Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 maggio 2023, n. 11564

Lavoro, Licenziamento, Soppressione di unità operativa, Giusta causa di recesso per assenze ingiustificate dal lavoro, Contratto interinale, Ordine di reintegro, Reinserimento nell’attività lavorativa nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, Sostituzione del lavoratore licenziato con altro dipendente, Trasferimento, Sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, Accoglimento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da L.M., confermando la sentenza di primo grado che, al pari della ordinanza emessa all’esito della fase sommaria, aveva rigettato la domanda di nullità e illegittimità del licenziamento intimatole il 16.11.2016 da I. spa.

2. La Corte territoriale ha premesso che L.M. aveva lavorato per I. spa dal 13.3.2000 fino al 28.1.2003, presso la sede di Roma, in forza di contratti interinali e con mansioni di addetta alla segreteria (V livello c.c.n.l. di settore); che con sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2604/2014, emessa in separato procedimento e confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 6608/2016, era stato dichiarato costituito tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 13.3.2000, con diritto della lavoratrice “al ripristino nel posto di lavoro precedentemente occupato con inquadramento nella qualifica del CCNL dipendenti Ferrovie dello Stato corrispondente a quella ultima attribuita” e condanna della società a corrispondere l’indennità risarcitoria di cui all’art. 32, legge n. 183 del 2010; che con nota del 22.5.2004 la società aveva provvisoriamente assegnato la dipendente presso la sede di Roma; che con successivo provvedimento, adottato dopo un periodo di assenza per congedo e aspettativa della dipendente durato fino al 31.5.2016, I. spa aveva trasferito la predetta presso la sede di Palermo, a decorrere dall’1.6.2016, per lo svolgimento di attività di “Tdc PM Nodi di Catania e Palermo” (gestione documentazione tecnica).

3. La sentenza impugnata ha giudicato legittimo il trasferimento della lavoratrice da Roma a Palermo osservando che: la dipendente non aveva contestato in modo specifico l’avvenuta soppressione della “Unità operativa gestione contratto TAV” a cui la stessa era stata addetta presso la sede di Roma; la società aveva dimostrato l’impossibilità di destinare la dipendente presso l’originaria sede di lavoro: le nuove assunzioni in tale sede avevano riguardato mansioni diverse da quelle svolte dalla M., mentre i dipendenti con le stesse mansioni avevano maggiore anzianità; la società aveva anche dimostrato le esigenze tecnico produttive esistenti presso la sede di Palermo atte a giustificare il trasferimento.

4. Anche il licenziamento, intimato a fronte della prolungata e ingiustificata assenza dal lavoro della dipendente (dal 10 al 21 ottobre), doveva, secondo i giudici del reclamo, considerarsi legittimo, tenuto conto peraltro che l’art. 63 del c.c.n.l. punisce con la sanzione espulsiva le assenze ingiustificate di sei giorni lavorativi. Non poteva dirsi integrata la violazione dell’art. 45 del c.c.n.l., che per i lavoratori di età superiore ai 55 anni di età richiede il consenso al trasferimento, perché la datrice di lavoro aveva dimostrato come il trasferimento costituisse l’unica possibilità di evitare il licenziamento. L’accertata esistenza di una giusta causa di recesso per assenze ingiustificate dal lavoro portava poi ad escludere la natura discriminatoria o ritorsiva del licenziamento. La condotta contestata, oltre che espressamente sanzionata dall’art. 68 del c.c.n.l., integrava una violazione dei fondamentali doveri di fedeltà e lealtà del lavoratore rispetto a cui non era indispensabile l’affissione del codice disciplinare.

5. Avverso tale sentenza L.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a undici motivi. I. spa ha resistito con controricorso.

6. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

7. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 384 c.p.c.; nullità della sentenza per motivazione apparente (art. 360 n. 4 c.p.c.); violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. con riferimento al vincolo scaturente dalla sanzione ex art. 32 della legge 183/2010, come interpretato dalla Corte costituzionale (art. 360 n. 3 c.p.c.); nullità della sentenza per motivazione omessa su uno o più fatti decisivi (art. 360 n. 5 c.p.c.).

