Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 maggio 2023, n. 18530

Lavoro, Contratto di appalto per servizi, Accordo di somministrazione di lavoro in assenza dei requisiti di legge, Somministrazione illecita di manodopera, Simulazione, Assenza del rischio di impresa, Rigetto

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del Tribunale di Udine emessa il 7 marzo 2022, S.S. veniva condannata, con i doppi benefici di legge, alla pena di 7.840 Euro di ammenda, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui agli art. 110 c.p. e 38 bis del D.Lgs. n. 81 del 2015, a lei contestato perché, quale presidente del consiglio di amministrazione della società (…) s.r.l., esercente l’attività di ristorazione “(…)”, agendo in concorso con G.L., amministratore unico della (…) s.r.l., esercente attività di altri servizi di sostegno alle imprese, al fine di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, stipulava in data 1 novembre 2017 un contratto di appalto per servizi avente ad oggetto “servizio di cucina, servizio di sala” per il periodo dal 1 novembre 2017 al 28 febbraio 2018, contratto che in realtà celava un accordo di somministrazione di lavoro in assenza dei requisiti di legge, posto che, in base a tale accordo, la (…) s.r.l. impiegava alle proprie dipendenze (e la (…) s.r.l. somministrava) 8 lavoratori, per un totale di 588 giornate lavorative; fatto commesso in Venzone, fino all’8 marzo 2019.

2. Avverso la sentenza del Tribunale friulano, la S., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.

Con il primo, la difesa si duole della mancata assunzione di una prova decisiva, ovvero dell’omessa escussione dei testi Z.M., ossia colui che aveva sovrainteso all’instaurazione e alla disciplina dei rapporti con i lavoratori, nonché della responsabile dell’assistenza clienti della (…) s.r.l., tale E.; questi due testi sarebbero stati indebitamente revocati dal Tribunale, sebbene la loro escussione fosse finalizzata a dimostrare l’insussistenza del reato e, in particolare, la regolarità del contratto di appalto e l’assenza di una finalità elusiva in capo all’imputata, avendo pertanto la revoca dei testi comportato una lesione del diritto di difesa dell’imputata, posto che la prova negata era stata ammessa dal giudice ai sensi dell’art. 495 c.p.p.. In particolare, il teste Z. avrebbe potuto riferire che nell’esecuzione dell’appalto la organizzazione del lavoro degli ausiliari è sempre stata gestita dalla (…) e dal preposto G.L., in coordinamento con la committente e in sintonia con le previsioni contrattuali, mentre la sig.ra E. avrebbe potuto confermare che la (…) è tuttora operativa nell’ambito della somministrazione di servizi, continuando a proporsi nel mercato del lavoro, avendo assunto attualmente la denominazione di (…) (…) s.r.l., da ciò desumendosi che la S. si era rivolta a una impresa professionalmente accreditata, essendo dunque convinta della legittimità dell’instaurando rapporto contrattuale.

Con il secondo motivo, è stata censurata la formulazione del giudizio di colpevolezza dell’imputata, sottolineandosi che, come già esposto all’Ispettorato territoriale del lavoro di (…) con p.e.c. datata 8 agosto 2019, alcuna somministrazione illecita di manodopera era ravvisabile nel caso di specie, atteso che vi è stata una diversità formale e sostanziale tra le modalità di gestione del rapporto dei dipendenti della (…) s.r.l. e degli ausiliari della (…); quest’ultima, peraltro, non solo ha coordinato i propri ausiliari, ma ne ha controllato l’attività e la prestazione al fine di garantire l’esatta esecuzione dell’oggetto dell’appalto, essendo del resto la (…) una società strutturata dotata di una propria rilevante organizzazione che occupa molti ausiliari ed è impegnata in un gran numero di appalti, fermo restando che il contratto di appalto è stato certificato dalla commissione di certificazione istituita presso l’Ente paritetico bilaterale ENBLI di (…), per cui, ribadita l’insussistenza del reato dal punto di vista oggettivo, escludendo un rapporto di natura autonoma l’ipotizzabilità anche in astratto di una somministrazione di manodopera, si osserva che la S. ha confidato nella bontà e nella correttezza dello strumento contrattuale proposto e attuato, essendosi in presenza sia di un contratto certificato, sia di una controparte negoziale strutturata, ponendosi dunque la buona fede del ricorrente in contrasto con l’intenzionalità richiesta dal reato, ovvero con il fine di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo.

2.1. Con memoria trasmessa il 9 gennaio 2023, il difensore dell’imputata ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso è infondato.

1. Iniziando dal primo motivo, deve innanzitutto premettersi che, all’udienza del 7 marzo 2022, il giudice monocratico, all’esito della deposizione dei quattro testi fino a quel momento escussi (ovvero F.L., teste del P.M., nonché S.M., M.T. e C.M., testi della difesa), rendeva la seguente ordinanza, di cui si riporta il contenuto: “il Tribunale, alla luce della documentazione prodotta da P.M. e Difesa e dell’attività istruttoria compiuta, sentite le parti, revoca l’ordinanza con cui sono stati ammessi i residui testi della Difesa oggi non presenti, ritenuti superflui ai fini della decisione”.

