Le ultime tre mensilità spettanti al dipendente, illegittimamente licenziato, a titolo di indennità risarcitoria sono coperte, in caso di fallimento del datore di lavoro, dal Fondo di garanzia dell’INPS.
Nota a Cass. (ord.) 24 marzo 2023, n. 8523
Sonia Gioia
Nell’ipotesi di licenziamento del lavoratore con atto dichiarato giudizialmente inefficace con sentenza reintegratoria pronunciata successivamente all’apertura del fallimento dell’imprenditore intervenuto medio tempore, le ultime mensilità retributive oggetto di intervento del Fondo di garanzia dell’INPS vanno individuate tra quelle cui il lavoratore ha diritto per effetto del ripristino giudiziale de jure del rapporto, non essendo a ciò di ostacolo né la ricomprensione di tali mensilità nell’indennità risarcitoria da licenziamento illegittimo, né il mancato svolgimento fattuale del rapporto a causa del fallimento del datore.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (ord., 24 marzo 2023, n. 8523, conforme ad App. Roma n. 320/2021), in relazione ad una fattispecie concernente una lavoratrice reintegrata nell’impresa nel frattempo fallita che, dopo aver inutilmente insinuato nel passivo fallimentare l’indennità risarcitoria, aveva chiesto al Fondo di garanzia, gestito dall’INPS, la corresponsione delle ultime tre mensilità corrispondenti a quelle incluse nell’indennità risarcitoria precedenti all’estinzione del rapporto per cessazione dell’impresa.
In sede amministrativa, la domanda per il pagamento delle somme relative al rapporto di lavoro era stata rigettata dall’ente previdenziale sul presupposto che i crediti vantati dalla prestatrice avevano una connotazione indennitaria e non retributiva e, in quanto tali, non erano coperti dalla garanzia del Fondo che interviene per le retribuzioni maturate negli ultimi tre mesi del rapporto.
Al riguardo, la Cassazione ha ribadito che la declaratoria di annullamento del provvedimento espulsivo per illegittimo esercizio del recesso datoriale e l’ordine giudiziale di reintegrazione producono effetti retroattivi che comportano la non interruzione de jure del rapporto lavorativo, assicurativo e previdenziale (Cass. n. 33204/2021).
L’indennità risarcitoria, spettante al lavoratore per effetto della dichiarazione giudiziale di illegittimità del recesso datoriale (ex art. 18, L. 20 maggio 1970, c.d. Statuto dei Lavoratori), ha la funzione di ripristinare lo status quo ante al licenziamento e, perciò, deve essere commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.
Essa, pertanto, deve essere calcolata non in base ad una media delle retribuzioni percepite dal dipendente prima del licenziamento ma in relazione al compenso che quest’ultimo avrebbe percepito se avesse effettivamente lavorato, in quanto, diversamente opinando, si addosserebbero al prestatore le conseguenze negative derivanti da un comportamento illegittimo tenuto dall’imprenditore (Cass. n. 2234/2023).
L’iniziativa del lavoratore intrapresa nell’ambito della verifica dei crediti disposta nel corso dell’accertamento dello stato passivo fallimentare quanto alle ultime tre mensilità dovute per effetto della sentenza di annullamento del licenziamento è coperta dalla tutela solidaristica apprestata dall’ordinamento che, in presenza dei presupposti previsti dalla legge (vale a dire l’insolvenza del datore di lavoro e l’accertamento del credito nell’ambito della procedura concorsuale, la formazione di un titolo giudiziale e l’esperimento non satisfattivo dell’esecuzione forzata), interviene per il pagamento delle ultime tre mensilità della retribuzione, ex artt. 1 e 2 D. LGS. 27 gennaio 1992, n. 80 (attuativo della Dir. 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro).
Ciò, considerato che la norma disciplinante l’intervento del Fondo di garanzia fa riferimento “ai crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro” (tre mesi di calendario o l’arco temporale compreso tra la data di cessazione del rapporto e la stessa data del terzo mese precedente) mentre non attribuisce rilevanza al titolo alla base della nascita dei diritti retributivi.
Pertanto, nell’ipotesi di licenziamento del lavoratore con atto dichiarato giudizialmente inefficace con ordine di reintegra emesso dopo l’apertura del fallimento del datore intervenuto medio tempore, le ultime mensilità poste a carico del Fondo di garanzia vanno individuate tra quelle spettanti al prestatore per effetto del ripristino, de jure, del rapporto di impiego, a nulla rilevando né che tali somme siano comprese nell’indennità risarcitoria né il mancato svolgimento di fatto della prestazione lavorativa a causa del fallimento dell’imprenditore.
Sulla base di tali considerazioni, la Cassazione ha confermato la pronuncia di merito che aveva condannato l’ente previdenziale al pagamento delle ultime tre mensilità corrispondenti a quelle incluse nell’indennità risarcitoria anteriori alla cessazione del rapporto di impiego, avendo “correttamente” qualificato come credito retributivo, inerente gli ultimi tre mesi del rapporto di impiego, l’indennità dovuta per effetto della sentenza di condanna del datore alla reintegrazione della dipendente nel posto di lavoro.