8. Si assume che la Corte d’appello abbia violato il giudicato di cui alla sentenza della Corte d’appello n. 2604/2014, che aveva disposto la riassegnazione della lavoratrice “nel posto in precedenza occupato”, cioè “l’Unita organizzativa amministrazione e controllo di gestione” presso cui la M. aveva lavorato come “addetta di segreteria”, con mansioni di segretario amministrativo di quinto livello; che, risultando esistente la “U.O. amministrazione e controllo di gestione”, la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere legittimo il reinserimento solo “temporaneo” della lavoratrice presso la sede di Roma, in contrasto con quanto statuito dalla sentenza passata in giudicato, non avendo la società dato prova della impossibilità di reinserire la lavoratrice nel posto originario.

9. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 45 c.c.n.l. (art. 360 n. 3 c.p.c.);

violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omesso esame del primo motivo di reclamo (art. 360 n. 3 c.p.c.); omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia in ordine alla unità lavorativa da porre a base delle verifiche ex art. 2103 c.c. (art. 360 n. 5 c.p.c.); violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. in relazione al potere datoriale ex art. 2094 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.).

10. Si censura la sentenza per mancato esame del primo motivo di reclamo, con cui si denunciava il vizio di motivazione della sentenza del tribunale in ordine alle mansioni da attribuire alla lavoratrice; si afferma che la Corte d’appello ha perseverato nell’errore non avendo considerato il giudicato formatosi sulla mansione e sulla Unità a cui la lavoratrice era stata in precedenza addetta o alla quale era stata da ultimo (U.O. Espropri) realmente assegnata. Si ribadisce che la società non ha dato corretta esecuzione alla sentenza irrevocabile n. 2604/2014, non avendo dato prova delle esigenze tecniche, produttive e organizzative che impedivano il reinserimento presso la sede di Roma e giustificavano il trasferimento presso la sede di Palermo, e neanche del consenso della lavoratrice richiesto dall’art. 45 c.c.n.l.

11. Con il terzo motivo si imputa alla sentenza la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c., dell’art. 1, legge n. 1369 del 1960, dell’art. 10, legge n. 196 del 1997, dell’art. 1418 c.c. in ordine alla nullità del contratto interinale (art. 360 n. 3 c.p.c.).

12. Si afferma che la sentenza 2604/2014 ha dichiarato la nullità del primo contratto interinale, con la conseguenza che la disposta prosecuzione del rapporto di lavoro dovesse intendersi riferita alla sede e alle mansioni proprie di quel contratto, nel caso di specie di addetta di segreteria amministrativa. Si critica la pretesa della società di ritenere il giudicato riferito al secondo contratto interinale, al fine di poter considerare la “U.O. Contratto TAV” quale settore di assegnazione della M., non più esistente perché soppressa alla data di riassunzione della stessa. Si deduce che la Corte d’appello, aderendo alla prospettazione della società, non ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di giudicato e non ha colto le implicazioni derivanti dalla dichiarata nullità del primo contratto interinale.

13. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per inversione dell’onere probatorio (art. 360 n. 3 c.p.c.);

omessa motivazione e mancato esame di un fatto decisivo sulla Unità Organizzativa in cui era originariamente incardinata la lavoratrice presso I. spa (art. 360 n. 5 c.p.c.).

14. Si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha evidenziato come non fosse stata “contestata in modo specifico da parte della M. l’avvenuta soppressione della unità operativa gestione contratto Tav alla quale la reclamante era stata originariamente addetta in Roma”, denunciando la violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte addossato alla dipendente l’onere di provare la soppressione del posto di lavoro decisa da parte datoriale, anziché onerare quest’ultima di dimostrare, ai sensi dell’art. 2103 c.c., le esigenze tecniche, organizzative e produttive esistenti presso la sede di appartenenza della lavoratrice e presso la sede di destinazione.

15. Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. con riferimento all’art. 1460 c.c., violazione degli artt. 45 e 46 e dell’art. 56, punto k del c.c.n.l.; omessa motivazione sui presupposti dell’art. 2103 c.c., violazione degli artt. 112, 132, comma 2, n. 4 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.).

