Il provvedimento espulsivo irrogato al dipendente che, senza fornire alcuna giustificazione, si rifiuti di partecipare alle attività formative, come richiestogli dal superiore gerarchico, è legittimo.
Nota a Cass. (ord.) 9 maggio 2023, n. 12241
Sonia Gioia
Il rifiuto opposto dal lavoratore, in modo persistente e volontario e senza alcuna giustificazione, alla richiesta datoriale di svolgere le attività di formazione e accrescimento professionali indispensabili per il proficuo espletamento della prestazione lavorativa costituisce un’insubordinazione di “rilevante gravità” che si pone “in aperto contrasto” con l’obbligo di diligenza e di esecuzione delle disposizioni datoriali ed è, perciò, meritevole della sanzione espulsiva.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (ord., 9 maggio 2023, n. 12241, conforme ad App. Roma n. 4418/2018), in relazione ad una fattispecie concernente il licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato ad un lavoratore, impiegato con mansioni di tecnico informatico, che, senza fornire valide spiegazioni, si era rifiutato di approfondire lo studio di alcuni sistemi operativi, come richiestogli dal superiore gerarchico, e di collaborare attivamente nello svolgimento di attività di aggiornamento dei sistemi presso un’azienda cliente, seppur rientranti nelle sue competenze sistemiche generali.
Nel giudizio di merito, la Corte d’Appello, in conformità con il giudice di prime cure, aveva ritenuto che il rifiuto del prestatore di svolgere la formazione sollecitata – che non avrebbe comportato spese a suo carico né la necessità di usufruire di permessi o di sacrificare il proprio tempo libero – e il “comportamento passivo e privo di collaborazione” tenuto presso il cliente costituivano una grave insubordinazione, giudicando la sanzione espulsiva irrogata dall’azienda “una misura proporzionata, anche in ragione della volontarietà del comportamento posto in essere dal dipendente”.
Al riguardo, la Cassazione ha rilevato che:
- il lavoratore è tenuto a svolgere le proprie mansioni usando la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta e dall’interesse dell’azienda e ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende, comprese quelle relative alle esigenze di formazione e accrescimento professionale necessarie per un proficuo impiego (art. 2104 c.c.);
- il rifiuto di svolgere i corsi di formazione richiesti dall’azienda, quando opposto in modo persistente e volontario e senza fornire alcuna giustificazione, integra gli estremi della grave insubordinazione, in quanto è idoneo a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle disposizioni datoriali nel quadro dell’organizzazione aziendale;
- tale condotta, ponendosi in aperto contrasto con l’obbligo contrattuale di diligenza ed esecuzione delle direttive imprenditoriali, è sanzionabile con l’irrogazione, da parte della società datrice, del licenziamento disciplinare.
Sulla base di tali considerazioni, la Cassazione, nell’osservare che la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state date le nozioni legali di giusta causa, giustificato motivo soggettivo e di proporzionalità della sanzione espulsiva (v., fra tante, Cass. n. 18715/2016; Cass. n. 21214/2009; Cass. n. 25743/2007), ha statuito che la condotta inadempiente del lavoratore, che si era protratta in modo persistente e volontario, non poteva essere ricondotta nella fattispecie della “lieve insubordinazione nei confronti dei superiori” né in quella di chi esegue “negligentemente o con voluta lentezza il lavoro affidatogli”, entrambe punite con la sanzione conservativa (ai sensi degli artt. 8 e 9 CCNL industria metalmeccanica privata) ma costituiva un grave atto di insubordinazione, legittimando il licenziamento disciplinare.
Sentenza
Corte di Cassazione, ord., 9 maggio 2023, n. 12241
(Omissis)
Svolgimento del processo
1.La Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da A.A., confermando la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata l’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo soggettivo al medesimo intimato dalla (Omissis) Spa il 5.2.2016.
