Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 22 maggio 2023, n. 330

Interpello ordinario, Compenso amministratore, Obbligo di riversamento di qualsiasi compenso a lui spettante, Deducibilità del costo, Ritenute da operare all’atto del pagamento

 

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

 

Quesito

 

ALFA (in breve, ”la società istante” o ”la società ”) fa parte di un gruppo, unitamente alla consociata … [di seguito, ”consociata UE” o ”società UE”, n.d.r.]. Quest’ultima annovera tra i suoi dipendenti il Sig. TIZIO, che nel corso del 2021 ha svolto l’incarico di Consigliere di Amministrazione per la società italiana.

Sul punto, ALFA precisa che, in data … 2021, la società UE [di uno Stato Membro dell’Unione Europea, n.d.r.] ha stipulato un accordo con il dipendente sopra citato, sulla base del quale quest’ultimo ha un obbligo di riversamento di qualsiasi compenso a lui spettante, in qualità di amministratore delle altre società del Gruppo. Coerentemente con la suddetta clausola contrattuale, di cui la società UE ha informato la società istante, in data … 2021 l’assemblea dei soci di ALFA ha deliberato di riconoscere in favore di TIZIO un compenso lordo, per l’esercizio 2021, pari ad euro … e di corrispondere il suddetto compenso direttamente alla consociata UE, come espressamente richiesto da quest’ultima.

Alla luce di quanto sopra rappresentato, la società istante chiede di conoscere il corretto trattamento fiscale del compenso di amministratore, da riversare alla società consociata UE, sia con riguardo alla deducibilità del costo, sia in relazione all’eventuale ritenuta da operare all’atto del pagamento del compenso alla società UE.

 

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

 

ALFA ritiene che il costo relativo al compenso del Sig. TIZIO, per le funzioni di consigliere di amministratore, da riversare alla società UE, sia deducibile per competenza nell’esercizio relativo al periodo d’imposta 2021, attesa la data della delibera dell’assemblea dei soci che lo ha approvato.

Secondo la società istante, nella fattispecie in esame non è applicabile l’art. 95, comma 5, del TUIR, secondo il quale i compensi spettanti agli amministratori sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti. Trattandosi, invero, di un compenso c.d. ”reversibile”, ossia di remunerazioni percepite a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi direttivi che, per clausola contrattuale, devono essere corrisposti al proprio datore di lavoro, la correlata spesa sostenuta dalla società che li eroga integrerebbe una spesa per prestazione di servizi, deducibile secondo il criterio di competenza di cui all’art. 109 del TUIR.

Al riguardo, la società istante evidenzia che i suddetti compensi sono esclusi, ex art. 50, comma 1, lett. b), del TUIR, dal novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Sotto tale profilo, non dovrebbe, pertanto, essere applicata la ritenuta di cui all’art. 24, comma 1 ter, del D.P.R. 600/1973, riferibile esclusivamente ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Al contempo, secondo ALFA i suddetti compensi reversibili non devono essere tassati neppure come redditi di lavoro dipendente, in quanto sono imputati direttamente al soggetto giuridico al quale devono essere attribuiti. La suddetta conclusione è motivata dalla constatazione che manca, in capo al dipendente, il presupposto d’imposta di cui all’art. 1 del TUIR, ovvero il possesso del reddito.

In merito alla natura dei compensi reversibili, la società italiana richiama alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione (cfr. Sent. Cass. 29 gennaio 2021, n. 2067 e Sent. Cass. 10 ottobre 2020, n. 22479), nella quali i compensi reversibili sono stati qualificati come ”corrispettivo per l’utilità ricevuta, consistente nella fruizione dell’attività di gestione societaria espletata dalla risorsa umana messale a disposizione (…) non riconducibile alla fattispecie (…) del compenso all’amministratore, mancando l’erogazione di somme di denaro a tale titolo a colui che ha svolto l’attività gestoria”.

Sulla base di tali arresti giurisprudenziali, ALFA ritiene che il compenso reversibile per l’attività svolta dall’amministratore, dipendente della consociata, debba essere incluso nel reddito d’impresa di quest’ultima società.