Orbene, l’ordinanza in esame non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede, avendo il Tribunale compiuto una valutazione di merito sulla superfluità delle restanti testimonianze che, pur nella sua estrema sintesi, non appare contraddistinta da profili di manifesta illogicità, tanto più ove si consideri che i temi su cui avrebbero dovuto deporre i due testi, per come sintetizzati nel ricorso, sono stati sia adeguatamente esplorati nel corso dell’istruttoria fino a quel momento svolta, sia sufficientemente trattati nella sentenza impugnata, per cui non può parlarsi nel caso di specie di mancata assunzione di prove decisive, dovendosi al riguardo richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, Rv. 278670 e Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Rv. 259323), secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi “decisiva”, secondo la previsione dell’art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante.

Tali requisiti, come detto, non sono configurabili rispetto alle prove legittimamente revocate dal Tribunale, da ciò discendendo quindi l’infondatezza della doglianza difensiva.

2. Ad analoga conclusione deve pervenirsi rispetto al secondo motivo di ricorso.

Al riguardo deve osservarsi che il giudizio di colpevolezza dell’imputata è stato preceduto da una esauriente disamina delle fonti dimostrative raccolte, avendo il Tribunale richiamato gli esiti dell’accertamento svolto dall’Ispettorato territoriale del lavoro di (…)-(…) nel marzo 2019 presso il Ristorante “(…)” sito in (…) e gestito dal marzo 2016 dalla società (…) s.r.l., di cui è risultata essere legale rappresentante l’imputata S.S..

Dalla verifica, scaturita dalla denuncia di omessi pagamenti retributivi presentato da un lavoratore del predetto ristorante, emergeva che la società (…) s.r.l. si era inizialmente avvalsa delle prestazioni di lavoratori assunti alle proprie dipendenze, per poi stipulare, in data 1 novembre 2017, con la (…) s.r.l., un contratto di appalti, avente ad oggetto i servizi di sala e di cucina, valido fino al 28 novembre 2018 e rinnovabile tacitamente.

Secondo le pattuizioni negoziali, il contratto, con la fissazione di un corrispettivo mensile di duemila Euro al mese, prevedeva l’impegno della società appaltratrice di svolgere le proprie attività tramite organizzazione di mezzi e gestione a proprio rischio e a regola d’arte, restando la (…) “libera di determinare modalità e termini di esecuzione di tutte le operazioni e le attività che ritenga necessarie, utili e funzionali per la realizzazione del servizio”, spettando esclusivamente all’appaltatore “l’organizzazione dei mezzi, in relazione alle esigenze del servizio e in specie il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto, ai sensi dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003”.

Ciò posto, il giudice monocratico ha tuttavia evidenziato che il contratto di appalto in realtà simulava una mera somministrazione di manodopera da parte della società (…). (che non era autorizzata a somministrare personale), posto che l’operazione negoziale si era di fatto concretizzata in una mera messa a disposizione di energie lavorative di dipendenti formalmente assunti da (…) che hanno lavorato per (…) s.r.l., avendo i dipendenti con (…) rapporti limitati agli adempimenti burocratici relativi al proprio rapporto di lavoro, come ad esempio la consegna del contratto di lavoro e dei prospetti paga e chiarimenti in merito agli stessi; in definitiva, la (…) aveva fornito solo la manodopera, non assumendo alcun rischio economico in merito alla realizzazione del servizio di cui al contratto di appalto: i lavoratori, infatti, erano inseriti nell’organizzazione aziendale della (…) s.r.l., i cui soci programmavano i turni di lavoro e gestivano le richieste di permessi, le ferie e i riposi, non risultando peraltro che i referenti della (…) si fossero mai recati sul luogo di lavoro per verificarne l’andamento. La (…), dunque, non assumeva alcun rischio di impresa, limitandosi a fornire solo forza-lavoro, che era gestita direttamente dai soci della (…) s.r.l. secondo le loro esigenze.

Tale convincimento è stato fondato sulla deposizione dei testi escussi (l’operante F. e i lavoratori S., M. e C.) e sul contenuto dei verbali ispettivi, attraverso i quali sono stati ricostruiti i periodi lavorativi degli 8 dipendenti nel 2018 e nel 2019 e le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative; né risultano dirimenti le obiezioni difensive circa l’apparente adeguatezza della (…), peraltro sul piano meramente formale, posto che, come accertato dagli operanti, la somministrazione della manodopera aveva comportato nel caso di specie una concreta lesione dei diritti dei lavoratori, essendo emerso che costoro erano sottoinquadrati, che le denunce contributive trasmesse all’Inps erano riferite a imponibili inferiori a quelli esposti sul libro unico del lavoro e che, nel caso di cessazione del rapporto non erno state elaborate le buste paga relative al trattamento di fine rapporto e le indennità terminative, né tali voci erano pagati, aspetti questi che sono stati ragionevolmente ritenuti idonei nella sentenza impugnata a rivelare l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice, ossia la finalità dei contraenti, e dunque anche della S., di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore.

Di qui il giudizio sulla sussistenza della fattispecie contestata, che, come precisato da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 9758 del 19/02/2020, Rv. 278631), ha come obiettivo esclusivamente quello di tutelare il lavoratore sul piano delle condizioni di lavoro e di occupazione, lasciando fuori dal suo ambito di applicazione quei comportamenti finalizzati alla elusione della contribuzione, che restano soggetti alla disciplina dell’art. 640, comma 2, n.1 c.p..

2.1. In conclusione, in quanto ancorati a considerazioni razionali e coerenti con le acquisizioni probatorie (correttamente intese nel loro reale significato), la valutazione del materiale probatorio operata dal Tribunale e il conseguente inquadramento giuridico della condotta non prestano il fianco alle censure difensive, che si articolano nella sostanziale proposta di una lettura alternativa del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.

3. Ne consegue che il ricorso proposto nell’interesse della S. deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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