Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 maggio 2023, n. 12249
Lavoro, Risarcimento danno non patrimoniale, Riposi giornalieri e settimanali non fruiti, Regolamenti CEE 3820 del 1985 e CE 561 del 2006, Trasporti di tipo misto, Criterio della prevalenza dell’attività svolta, Tratte inferiori e superiori ai 50 km, Errores in procedendo, Danno da usura psico-fisica, Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Lecce, con la sentenza impugnata, ha respinto il gravame proposto dalla società Ferrovie del Sud Est e S.A. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale della medesima sede che aveva accolto la domanda di V.C., O.A. e S.D., autisti del servizio di linea addetti (anche) a percorsi superiori a 50 km, per la condanna al pagamento del risarcimento del danno non patrimoniale derivato dalla mancata fruizione (per gli anni dal 2006 al 2011) dei riposi giornalieri e settimanali così come disciplinati dai Regolamenti CEE 3820 del 1985 e CE 561 del 2006.
2. Per quanto qui rileva, la Corte territoriale, all’esito della disamina di detti Regolamenti, ha ritenuto l’applicabilità della normativa comunitaria all’impresa di trasporto in contesa, nonostante svolgesse attività in regime di monopolio, in quanto l’obiettivo di tale disciplina sarebbe la conformazione delle condizioni di lavoro ad un modello standard a livello sovranazionale, che assicuri l’osservanza di minime norme di sicurezza e di protezione dei conducenti, con particolare riferimento al rispetto di riposo ed intervalli lavorativi, indipendentemente dal modo con cui l’impresa operi nel settore.
3. Ha quindi valutato le censure proposte dalla società in via subordinata, con le quali si lamentava l’erroneità della decisione in quanto, in presenza di turni misti (ossia di turni composti da corse inferiori e corse maggiori di 50 Km), il primo giudice avrebbe dovuto tenere conto della prevalenza delle corse effettivamente svolte e, comunque, si impugnavano i conteggi del CTU nominato in primo grado.
La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la documentazione allegata all’atto di appello (contenente conteggi) e, in ogni caso, ha considerato che la stessa non avrebbe inficiato la decisione del Tribunale.
Infatti, in primo luogo ha escluso la pertinenza degli argomenti dedotti, dalla società, dagli Interpelli elaborati dal Ministero del Lavoro (nn. 24 del 2008 e 27 del 2009, che prevedono il criterio della prevalenza in caso di turni “misti”), avendo, i suddetti Interpelli, esaminato fattispecie diverse; in secondo luogo, ha ritenuto incontestato che i lavoratori erano stati addetti in via esclusiva alla conduzione di veicoli effettuando in un turno anche una o più corse superiori a 50 km, sottolineando che l’applicazione della normativa comunitaria discendeva esclusivamente dal requisito, accertato in corso di causa, della guida di tratte eccedenti i 50 km durante il turno (indipendentemente dalla percorrenza complessiva giornaliera).
Ciò precisato, la Corte ha considerato che il CTU aveva preso in considerazione la documentazione proveniente dalla società allegata all’atto introduttivo e che lo sviluppo dei conteggi era stato operato in aderenza al quesito, “che richiedeva di considerare i riposi maturati nelle settimane in cui vi era un numero maggiore di turni con percorrenza superiore ai 50 Km”. Ha aggiunto: “il criterio restrittivo (della prevalenza), che non è aderente a quello ritenuto corretta da questa Corte in virtù delle disposizioni dei Regolamenti, non può essere messo qui in discussione, benché penalizzante per i lavoratori, poiché manca sul punto l’appello incidentale”.
4. In ordine al risarcimento del danno, la Corte pugliese ha argomentato che, “nel caso di specie, dalla lunghezza de periodi nei quali si è registrato l’inadempimento datoriale si desume che la strutturazione dei riposi in rapporto ai turni imposti dalla società si è tradotta in una maggiore penosità del lavoro, che è più che proporzionale non solo alla frequenza dei mancati tempestivi riposi, ma anche alla durata complessiva del periodo di riferimento”, maggiore penosità neanche vinta da prova contraria della società. Per la Corte, infine, “il danno da usura psico-fisica cagionato dal maggior dispendio di energie necessarie per sostenere i ritmi lavorativi che, senza adeguati e cadenzati riposi, diventano oggettivamente usuranti anche per una persona esente da qualsivoglia patologia, non può che essere liquidato in via equitativa”.