16. Si argomenta che la Corte d’appello, a fronte della illegittimità del trasferimento, disposto in violazione dell’art. 2103 c.c. e del c.c.n.l., tra l’altro senza il consenso della lavoratrice di età superiore ai 55 anni, avrebbe dovuto, a fronte della disponibilità manifestata dalla stessa a rendere la prestazione nella sede originaria, procedere ad un giudizio di comparazione delle rispettive inadempienze, secondo quanto insegna la giurisprudenza sull’art. 1460 c.c.

17. Con il sesto motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 1460 c.c., degli artt. 45 e 46 e 63 del c.c.n.l., dell’art. 18 St. Lav., degli artt. 1175 e 1375 c.c., dell’art. 3, legge n. 604 del 1966, dell’art. 1455 c.c.

18. Si ribadisce come la Corte di merito abbia omesso di operare una comparazione tra i reciproci inadempimenti, ai sensi dell’art. 1460 c.c., tenendo conto del fatto che la lavoratrice si era recata a Palermo ma aveva poi interrotto la trasferta per problemi di salute, offrendo la prestazione presso la sede romana. Si dà atto del ricorso proposto dalla lavoratrice, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., avverso il trasferimento, della decisione di rigetto in sede cautelare e della pendenza di un procedimento, ai sensi dell’art. 414 c.p.c., sul trasferimento medesimo.

19. Con il settimo motivo si denuncia la nullità della sentenza per omessa motivazione (art. 360 n. 3 n. 5 c.p.c.). Violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 1, n. 4 per mancata delibazione su fatti introdotti dalle parti e decisivi; violazione falsa applicazione dell’art. 1345 c.c.

20. Si denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata che non ha esaminato l’attività lavorativa in concreto assegnata e svolta dalla lavoratrice presso la “U.O. amministrazione e controllo di gestione” a partire dal 2000 e quella assegnata presso la sede di Palermo; non ha tenuto conto del giudicato formatosi in ordine alle mansioni e alla sede presso cui la lavoratrice doveva essere riassegnata.

21. Con l’ottavo motivo si deduce omessa ed erronea valutazione della condotta datoriale di trasferimento, trasferta e licenziamento sotto il profilo della nullità determinante ex art. 1345 c.c.; violazione dell’art. 1375 c.c. per omessa valutazione del motivo unico ritorsivo; violazione e falsa applicazione dell’art. 26, comma 4, d.lgs. n. 150 del 2011, dell’art. 2, d.lgs. n. 216 del 2003 e dell’art. 1, direttiva 78/2000.

22. Si critica la sentenza d’appello per non aver considerato che il trasferimento era stato disposto, in violazione del giudicato, verso una sede distante oltre 1000 km e per non aver valutato l’esercizio di tale potere datoriale come fonte di abuso nei confronti della dipendente; inoltre, per aver ritenuto provate le esigenze del tecniche, organizzative e produttive per il trasferimento a Palermo e che le nuove assunzioni presso la sede di Roma avevano riguardato mansioni differenti rispetto a quelle svolte dalla M., senza indicare gli elementi a base di tale convincimento.

23. Con il nono motivo si denuncia la violazione ed erronea applicazione dell’art. 5, legge n. 604 del 1966 e l’omessa motivazione sul giustificato motivo soggettivo di recesso in conseguenza dell’allontanamento della lavoratrice da Palermo; omessa motivazione sulla nullità determinante del licenziamento; violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5, legge n. 604 del 1966, dell’art. 15, legge n. 300 del 1970, dell’art. 3, legge n. 108 del 1990.

24. Si deduce come l’attuale ricorrente è stata l’unica dipendente ad essere trasferita da Roma a Palermo, appena rientrata in servizio dopo la conferma in Cassazione della sentenza di appello che aveva dichiarato la nullità dei contratti interinali; che la società ha prima creato una condizione lavorativa impossibile per la dipendente, catapultandola a distanza di 1000 km in un ufficio tecnico e poi, nella legittima reazione della dipendente, ha creato i presupposti per poter procedere al licenziamento; che la Corte di merito ha errato nell’escludere il carattere ritorsivo e discriminatorio del recesso; che è rimasta incontestata e, comunque, provata la mancata affissione del codice disciplinare, certamente rilevante rispetto all’addebito di assenza ingiustificata dal posto di lavoro atteso che proprio il codice disciplinare indica il numero di giorni di assenza integranti giusta causa di recesso.

