Ritenuto sproporzionato il licenziamento di un medico (adibito alla guardia notturna) che si rifiuti di soccorrere una paziente – giunta in reparto in procinto di portare a termine un aborto farmacologico – e faccia chiamare il medico, fuori servizio, che l’aveva assistita.

 Nota a Cass. 12 giugno 2023, n. 16551

 Maria Novella Bettini

Il licenziamento di un medico (adibito alla guardia notturna) che si rifiuti di soccorrere una paziente – giunta in reparto in procinto di portare a termine un aborto farmacologico – e faccia chiamare il medico fuori servizio, che l’aveva assistita è da ritenersi sproporzionato.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (12 giugno 2023, n. 16551) la quale ha annullato con rinvio la decisione dei giudici di merito (Corte d’Appello di Napoli n. 4272/2021) che aveva considerato legittimo il licenziamento disciplinare intimato da una ASL nei confronti di un medico che, mentre svolgeva il turno di guardia, si era rifiutato di soccorrere una paziente giunta in reparto in procinto di portare a termine un aborto farmacologico, avviato con l’assistenza di altro medico e aveva fatto chiamare quest’ultimo, anch’egli appartenente al medesimo reparto, ma in quel momento fuori servizio.

La Corte di Appello aveva ritenuto che “la gravità della condotta e il disvalore di essa erano tali da giustificare la massima sanzione per violazione dei doveri di sorveglianza ed intervento, ritenendo non decisiva né la qualità di obiettore di coscienza del A.A., né l’avere la paziente raggiunto direttamente il reparto senza passare per il Pronto Soccorso, trattandosi di comportamenti che non facevano venire meno l’obbligo di intervento terapeutico, né infine il fatto che non fosse emerso, ex post, un reale pericolo di vita della paziente”.

I fatti si erano svolti come segue: la paziente aveva manifestato in anticipo gli effetti del processo abortivo farmacologico indottole il giorno precedente da altro medico, Dott. B.B., ed infatti, visitata dall’ostetrica, era risultata quella notte in stato di travaglio abortivo in atto, con protrusione delle membrane amniocoriali in vagina e necessità di immediato trasferimento in sala parto.

Il medico ricorrente (A.A.), avvisato dall’ostetrica, aveva tuttavia detto “E io che devo fare? Chiama il Dott. B.B.”, che, in quel momento, non essendo in servizio notturno, si trovava a casa propria e non era né di turno, né in reperibilità.

Nell’inerzia del A.A., il B.B. era stato costretto a giungere d’urgenza in ospedale ed aveva quindi soccorso la paziente, il cui processo abortivo era giunto a termine senza ulteriori problemi e, secondo quanto accertato dalla Corte di merito, senza alcun pericolo per la vita e la salute, venendo pacificamente dimessa subito, la mattina dopo.

Nello specifico, i giudici hanno premesso che, a fronte della situazione delicata che si era rappresentata, il medico, nella sua qualità di sanitario di guardia, aveva il dovere di farsi carico dal punto di vista medico della situazione e, quindi, il suo comportamento costituiva un inadempimento degli obblighi lavorativi. In particolare, “il sanitario di guardia non poteva reagire dicendo di chiamare tout court un altro medico non in servizio e neppure in turno di reperibilità, essendo suo dovere farsi carico dal punto di vista medico della situazione”. Ciò, anche a fronte di quanto dispone il ccnl 6 maggio 2010 (art. 6, co. 3, lett. i), poi traslato nel vigente ccnl dell’area sanità – triennio 2016-2018, art. 70, co.3, lett.i)), secondo cui il medico deve “garantire, per quanto nei suoi poteri e nei suoi obblighi di servizio, il massimo rispetto dei compiti di vigilanza, operatività e continuità dell’assistenza al paziente nell’arco delle 24 ore, nell’ambito delle funzioni assegnate al dirigente, nel rispetto della normativa contrattuale vigente”.

Tuttavia, fermo restante l’inadempimento, appare trascurato, nel giudizio di merito, il principio di proporzionalità. Ed infatti:

a) far chiamare il medico di fiducia della paziente non può reputarsi un comportamento del tutto incongruo dal momento che la sollecitazione è stata quella di chiamare il medico che aveva seguito, proprio per quell’aborto, la medesima paziente, che poi è sopraggiunto ed ha seguito positivamente il caso;

b) dalla condotta del medico non sono conseguiti (né si è valutato ex ante se erano conseguibili) danni alla salute della paziente, bensì meri disagi, mentre, il ccnl 6 maggio 2010 indica, tra gli elementi da valutare rispetto al dosaggio delle sanzioni, l'”entità del danno provocato”;

c) il comportamento del medico non ha causato un tangibile discredito per l’azienda;

d) non va trascurata l’assenza di precedenti disciplinari a carico del dirigente.

Il giudice di rinvio dovrà pertanto vagliare i suddetti elementi al fine di valutare, ex novo, se, in osservanza dei parametri della contrattazione collettiva, il licenziamento costituisca una sanzione davvero proporzionata rispetto al comportamento tenuto dal medico.

