulazione), o come nel caso in cui la medesima attività – con valutazione ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte – possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro, con irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia; spettando al lavoratore l’onere della prova della suddetta compatibilità, non pregiudicante, né ritardante la guarigione;

4. nel merito, la Corte catanese ha accertato, sulla base di investigazioni private datoriali nell’arco temporale contestato, come il lavoratore, nel periodo di malattia suindicato (nel quale peraltro si era sottoposto a numerose visite mediche e ad un ciclo di tre sedute di infiltrazioni di acido ialuronico, di cui le due ultime del 6 agosto 2018 e del 5 settembre 2018 nel periodo di contestazione disciplinare: dal 7 agosto al 5 settembre 2018) abbia tenuto comportamenti (di protratta stazione eretta; di guida di auto, scooter o moto; di scarico e carico di scatoloni; di spazzamento del marciapiedi antistante l’esercizio commerciale intestato ai familiari;

di ripetuti spostamenti a piedi; di montaggio con altri di un portabagagli sulla propria vettura; di carico e scarico di materiale edile), neppure specificamente contestati quanto piuttosto giustificati siccome compatibili con lo stato di malattia, integranti una condotta incauta. per inosservanza delle prescrizioni mediche di “riposo e cure”. E così ostacolato e comunque ritardato la guarigione, in violazione dei doveri di correttezza, diligenza e buona fede, integrante giusta causa di recesso datoriale;

5. con atto notificato il 22 giugno 2022, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui la società ha resistito con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.

 

Considerato che

 

1. il ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 2697 c.c., 5 legge n. 604/1966, 2119 c.c., 18 legge n. 300/1970, per inversione dell’onere probatorio, spettante al datore di lavoro in funzione del recesso per giusta causa intimato, anziché al lavoratore, sul presupposto del non avere egli “svolto alcuna attività lavorativa diversa da quelle che sono le normali attitudini di vita quotidiana/familiare né abbia svolto attività ludiche ricreative” (primo motivo); violazione degli artt. 2119 c.c., 115 c.p.c. (quest’ultimo anche come error in procedendo), 65 r.d. 12/1941, 3 Cost., per travisamento di prove documentali erroneamente percepite, da cui la Corte territoriale avrebbe ricavato la prova, in assenza di specifiche certificazioni mediche al riguardo, delle seguenti affermazioni, analizzate in una diffusa articolazione in cinque punti: a) “persistendo i sintomi di dolore e mancata funzionalità”; b) “tanto è vero che le sue condizioni non sono migliorate neppure dopo due sedute di infiltrazioni di acido ialuronico ”; c) “non veniva registrato alcun miglioramento della caviglia lesionata”; d) “accusasse pesanti dolori articolari”; e) “decisione con giudizio ex ante fondato sui precedenti quattro punti che, essendo inesistenti quanto alla prova, la decisione avrebbe dovuto riguardare ex post” (secondo motivo); violazione degli artt. 2119 c.c., 18, quarto comma legge n. 300/1970 (come novellato dalla legge n. 92/2012), 10 CCNL dipendenti industrie metalmeccaniche e installazione di impianti, per inesistenza di una condotta del lavoratore negligente o imprudente, tanto meno giustificante il licenziamento per giusta causa intimato, avendo egli “regolarmente seguito tutte le prescrizioni impostegli e rispettato tutto l’iter clinico e terapeutico” (terzo motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

3. è noto che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configuri violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la stessa, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (Cass. 5 agosto 2014, n. 17625; Cass. 27 aprile 2017, n. 10416; Cass. 19 ottobre 2018, n. 26496);