25. Con il decimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, legge n. 300 del 1970, dell’art. 68 c.c.n.l., dell’art. 2106 c.c. nonché omessa motivazione sulla mancata affissione del codice disciplinare presso l’ufficio di Palermo.

26. Si ribadisce la mancata affissione del codice disciplinare presso la sede di Palermo; si afferma che la messa a disposizione delle proprie energie lavorative presso la sede di Roma escludesse l’abbandono del posto di lavoro; che il trasferimento era stato impugnato ed era poi intervenuta la malattia; che la Corte di merito non ha tenuto conto di tali elementi nel valutare l’esercizio del potere disciplinare.

27. Con l’undicesimo motivo si censura la sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 414, 420, 421  e 112 c.p.c. e degli artt. 2697 c.c. e dell’art. 24 Cost. per erroneo diniego di prova, per illogicità e omissione della motivazione ai sensi dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per error in procedendo con nullità della sentenza.

28. Si critica la sentenza d’appello per non aver dato ingresso alle istanze istruttorie articolate dalla reclamante.

29. I primi sei motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono fondati nei limiti di seguito esposti.

30. Occorre partire dalla sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2604/2014, emessa in separato procedimento e passata in giudicato (sentenza depositata in allegato al ricorso per cassazione). Questa sentenza ha dichiarato nullo il primo contratto di lavoro interinale concluso dalla M. con O.L. spa il 13.3.2000, in favore della utilizzatrice I. spa (v. sentenza 2604/2016, pag. 3). Ha dichiarato che “tra M.L. e la I. spa si è instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 13 marzo 2000, tuttora in atto, ed il conseguente diritto dell’appellante al ripristino del rapporto nel posto di lavoro in precedenza occupato con inquadramento nella qualifica del CCNL dipendenti delle Ferrovie dello Stato corrispondente a quella da ultimo attribuita”. La citata sentenza irrevocabile ha accertato che la M., nel corso del rapporto iniziato il 13.3.2000, era stata assegnata alla Unità Organizzativa Amministrazione e Controllo Gestione, con la mansione di addetta alla segreteria V livello. La circostanza è pacifica ed è allegata, oltre che nel ricorso per cassazione della lavoratrice, anche nel controricorso della società in cui si dà atto che “la signora L.M. ha lavorato per I. in forza di un contratto per la fornitura di lavoro temporaneo, stipulato tra I. spa e O.L., che prevedeva l’utilizzazione di un lavoratore a tempo pieno da adibire alla mansione di Addetto di Segreteria di V livello nel periodo 13.3.2000/28.7.2000” (pag. 18), e che la “U.O. Amministrazione e Controllo di Gestione, ove la ricorrente ha lavorato dal 2000 al 2002…” (pag. 19).

31. La sentenza oggi impugnata (n. 4827/2019) ha dato atto che I. spa, con nota del 22.5.2014 e al fine di dare esecuzione al giudicato, aveva assegnato la lavoratrice alla sede di Roma ma che tale assegnazione “aveva carattere temporaneo in mancanza di esigenze tecniche, produttive e organizzative presso detta sede” (pag. 6). La Corte di merito ha premesso che la M. presso la sede di Roma era stata originariamente addetta alla Unità Operativa Gestione Contratti TAV ed ha ritenuto dimostrata la soppressione di tale Unità, in mancanza di qualsiasi contestazione sul punto da parte della lavoratrice. Ha poi verificato che “le nuove assunzioni presso la sede di Roma avevano riguardato mansioni differenti rispetto a quelle rivestite dalla M. e che i dipendenti con le stesse mansioni della reclamante avevano una maggiore anzianità”. Ha infine considerato assolto da parte datoriale l’onere di prova delle esigenze tecnico produttive atte a giustificare il trasferimento della lavoratrice presso la sede di Palermo.