Sentenza

Corte di Cassazione 12 giugno 2023, n. 16551

(Omissis)

Svolgimento del processo

1.La Corte d’Appello di Napoli, riformando la sentenza del Tribunale di Napoli Nord, ha rigettato l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato dalla A.S.L. Napoli Nord (di seguito, ASL) nei confronti di A.A., medico dell’Ospedale (Omissis), per avere egli omesso, nella sua veste di medico di guardia notturna, di soccorrere una paziente giunta in reparto in procinto di portare a termine un aborto farmacologico.

La Corte d’Appello riteneva provato l’evento e l’avere il A.A., in luogo di intervenire personalmente, fatto chiamare il medico di fiducia della paziente, anch’egli appartenente al medesimo reparto, ma in quel momento fuori servizio.

La Corte riteneva che la gravità della condotta e il disvalore di essa erano tali da giustificare la massima sanzione, per violazione dei doveri di sorveglianza ed intervento, ritenendo non decisiva nè la qualità di obiettore di coscienza del A.A., nè l’avere la paziente raggiunto direttamente il reparto senza passare per il Pronto Soccorso, trattandosi di comportamenti che non facevano venire meno l’obbligo di intervento terapeutico, nè infine il fatto che non fosse emerso, ex post, un reale pericolo di vita della paziente.

2.A.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di dieci motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso della ASL.

Motivi della decisione

1.Con i primi tre motivi, il ricorrente denuncia sotto diversi profili in relazione all’art. 360c.p.c., n. 3 e n. 5, la violazione degli artt. 2697e 2051 c.c. e art. 116 c.p.c. Ad avviso del A.A., la Corte territoriale avrebbe commesso, nel decidere, cinque errori di fatto e non avrebbe correttamente valutato il tenore delle dichiarazioni dei testi escussi, in particolare del medico di fiducia della paziente e degli altri membri del personale sanitario coinvolti nella vicenda.

Con i motivi dal quarto al nono, il ricorrente deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 – 2104 – 2105 c.c. e degli art. 6, comma 3, lett. i) e art. 8, comma 1, art. 11, lett. f) e art. 12 del CCNL di area medica, sostenendo in particolare che:

– la Corte territoriale avrebbe mal applicato i criteri interpretativi del corretto comportamento del medico in servizio previsti dal CCNL (quarto motivo);

– la Corte avrebbe erroneamente ritenuta la sussistenza di una condotta di omissione di soccorso (quinto motivo) e non avrebbe considerato che non vi erano ex ante indici di inequivoca urgenza della situazione della paziente (sesto motivo), finendo per equiparare l’omissione di soccorso all’omessa visita di una paziente senza urgenza (settimo motivo);

– erroneamente la Corte si sarebbe soffermata sul suo stato di medico obiettore, ritenendolo irrilevante, sebbene lo stesso ricorrente non avesse addotto tale elemento a sua discolpa (ottavo motivo);

– la Corte (nono motivo) avrebbe equivocato nella valutazione di alcuni elementi di fatto, in particolare l’essersi la paziente recata direttamente in reparto e non al P.S., su indicazione del medico di fiducia e con il quale aveva concordato la terapia abortiva, oltre ai rapporti terapeutici già in essere tra la medesima e tale medico.

Con l’ultimo motivo A.A. denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4, la mancata pronuncia sia da parte del Tribunale sia da parte della Corte d’Appello, della questione sulla ritorsività del licenziamento, sebbene essa fosse stata originariamente sollevata e poi riproposta in sede di gravame.

2.I primi tre motivi sono inammissibili, in quanto con essi si sottopongono alla Corte di Cassazione profili attraverso cui si pretende di ricostruire i fatti e gli esiti istruttori in modo diverso da quanto fatto dalla Corte territoriale.

Vale dunque il principio per cui i motivi non possono consistere in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice del merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148).

3.Le censure dalla quarta alla nona possono essere esaminate congiuntamente e sono fondate, limitatamente ai motivi di cui si dirà.

4.In punto di fatto è dunque acquisito, attraverso l’accertamento svolto dalla Corte di merito e destinato a resistere ai primi tre motivi di ricorso per cassazione, che una paziente, senza transitare dapprima al Pronto Soccorso, fosse giunta al reparto di Ginecologia dell’Ospedale (Omissis), ove A.A. prestava servizio in quel momento come medico di guardia.

La paziente aveva in sostanza manifestato in anticipo gli effetti del processo abortivo farmacologico indottole il giorno precedente da altro medico, Dott. Pezone ed infatti, visitata dall’ostetrica, era risultata quella notte in stato di travaglio abortivo in atto, con protrusione delle membrane amniocoriali in vagina e necessità di immediato trasferimento in sala parto.

Il A.A., avvisato dall’ostetrica, aveva tuttavia detto “E io che devo fare? chiama il Dott. B.B.”, che, in quel momento, non essendo in servizio notturno, si trovava a casa propria e non era nè di turno, nè in reperibilità.