5. Avverso tale pronuncia la società soccombente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui hanno resistito gli intimati con controricorso.
Il PG ha concluso per il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memorie.
Motivi della decisione
1. I motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito.
1.1. Con il primo si denunzia violazione o falsa applicazione del Regolamento CEE n. 3820/1985 (artt. 4 e 8), del Regolamento CE n. 561/2006 (artt. 3, 4 e 8), della legge n. 138 del 1958 (artt. 7 e 8), del d.lgs. n. 66 del 2003 (art. 17, comma 6), dell’art. 6 del c.c.n.l. Autoferrotranvieri 27/11/2000 (art. 6), ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo, la Corte territoriale, ritenuto applicabile la disciplina comunitaria in luogo della disciplina nazionale di cui alla legge del 1958 in materia di riposi giornalieri e settimanali dei lavoratori addetti al trasporto di linea extra urbano; invero, secondo le previsioni del d.lgs. n. 66/03, la disciplina dei riposi applicabile al personale mobile dipendente da aziende autoferrotranviarie è quella prevista dalla legge del 1958; i Regolamenti comunitari dettano una disciplina per il personale che effettua trasporti stradali il cui percorso supera i 50 km; la fattispecie de qua si caratterizza per effettuare
trasporti di tipo “misto” (ossia l’autista può essere adibito a corse inferiori oppure superiori ai 50 km nell’ambito anche di uno stesso turno, ma le tratte inferiori sono di gran lunga prevalenti); l’Interpello n. 27 del 2009 del Ministero del Lavoro ha dettato, ai fini della scelta della disciplina da applicare, il criterio della prevalenza dell’attività svolta, mentre la sentenza impugnata ha ritenuto sufficiente la presenza anche di una sola tratta superiore ai 50 km nel turno di servizio per l’applicazione della normativa comunitaria, con ciò violando altresì il c.c.n.l. che prevede di misurare la durata settimanale dell’orario di lavoro nell’arco temporale di 17 settimane.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione dell’art. 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per motivazione apparente, sostenendo che il giudice di secondo grado non avrebbe indicato le ragioni per le quali ha ritenuto che il CTU aveva sviluppato i conteggi in aderenza al quesito posto, nonostante il consulente non avesse “correttamente individuato i turni in cui le corse con percorrenza superiore ai 50 Km risultavano prevalenti”.
1.3. Con il terzo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 416, 437 e 195 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto inammissibili i conteggi allegati all’atto di appello, prodotti per confortare i rilievi mossi alla CTU concernenti il “come” il consulente avesse applicato il criterio della prevalenza indicato dal Tribunale.
1.4. Col quarto motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2059, 2087, 1223, 2727, 2729, 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo, la Corte territoriale, fatto erronea applicazione dei principi in materia di danno e di onere probatorio a fronte del ricorso introduttivo del giudizio privo di specifiche allegazioni idonee concretamente ad individuare il pregiudizio di cui i lavoratori chiedevano il risarcimento; inoltre, la Corte territoriale non avrebbe minimamente indicato le presunzioni gravi, precise e concordanti poste alla base del metodo di accertamento analitico induttivo adottato, avendo considerato un unico, insufficiente, fatto indiziario ossia la lunghezza dei periodi nei quali si è registrato l’inadempimento datoriale.
2. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
2.1. Il ricorso della società, in relazione al periodo di causa (2006 – 2011), investe questa Corte della interpretazione del regolamento CE n. 561/2006 del parlamento Europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006, relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che modifica i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 3821/85 e (CE) n. 2135/98 e abroga il regolamento (CEE) n. 3820/85 del Consiglio (GU 2006, L 102, pag. 1), nel prosieguo indicato come “regolamento”. In relazione al periodo di causa non trovano applicazione le modifiche introdotte dal regolamento (UE) n. 2020/1054.
2.2. La società sostiene che il regime di monopolio in base al quale operava la esentava dall’applicazione del regolamento; ulteriore motivo di esenzione dall’applicazione della normativa comunitaria consisterebbe nella adibizione degli autisti a trasporti di tipo “misto” (ossia a corse inferiori e superiori ai 50 km nell’ambito anche di uno stesso turno, ma con netta prevalenza delle tratte inferiori).