32. Questa Corte ha costantemente affermato che l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro (ma le stesse considerazioni valgono per le ipotesi di interposizione illecita), implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive […]” (v. Cass. n. 11927 del 2013; Cass. n. 23595 del 2018).

33. La Corte d’appello, nel momento in cui ha ritenuto giustificato il mancato ripristino (se non in via temporanea) del rapporto di lavoro presso la sede romana e nelle pregresse mansioni, non si è conformata al dictum della sentenza passata in giudicato. Il contrasto col giudicato si è realizzato sotto un duplice profilo.

34. In primo luogo, la Corte di merito non ha preso in esame le mansioni a cui la M. era stata assegnata nel primo rapporto di lavoro (il solo dichiarato nullo dalla sentenza 2604/2016), cioè di addetta di segreteria di V livello presso la U.O. Amministrazione e Controllo di Gestione, bensì le mansioni di gestore documentazione tecnica nella U.O. Gestione Contratto TAV, assegnate alla M. nel secondo contratto di lavoro interinale; in conseguenza di tale errore, la Corte di merito ha giustificato l’impossibilità di ripristino nella sede romana sul rilievo della avvenuta soppressione della Unità Gestione Contratto TAV; ha peraltro considerato provata l’avvenuta soppressione in quanto “non contestata in modo specifico da parte della M.” (pag. 7 della sentenza), in tal modo esonerando la parte datoriale dal relativo onere di prova, in violazione dell’art. 2697 c.c., per effetto di una erronea applicazione del principio di non contestazione in riferimento a fatti (concernenti l’organizzazione aziendale) estranei alla sfera di conoscenza della lavoratrice; ha quindi omesso ogni accertamento sulla possibilità di ripristino del rapporto nella U.O. Amministrazione e Controllo di Gestione a cui la M. era stata effettivamente assegnata, Unità ancora esistente (come confermato dalla stessa società nel controricorso a pag. 19), ed ha omesso di verificare l’adempimento da parte datoriale dei relativi oneri di allegazione e prova su questo aspetto.

35. In secondo luogo, la Corte d’appello nel valutare l’impossibilità di riassegnare la lavoratrice nel posto originario e l’esistenza di esigenze legittimanti il trasferimento, ha fatto leva sulla presenza, negli uffici romani, di altri dipendenti con le stesse mansioni della M. ma con maggiore anzianità di servizio.

36. Sul punto occorre richiamare i principi enunciati da questa Corte sull’attuazione dell’ordine di reintegra del lavoratore e riferibili, in via generale, ai casi di ordine giudiziale di ripristino del rapporto di lavoro. Si è affermato, con orientamento costante, che “L’accertamento giudiziale dell’illegittimità del licenziamento ed il conseguente ordine di reintegrazione ex art. 18, legge n. 300 del 1970, ricostituendo “de iure” il rapporto – da considerare, quindi, come mai risolto – ne ripristinano integralmente l’originario contenuto obbligatorio, comprendente anche il diritto del lavoratore a riassumere le abituali mansioni nel posto di lavoro occupato anteriormente. Pertanto, l’eventuale attribuzione del suddetto posto ad altro dipendente in sostituzione del lavoratore licenziato – che abbia impugnato l’atto di recesso – deve essere considerata provvisoria perché condizionata alla definitiva reiezione giudiziale della suddetta impugnativa. Ne consegue che, sopravvenuto l’ordine di reintegrazione, il datore di lavoro, quali che siano gli impegni assunti nei confronti del sostituto, deve in via prioritaria riammettere il lavoratore licenziato nel suo originario posto di lavoro e non può allegare l’avvenuta sostituzione come esigenza organizzativa per trasferire in altra sede di lavoro il dipendente reintegrato” (Cass. n. 13727 del 2000; Cass. n. 14142 del 2002; Cass. n. 20123 del 2017). Posto quindi che “la ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di reintegrazione implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato, la cui riammissione in servizio deve quindi avvenire nel luogo e nelle mansioni originarie, è possibile per il datore di lavoro disporne il trasferimento ad altra unità produttiva, se questo sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, tra le quali non rientra la sostituzione del lavoratore licenziato con altro, sostituzione che deve ritenersi provvisoria e condizionata al definitivo rigetto dell’impugnativa del licenziamento” (così Cass. n. 14142 del 2002 cit.). Al riguardo è utile riportare quanto scritto nel controricorso (pag. 19) in cui la società dà atto che “la U.O. Amministrazione e Controllo di Gestione, ove la ricorrente ha lavorato dal 2000 al 2002, è ancora esistente ma in tale struttura le attività di segreteria sono già svolte da un’unica segretaria e non c’è la possibilità e/o necessità di incrementare l’organico con ulteriori figure professionali”.