Nell’inerzia del A.A., il B.B. era stato costretto a giungere d’urgenza in ospedale ed aveva quindi soccorso la paziente, il cui processo abortivo era giunto a termine senza ulteriori problemi e, secondo quanto accertato dalla Corte di merito, senza alcun pericolo per la vita e la salute, venendo pacificamente dimessa subito, la mattina dopo.

5.Il collegio ritiene che la Corte di merito non abbia errato nell’individuare nei comportamenti così tenuti dal ricorrente i tratti di un inadempimento rispetto ai propri obblighi lavorativi.

Anche senza richiamare il disposto dell’art. 6, comma 3, lett. i del CCNL 6.5.2010 (secondo cui il medico deve “garantire, per quanto nei suoi poteri e nei suoi obblighi, il massimo rispetto dei compiti di vigilanza, operatività e continuità dell’assistenza al paziente nell’arco delle 24 ore, nell’ambito delle funzioni assegnate al dirigente, nel rispetto della normativa contrattuale vigente”), è evidente che, a fronte di una situazione delicata a lui rappresentata, il sanitario di guardia non poteva reagire dicendo di chiamare tout court un altro medico non in servizio e neppure in turno di reperibilità, essendo suo dovere farsi carico dal punto di vista medico della situazione.

Non è neanche vero che la Corte territoriale abbia ravvisato una condotta tipica di omissione di soccorso, nell’accezione penalistica del termine, avendo solo verificato l’inadempimento di cui si è detto e ciò comporta la sostanziale infondatezza del quinto motivo.

È poi irrilevante il fatto che la Corte d’Appello abbia argomentato sull’assenza di una scriminante nell’essere il ricorrente obiettore di coscienza, perché neppure il A.A. aveva sostenuto tale tesi e dunque l’ottava censura, con cui si sottolinea tale “eccesso” motivazionale è superflua e va rigettata.

6.Appaiono viceversa fondate le censure, da identificare nel quinto, sesto, settimo e nono motivo, con le quali si evidenzia come, fermo quell’inadempimento, siano stati trascurati, nel giudizio di coerenza tra le condotte tenute e le fattispecie collettive di riferimento e più in generale rispetto al principio di proporzionalità, una serie di elementi che inficiano le conseguenti sussunzioni e valutazioni giuridiche.

Il CCNL integrativo del 6 maggio 2010 indica, tra gli elementi da valutare rispetto al dosaggio delle sanzioni, l'”entità del danno provocato”, ma, nel caso di specie, è emerso che nessun danno reale vi è stato per la paziente, tutto riducendosi a meri disagi, per la stessa e per il Dott. B.B. chiamato ad intervenire quando era in riposo.

Neppure sono emersi elementi di tangibile discredito per l’azienda, al di là delle persone strettamente coinvolte nell’episodio.

Inevitabilmente, poi, una valutazione di proporzionalità, ma anche il corretto dosaggio della sanzione – richiesto dalla menzionata contrattazione collettiva ove essa fa riferimento alla rilevanza dell’infrazione e dell’inosservanza degli obblighi violati – non possono rendere superflua ogni valutazione, in realtà mancata, rispetto alla reale esistenza ex ante di un rischio serio di danno alla salute.

Ancora poi, quale circostanza generica ma pur sempre emersa nell’ambito dei dati di fatto riepilogati, vi è da considerare che, alla fine, il comportamento tenuto – sebbene, lo si ripete, non adempiente in quanto il A.A. doveva intervenire di persona – non era totalmente incongruo, perché la sollecitazione è stata quella di chiamare il medico che aveva seguito, proprio per quell’aborto, la medesima paziente, che poi è sopraggiunto ed ha seguito positivamente il caso.

Infine, non può esser trascurata l’assenza di precedenti disciplinari a carico del dirigente.

7.L’insieme di tali aspetti, ove apprezzati nella loro concomitanza e concorrenza, rendono la valutazione di gravità manifestamente incoerente rispetto ad una sanzione di massima incidenza come il licenziamento e necessitano una valutazione ex novo di tale aspetto, da svolgere verificando, oltre all’effettiva consistenza dei menzionati elementi, l’adeguatezza della sanzione applicata, o di altra meno grave, sotto il profilo della proporzionalità, in sé ed in osservanza dei parametri della contrattazione collettiva.

8.Ciò già comporta la cassazione della sentenza impugnata.

9. è peraltro parimenti fondato il decimo motivo.

Infatti, in una con l’incompleta valutazione sulla proporzionalità, la Corte ha omesso di considerare la pur dedotta (e coltivata in appello) ipotesi della ritorsività e ciò dovrà essere parimenti oggetto di disamina in sede di rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto, il sesto, il settimo, il nono ed il decimo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2023

Medico che rifiuta il soccorso: il licenziamento è sproporzionato (Cass. n. 16551/2023)
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