2.3. Ai sensi dei considerando 4, 16, 17, 22 e 23 del regolamento n. 561/2006, per quanto qui rileva:
«(4) Per conseguire gli obiettivi prefissi ed evitare che [le disposizioni del regolamento (CEE) n. 3820/85 relative ai periodi di guida, interruzioni e riposo dei conducenti dei veicoli addetti ai trasporti comunitari nazionali e internazionali su strada] vengano disattese è auspicabile che le suddette disposizioni vengano fatte osservare rigorosamente e uniformemente. Occorre a tal fine dettare un complesso di regole più semplici e chiare, di immediata comprensione, che possano essere facilmente interpretate e applicate tanto dalle imprese del settore quanto dalle autorità che devono farle osservare.
(16) Il fatto che le disposizioni del regolamento (CEE) n. 3820/85 abbiano permesso di programmare l’attività di guida giornaliera in modo da effettuare lunghissimi periodi al volante non intercalati dalle opportune pause di riposo, ha avuto ripercussioni negative sulla sicurezza stradale e ha peggiorato le condizioni di lavoro dei conducenti. Occorre pertanto assicurare che le interruzioni frazionate siano organizzate in modo da evitare gli abusi.
(17) Il presente regolamento mira a migliorare le condizioni sociali dei lavoratori dipendenti cui si applica, nonché la sicurezza stradale in generale. A tal fine prevede disposizioni relative al tempo di guida massimo per giornata, per settimana e per periodo di due settimane consecutive, nonché una disposizione che obbliga il conducente a effettuare almeno un periodo di riposo settimanale regolare per periodo di due settimane consecutive e disposizioni in base alle quali un periodo di riposo giornaliero non può in nessun caso essere inferiore a un periodo ininterrotto di 9 ore. Dato che tali disposizioni garantiscono un riposo adeguato, e tenuto conto anche dell’esperienza acquisita negli ultimi anni in materia di applicazione, un sistema di compensazione per i periodi di riposo giornalieri ridotti non è più necessario.
(…)
(22) Per incentivare il progresso sociale ed accrescere la sicurezza stradale, ogni Stato membro dovrebbe poter continuare ad adottare determinate misure che ritiene opportune.
(23) Le deroghe nazionali dovrebbero riflettere l’evoluzione nel settore del trasporto su strada e limitarsi a quegli elementi che attualmente non sono soggetti a dinamiche concorrenziali».
2.4. L’articolo 1 di tale regolamento così dispone:
«Il presente regolamento disciplina periodi di guida, interruzioni e periodi di riposo per i conducenti che effettuano il trasporto di persone e di merci su strada, al fine di armonizzare le condizioni di concorrenza fra diversi modi di trasporto terrestre, con particolare riguardo al trasporto su strada, nonché di migliorare le condizioni di lavoro e la sicurezza stradale. Il presente regolamento mira, inoltre, ad ottimizzare il controllo e l’applicazione da parte degli Stati membri nonché a promuovere migliori pratiche nel settore dei trasporti su strada».
2.5. L’articolo 2 precisa, per quel che interessa, che il regolamento si applica al trasporto di passeggeri effettuato da veicoli atti a trasportare più di nove persone compreso il conducente e destinati a tal fine (oltre che al trasporto di merci) e (prescindere dal paese in cui il veicolo è immatricolato) all’interno della Comunità europea (nonché nella Svizzera e nello Spazio economico europeo). L’art. 3, lett.a), inoltre, delimita il campo di applicazione della disciplina e, in particolare, esclude i trasporti stradali effettuati a mezzo di “veicoli adibiti al trasporto di passeggeri in servizio regolare di linea, il cui percorso non supera i 50 chilometri”.
2.6. Come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia UE, la portata del regolamento deve essere determinata tenendo conto delle finalità del regolamento stesso (cfr. in tal senso sentenza CGUE 7.7.2022, C-13/21 e ivi numerosi rinvii, punto 31). In particolare, la Corte di giustizia non ha trascurato di ricordare che, conformemente al suo considerando 17 e al suo articolo 1, il regolamento ha come obiettivi l’armonizzazione delle condizioni di concorrenza relative al settore stradale e il miglioramento delle condizioni di lavoro nonché della sicurezza stradale (sentenza 21.11.2019, C-203/18 e C-374/18; sentenza 7.2.2019, C-231/18).