Sul punto, atteso che l’art. 23, comma 1, lett. c), del TUIR considera prodotti nel territorio dello Stato i redditi d’impresa derivanti da attività ivi esercitate mediante stabili organizzazioni, la società istante ritiene che, mancando una base fissa della società estera in Italia, non sussista il presupposto impositivo per l’applicazione di un’imposta nel nostro Paese. Anche sotto tale profilo, dunque, non dovrebbe essere applicata alcuna ritenuta in uscita all’atto del pagamento alla consociata UE.

Con riguardo al profilo convenzionale, richiama l’art. 16 della Convenzione tra Italia e [Paese UE, n.d.r.] per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, firmata a … e ratificata con Legge … (in breve ”la Convenzione”), che attribuisce una potestà impositiva concorrente allo Stato di residenza del percettore e allo Stato fonte del reddito, alle fattispecie di gettoni di presenza e altre retribuzioni analoghe che un soggetto riceve in qualità di membro del Consiglio di Amministrazione di una società residente dell’altro Stato.

Secondo la società istante, la suddetta disposizione pattizia non è applicabile alla fattispecie in esame, atteso che il sig. TIZIO non percepisce alcun compenso per l’attività svolta a favore della società istante. Il suddetto importo deve pertanto essere qualificato, ai fini convenzionali, come reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 7 della citata Convenzione. Tale disposizione afferma che gli utili di una società sono imponibili solo nello Stato di residenza, a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato contraente attraverso una stabile organizzazione ivi situata.

In conclusione, la società istante ritiene che il compenso reversibile, qualificandosi come prestazione di servizi in capo alla consociata UE, sia tassabile, in assenza di una stabile organizzazione in Italia, esclusivamente in [Paese UE] e, con riguardo alla società italiana, rappresenti un costo inerente deducibile per competenza nell’esercizio di deliberazione. Per tale motivo, la società istante ritiene che non sussista in capo alla stessa alcun obbligo di effettuare una ritenuta all’atto di erogare il compenso per l’attività direttiva prestata dal dipendente citato.

 

Parere dell’Agenzia delle Entrate

 

La fattispecie sottoposta all’esame della scrivente riguarda la definizione del corretto trattamento fiscale da adottare da parte di una società italiana che eroga un compenso per l’attività di consigliere di amministrazione ad un dipendente di una consociata estera, verso la quale sussiste un obbligo contrattuale di riversamento dell’emolumento.

In merito ai compensi reversibili, l’articolo 51, comma 2, lettera e), del TUIR dispone che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i compensi reversibili di cui alle lettere b) ed f) del comma 1 dell’articolo 50 del TUIR.

Al riguardo, la citata lettera b) assimila ai redditi di lavoro dipendente le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità. Si tratta di somme e valori che il prestatore di lavoro percepisce da soggetti diversi dal proprio datore di lavoro per incarichi svolti in relazione alle funzioni della propria qualifica e in dipendenza del proprio rapporto di lavoro quali, ad esempio, la partecipazione a organi collegiali, commissioni di esami, comitati tecnici, compresi quelli dei dipendenti pubblici per attività rese in funzione del proprio ruolo o in rappresentanza dell’ente di appartenenza.

Sul punto, il paragrafo 5.3 della circolare del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997, n. 326 ha chiarito che l’assimilazione al lavoro dipendente deriva dal fatto che l’attività viene fornita dal dipendente in relazione a un ordine di servizio ricadente nel rapporto di lavoro subordinato intrattenuto in via principale.

La predetta disposizione normativa esclude dal novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, insieme ai compensi che per legge devono essere riversati allo Stato, quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro. Tale esclusione, tuttavia, non comporta la loro qualifica come redditi di lavoro dipendente.

Al riguardo, il paragrafo 2.2.5 della predetta circolare ha chiarito che i compensi reversibili richiamati dal citato articolo 51 non solo non costituiscono reddito assimilato a quello dipendente, ma non devono essere assoggettati a tassazione neanche quali redditi di lavoro dipendente, in quanto sono imputati direttamente al soggetto al quale, per clausola contrattuale, devono essere riversati.