3.1. è parimenti risaputo che, in materia di licenziamento disciplinare intimato per lo svolgimento di altra attività, lavorativa o extralavorativa, durante l’assenza per malattia del dipendente, gravi sul datore di lavoro la prova che essa sia simulata ovvero che la predetta attività sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del dipendente, atteso che l’art. 5 legge n. 604/1966 pone a carico del datore l’onere della prova di tutti gli elementi di fatto integranti la fattispecie che giustifica il licenziamento e, dunque, di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, idonee a connotare l’illecito disciplinare contestato (da ultimo, con ampia ed approfondita argomentazione Cass. 26 aprile 2022, n. 13063, in motivazione sub p.ti da 4.1. a 4.5.; in particolare sottolineato, sub p.to 4.2., il “peculiare rilievo” del“l’eventuale violazione del dovere di osservare tutte le cautele, comprese quelle terapeutiche e di riposo prescritte dal medico, atte a non pregiudicare il recupero delle energie lavorative temporaneamente minate dall’infermità, affinché vengano ristabilite le condizioni di salute idonee per adempiere la prestazione principale cui si è obbligati, sia che si intenda tale dovere quale riflesso preparatorio e strumentale dello specifico obbligo di diligenza, sia che lo si collochi nell’ambito dei più generali doveri di protezione scaturenti dalle clausole di correttezza e buona fede in executivis, evitando comportamenti che mettano in pericolo l’adempimento dell’obbligazione principale del lavoratore per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia”; a ricomposizione di un quadro giurisprudenziale di legittimità di posizioni diverse sul criterio di riparto degli oneri probatori in ipotesi di licenziamento intimato in vicende siffatte: sub p.ti 4.4. e 4.5.);

3.2. nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato i suenunciati principi di diritto (al p.to 4 di pgg. 5 e 6 della sentenza), poi procedendo ad un accertamento in fatto, riservato al giudice di merito e insindacabile, siccome congruamente argomentato sulla base delle risultanze istruttorie (al p.to 5 di pgg. da 6 a 8 della sentenza), in sede di legittimità (Cass. 19 settembre 2017, n. 21667, in motivazione sub p.to 7.3.; Cass. 26 aprile 2022, n. 13063, in motivazione sub p.to 4.3.);

4. non si configurano pertanto le violazioni di legge denunciate, non implicando le censure un problema interpretativo delle stesse, né di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicano la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851);

4.1. esse si risolvono piuttosto nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;

5. in particolare, non ricorrono: a) la violazione dell’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395); b) la violazione dell’art. 115 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016);

5.1. tanto meno esso si configura sotto il profilo di travisamento della prova (al di là della sua qualificazione alla stregua di erronea percezione della ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, denunciabile come error in procedendo per violazione dell’art. 115 c.p.c.: Cass. 12 aprile 20107, n. 9356; Cass. 21 dicembre 2022, n. 37382; ovvero di ravvisata non più attuale deducibilità in sede di legittimità qualora il travisamento della prova – che presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito – sia (stato) ritenuto valutabile dalla Corte di Cassazione qualora dia luogo ad un vizio logico di insufficienza della motivazione, a seguito della novellazione del testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. , che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione: Cass. 3 novembre 2020, n. 24395), posto che l’articolata censura del secondo motivo si risolve in una contestazione del ragionamento probatorio della Corte d’appello:

sull’indiscusso presupposto di un trauma contusivo distorsivo alla caviglia sinistra (attestato dal verbale di pronto soccorso e dalla prima certificazione Inail del 6 gennaio 2017: al secondo e terzo alinea del primo capoverso di pg. 6 della sentenza), essa ha fondato il proprio convincimento esclusivamente sui certificati medici, incontestatamente prescrittivi di un periodo di riposo (al primo e penultimo capoverso di pg. 7 della sentenza) e di riposo cure (al primo capoverso di pg. 8 della sentenza), posti in critico e argomentato collegamento con le sedute di infiltrazione di acido ialuronico e con le condotte del lavoratore, oggetto di addebito disciplinare, in applicazione di un criterio di ragionevolezza (“è ragionevole ritenere che … ”) tale da giustificarne “con un elevatissimo grado di probabilità prossimo alla certezza” l’ostacolo e il ritardo di guarigione (ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza);

6. non si configura, pertanto, alcuna censura di errore di diritto nella negazione della ricorrenza di una giusta causa di licenziamento, in merito all’operazione di sussunzione della Corte territoriale della concreta fattispecie nel parametro generale della clausola elastica integrante una lesione irrimediabile del vincolo di fiducia (solo sindacabile in sede di legittimità: Cass. 10 luglio 2018, n. 18170; Cass. 2 maggio 2022, n. 13774), a base del rapporto di lavoro tra le parti secondo l’accertamento compiuto dalla Corte di merito, quanto piuttosto una contestazione sua della valutazione in fatto;

7. le censure si risolvono pertanto, nella sostanza, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), per esclusiva spettanza al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione (come appunto nel caso di specie);

9. il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 maggio 2023, n. 12994
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