2.7. L’interpretazione sistematica del regolamento e, in specie, dei passaggi innanzi riportati (ove, da una parte, si indicano le finalità della disciplina e, dall’altra, si individua precisamente il campo di applicazione), dimostra con estrema chiarezza ed evidenza che il regolamento si applica inequivocabilmente a tutte le imprese del settore “trasporti su strada” che operano all’interno della Comunità europea (e, quindi, del territorio nazionale) in modo da raggiungere il fine specifico di imporre delle condizioni minime di svolgimento dell’attività che tutelino sia gli operatori di esercizio di dette imprese sia i terzi impegnati nella circolazione stradale. Il campo di applicazione del regolamento (artt. 2 e 3) è dettato in maniera analitica e specifica, mentre i singoli considerando e le finalità esplicitate dal legislatore comunitario nell’art. 1 non contengono enunciati di carattere normativo e svolgono la funzione di spiegare le ragioni dell’intervento normativo, consistenti nell’intento di armonizzare, ossia uniformare, le prescrizioni minime in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, proprio al fine di evitare abusi e distorsioni di mercato (che portino a favorire, nell’aggiudicazioni degli appalti, imprese che ottengano minori costi di produzione grazie al mancato rispetto delle condizioni minime di sicurezza nell’ambito della circolazione stradale): quindi, a prescindere dal concreto contesto di mercato in cui si trova ad operare l’impresa (concorrenza perfetta, concorrenza monopolistica, oligopolio e monopolio), il legislatore europeo ha inteso imporre delle condizioni comuni di esercizio del trasporto su strada non solo al fine di evitare abusi ma anche per rendere sicura la circolazione stradale, regole direttamente applicabili in ogni Stato membro (considerata la natura dell’atto normativo comunitario) sin dal 2006 e la cui violazione fonda la domanda risarcitoria dei lavoratori.
2.8. La conferma dell’applicazione del regolamento alle imprese di trasporto che prevedono turni “misti” (ossia con almeno una tratta superiore a 50 km) per i dipendenti si ricava, altresì, dalla sentenza della Corte di Giustizia del 9.9.2021 (in causa C-906/19), resa sulla domanda pregiudiziale di interpretazione dell’art. 3, lett. a) del regolamento (proposta dalla Corte di Cassazione della Francia), la quale ha precisato (punto 32) che l’espressione “veicoli adibiti” per il trasporto di passeggeri in “servizio regolare” il cui percorso non supera i 50 chilometri, riguarda unicamente i veicoli adibiti a tale trasporto in via esclusiva (a meno che il veicolo sia utilizzato a tale scopo solo occasionalmente); la sentenza aggiunge che il regolamento, nella misura in cui introduce un’eccezione all’ambito di applicazione (trasporti inferiori a 50 km), deve essere interpretato in modo restrittivo (punto 33), posto che “adottare un’interpretazione dell’articolo 3, lettera a), del regolamento n. 561/2006 secondo cui l’esclusione dall’ambito di applicazione di tale regolamento prevista da detta disposizione non è limitata all’uso esclusivo del veicolo in questione ai fini del particolare trasporto su strada di cui a tale disposizione sarebbe in contrasto con l’obiettivo perseguito da tale regolamento di migliorare le condizioni di lavoro e la sicurezza stradale, rendendo inapplicabile il regolamento n. 561/2006 a taluni usi di tale veicolo che possono incidere sulla guida ed escludendo la presa in considerazione di tali usi nella verifica della conformità all’articolo 15, paragrafi 2, 3 e 7, del regolamento n. 3821/85” (punto 38).
2.9. In sintesi, il regolamento va applicato ai veicoli adibiti in via promiscua a tratte sia inferiori che superiori ai 50 chilometri, come ricorre nel caso di specie; l’applicazione del regolamento a questi casi è già stata chiaramente affermata dalla Corte di giustizia europea (cfr. sentenza 9.9.2021 citata) e non è, dunque, necessario un nuovo rinvio all’organo giudiziario comunitario, nemmeno per il profilo inerente al regime di monopolio in base al quale operava la ricorrente e che secondo il suo assunto la esentava dall’applicazione del regolamento; ciò per la chiarezza e l’evidenza – non solo per il giudice italiano, ma per tutti i giudici dell’Unione – dell’interpretazione del regolamento nel senso della sua inequivocabile applicabilità a tutte le imprese del settore “trasporti su strada” che operano all’interno della Comunità europea, oggi Unione europea; il principio è stato, altresì, richiamato da questa Corte nella sentenza n. 15230 del 2022 (punto 5 di pag. 7), che, peraltro, ha sottoposto alla Corte di giustizia europea due questioni pregiudiziali concernenti il regolamento attinenti a profili diversi da quello in esame nella presente fattispecie, ossia relativi alla possibilità di cumulo di itinerari tutti inferiori a 50 km svolti da un autista nell’ambito di uno stesso turno di lavoro.