Occorre rammentare, inoltre, che il Ministero delle Finanze, con Nota n. 8/166 del 17 maggio 1977, ha riconosciuto che non concorrono alla determinazione del reddito complessivo soggetto all’IRPEF ”i compensi reversibili percepiti dai collaboratori coordinati e continuativi tra i quali rientrano i consiglieri di amministrazione. E ciò in base al principio generale secondo cui non si configurano quale reddito imponibile di un soggetto le somme di cui egli non ottenga in alcun modo la disponibilità”. Ciò a condizione che ”risulti documentato l’effettivo riversamento alle società ed enti destinatari dei compensi medesimi” (cfr. anche Nota n. 8/196 del 1980).

Sulla base dei chiarimenti resi con i citati documenti di prassi, si ritiene, quindi, che i compensi corrisposti al dott. TIZIO in relazione all’incarico di consigliere di amministrazione di ALFA, non assumano rilevanza per tale soggetto ai fini della determinazione del reddito. Al riguardo, si osserva che egli non ha alcuna disponibilità delle somme erogate in ragione dell’incarico direttivo svolto. Dall’esame della comunicazione inviata dalla società istante alla consociata UE, si evince che il compenso del citato dipendente verrà direttamente ed integralmente pagato a [consociata UE] (”shall be fully paid by ALFA to [consociata UE]”). Tale circostanza è ulteriormente confermata dalla delibera di riconoscimento del compenso, corrisposto direttamente alla consociata UE.

Per quanto attiene al trattamento da riservare a dette somme in capo alla società istante, per le ragioni di seguito esposte si ritiene che ALFA debba considerare deducibile secondo il criterio generale di competenza l’importo pagato alla consociata UE per l’attività di direzione svolta dal Sig. TIZIO.

In via preliminare si osserva che esula dalle competenze esercitabili dalla scrivente ogni considerazione relativa ai profili civilistici degli accordi contrattuali sottesi alla fattispecie rappresentata e la valutazione in ordine alla congruità dei compensi indicati.

Al riguardo, si osserva che, ai fini convenzionali, il pagamento in parola deve essere correttamente inquadrato nell’ambito dell’articolo 7 della Convenzione, come reddito d’impresa, atteso che il pagamento, pur formalmente riferibile al lavoro prestato dal consigliere di amministrazione, è effettuato direttamente tra le due società consociate senza alcun riversamento da parte del dipendente a favore del proprio datore di lavoro. Ciò comporta, ai fini convenzionali e nel presupposto, dichiarato dalla società istante e non verificabile in sede di interpello, che la consociata UE non abbia una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, che i compensi erogati da ALFA alla società UE siano qualificabili come reddito d’impresa in capo a quest’ultima e tassabili esclusivamente nel suo Stato di residenza e, simmetricamente, siano costi deducibili in capo alla società istante, secondo il criterio generale di competenza di cui all’art. 109 del TUIR.

Pertanto, non può applicarsi l’articolo 16 della citata Convenzione, che prevede una potestà impositiva concorrente per le retribuzioni che un residente di uno Stato contraente riceve come membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale di una società residente nell’altro Stato contraente. Nel caso in esame, in effetti, il pagamento è effettuato direttamente alla consociata e non al dipendente.

Per quanto sopra rappresentato, la non imponibilità dei compensi nel territorio dello Stato, per effetto della disposizione convenzionale di cui all’art. 7, nonché per effetto delle disposizioni domestiche, di cui all’art. 23, comma 1, lett. c), del TUIR e all’art. 24, comma 1 ter, del D.P.R. 600/1973, conferma l’insussistenza di un obbligo, in capo alla società istante, di effettuare la ritenuta a titolo d’imposta, all’atto del pagamento della somma.

La risposta di cui alla presente nota, sollecitata con istanza di interpello presentata alla Direzione Regionale della …, viene resa dalla scrivente sulla base di quanto previsto al paragrafo 2.8 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 4 gennaio 2016, come modificato dal Provvedimento del 1° marzo 2018.

 

Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 22 maggio 2023, n. 330
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