37. Da quanto detto risulta che la sentenza d’appello non si è conformata al giudicato di cui alla sentenza 2604 del 2014 poiché ha eseguito un accertamento fattuale senza avere riguardo al posto di lavoro precedentemente occupato dalla lavoratrice e alle mansioni originarie della stessa, rispetto a cui era stato emesso l’ordine di ripristino; inoltre, perché non si è attenuta ai principi di diritto in base ai quali l’ordine giudiziale di ripristino del rapporto di lavoro deve essere adempiuto riassegnando il lavoratore nel posto precedentemente occupato e nelle mansioni originarie e in via prioritaria rispetto ad altri dipendenti, non potendo costituire ostacolo alla attuazione di detto ordine eventuali assunzioni o assegnazioni fatte in sostituzione del medesimo.

38. Le considerano finora svolte rilevano anche ai fini della dedotta violazione dell’art. 2103 c.c.

39. La Corte di merito ha giudicato legittimo il trasferimento della lavoratrice presso la sede di Palermo sulla base di una duplice dato, “l’impossibilità di riadibire la ricorrente presso la sede originaria di lavoro” e la “sussistenza delle esigenze tecnico produttive presso la sede di Palermo” (pag. 7 della sentenza).

40. Atteso che la prima affermazione poggia, per quanto sopra esposto, su elementi fattuali e argomenti giuridici non corretti, ne discende la violazione dell’art. 2103 c.c.

41. Deve quindi ribadirsi che l’ordine giudiziale di ripristino del rapporto di lavoro (nella specie a seguito della declaratoria di nullità del contratto di fornitura di lavoro temporaneo) comporta la riammissione in servizio del dipendente nel posto precedentemente occupato e nelle mansioni originarie come prevalente rispetto a successive assegnazioni, che devono essere considerate provvisorie, dovendo il datore di lavoro, una volta intervenuto l’ordine di ripristino, riammettere il lavoratore nel suo originario posto di lavoro senza che l’avvenuta sua sostituzione possa essere addotta come esigenza organizzativa atta a legittimare il trasferimento del medesimo in altra sede.

42. Fondata è anche la denuncia di violazione dell’art. 45 c.c.n.l., secondo cui il trasferimento del lavoratore che abbia compiuto i 55 anni di età (come appunto la M.) può avvenire solo col suo consenso. Le considerazioni sopra svolte privano di contenuto la motivazione adottata dalla Corte di merito, secondo cui il consenso non era nel caso di specie necessario “poiché la datrice di lavoro ha dimostrato che il trasferimento era l’unico strumento per evitare il licenziamento”.

43. L’accoglimento dei motivi di ricorso quanto alla violazione del giudicato e dell’art. 2103 c.c. porta a ritenere assorbite le altre censure concernenti la nullità e l’illegittimità del licenziamento, che dovranno essere valutate alla luce dei principi affermati da questa Corte anche sull’art. 1460 c.c. (in tema di trasferimento del lavoratore e rifiuto di eseguire la prestazione nella sede di destinazione, v. Cass. n. 434 del 2019; v. anche Cass. n. 11408 del 2018; Cass. n. 3959 del 2016).

44. Ritenuti fondati, nei limiti finora esposti, i primi sei motivi di ricorso e assorbiti i restanti motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie attenendosi ai principi di diritto enunciati (in particolare sub § 41), oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i primi sei motivi di ricorso nei limiti di cui in motivazione, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 maggio 2023, n. 11564
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