3. Il secondo e il terzo motivo, connessi in quanto relativi alla espletata CTU, non possono trovare accoglimento.
3.1. Le Sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014).
Si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016).
Il che non ricorre nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per condividere l’elaborazione contabile del consulente d’ufficio e non è sufficiente a determinare il vizio radicale della nullità della sentenza né una eventuale insufficienza della motivazione, né, tanto meno, la circostanza che la medesima non soddisfi le aspettative di chi è rimasto soccombente.
3.2. Inammissibile è il terzo motivo che lamenta la violazione o falsa applicazione di norme del codice di rito, senza illustrare come i dedotti errores in procedendo compiuti dal giudice del merito avrebbero determinato la nullità del procedimento o della decisione, con doglianze che, nella sostanza, si traducono in una mera critica della valutazione di merito e dell’iter argomentativo seguito dalla Corte di appello con riferimento alla rilevata correttezza e esaustività dei conteggi della CTU.
4. Parimenti inammissibile il quarto motivo perché tende a rivalutare elementi di fatto (concernenti la frequente od occasionale reiterazione di turni di lavoro che includevano tratte superiori a 50 km) a fronte del rispetto, da parte della Corte territoriale, del criterio consolidato della necessità della prova, da parte dell’interessato, del danno subito, prova che può essere fornita anche per presunzioni.
4.1. Questa Corte ha affermato che il danno da usura psico-fisica si iscrive (Cass. Sez. Un. n. 6572 del 2006; Cass. n. 26972 del 2008) nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da fatto illecito o da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava, pertanto, l’onere della relativa specifica deduzione della prova eventualmente anche attraverso presunzioni semplici.
Al principio è stato dato seguito dalla giurisprudenza successiva che, sottolineando la distinzione del danno da usura psico-fisica rispetto al danno alla salute o biologico (Cass. n. 24180 del 2013; Cass. n. 24563 del 2016), ha sancito come la mancata fruizione dei riposi possa essere fonte di danno non patrimoniale in via presuntiva (v. Cass. n. 18884 del 2019, con la giurisprudenza ivi citata).
4.2. La Corte di appello si è conformata alla giurisprudenza di legittimità e – facendo corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale grava sul datore di lavoro dimostrare la fruizione dei riposi compensativi, quali fatti impeditivi (in tal senso Cass. n. 14710 del 2015) – ha ritenuto di desumere dalla specifica allegazione della “lunghezza dei periodi nei quali si è registrato l’inadempimento datoriale” l’anormale gravosità del lavoro e, dunque, il danno da usura psico-fisica “cagionato dal maggiore dispendio di energie necessarie per sostenere i ritmi lavorativi che, senza adeguati e cadenzati riposi, diventano oggettivamente usuranti anche per una persona esente da qualsivoglia patologia “(cfr. nello stesso senso, con riguardo a imprese di trasporto, Cass. n. 25135 del 2019, Cass. nn. 25260, 25259, 25069, 25068, 25067, 18776 del 2015). La Corte territoriale non ha, dunque, ritenuto il danno in re ipsa bensì, ricorrendo al mezzo di prova presuntivo, ha ritenuto provata l’esistenza di un danno da usura psico-fisica sulla base della maggiore gravosità dell’attività prestata durante i periodi destinati al riposo ricavata dalla valutazione della cadenza delle tratte e dei turni, prova che ha ritenuto non vinta da prova contraria fornita dal datore di lavoro. Pertanto, la censura in esame è inammissibile in quanto non individua un errore di diritto ma, piuttosto, involge apprezzamenti di merito in ordine alla sussistenza del danno nella fattispecie concreta, valutazioni in quanto tali sottratti al sindacato di questa Corte.
5. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’Avv. (…) dichiaratosi anticipatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.