2.La Corte territoriale ha escluso la tardività del provvedimento di recesso comunicato con lettera raccomandata del 5.2.2016, il giorno stesso dell’audizione del lavoratore, e quindi nel rispetto del termine di sei giorni fissato dalla contrattazione collettiva; ha ritenuto che fossero dimostrate, in base alle prove raccolte, le condotte contestate al dipendente con due distinte lettere entrambe del 21.1.2016; in particolare, ha accertato, in merito alla prima contestazione, che il lavoratore si era rifiutato di approfondire lo studio dei sistemi operativi (Omissis), come richiestogli dal suo diretto superiore gerarchico, sebbene non impegnato in altre commesse; ha inoltre accertato che la formazione sollecitata non avrebbe comportato spese a carico del dipendente, né la necessità di usufruire di permessi o di sacrificare il proprio tempo libero, risultando infondate le giustificazioni addotte dal lavoratore a sostegno del proprio rifiuto; in ordine alla seconda contestazione, i giudici di appello hanno appurato che il lavoratore aveva tenuto un comportamento passivo e privo di spirito di collaborazione presso il cliente (Omissis) Spa, rifiutando di svolgere attività di aggiornamento dei sistemi presso questa società sebbene rientranti nelle sue competenze sistemistiche generali; hanno giudicato la condotta di insubordinazione di rilevante gravità e la sanzione espulsiva quale misura proporzionata, anche in ragione della volontarietà del comportamento posto in essere dal dipendente.
3.Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La (Omissis) Spa ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, concernente il formale inquadramento del lavoratore come “riparatore”, a cui è stato chiesto di operare come “sistemista”, con conseguente inesigibilità della pretesa datoriale in relazione alle concrete competenze del medesimo, valutabile quanto meno sotto il profilo della intensità del dolo o della colpa; inoltre, violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106e 2119 c.c. e vizio di motivazione per mancanza di un esplicito rifiuto del ricorrente di obbedire agli ordini datoriali.
5. Il motivo è inammissibile, anzitutto perché non specifica in che termini e in quali atti processuali di primo grado era stata posta la questione della estraneità della formazione richiesta rispetto all’inquadramento del lavoratore (a pag. 6 e ss. del ricorso per cassazione si richiamano unicamente le allegazioni fatte in sede di reclamo); inoltre, perché censura, nella sostanza, l’accertamento svolto dai giudici di merito, secondo cui le attività che il A.A. avrebbe dovuto svolgere presso il cliente (Omissis) rientravano nelle sue competenze sistemistiche generali, non risultando quindi l’inquadramento formale elemento decisivo; censura poi la valutazione fatta dalla Corte di merito sulla insubordinazione del dipendente, manifestata attraverso un atteggiamento passivo e privo di spirito di collaborazione ed il rifiuto di svolgere l’attività di aggiornamento dei sistemi presso il cliente (Omissis), così muovendosi all’esterno del perimetro di cui all’art. 360c.p.c., n. 5 (v. Cass., S.U. n. 8053e n. 8054 del 2014).
6. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti quanto alla volontà espressa dal legale rappresentante della società di licenziare il lavoratore; inoltre, violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106e 2119 c.c. e vizio di motivazione. Si assume che la sentenza impugnata ha omesso qualsiasi riferimento alla registrazione dell’incontro avvenuto il 13.1.2016 in cui il Dott. B.B. manifestò l’intenzione di licenziare, con pretestuosi procedimenti disciplinari, il A.A.; che avendo ignorato la dichiarata pretestuosità delle contestazioni, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto provato, peraltro senza motivazione, il rifiuto del lavoratore di formazione e di attività presso il cliente, senza invece valutare la documentazione prodotta dal ricorrente sui costi che il medesimo avrebbe dovuto sopportare per la formazione. Si censura, inoltre, il giudizio di proporzionalità espresso dai giudici di merito senza considerare l’inquadramento contrattuale del A.A., la sua anzianità di servizio (dieci anni), l’assenza di precedenti disciplinari, l’assenza di un esplicito rifiuto, il ruolo marginale e di mero affiancamento del medesimo presso il cliente (Omissis).
7. Anche questo motivo è inammissibile in quanto privo dei requisiti richiesti ai fini dell’art. 360c.p.c., n. 5, concernente l’omesso esame di un fatto storico, determinato e avente valore decisivo. Le critiche mosse dal ricorrente investono non fatti ma elementi probatori, per come sono stati in concreto valutati dai giudici di merito, peraltro plurimi e nessuno dei quali quindi decisivo (v. Cass. n. 28154 del 2018; Cass. n. 21439 del 2015), in una ipotesi di cd. doppia conforme, ai sensi dell’art. 348 terc.p.c..
8. Con il terzo motivo si censura la sentenza d’appello, ai sensi dell’art. 360c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106e 2119 c.c. e degli artt. 9 e 10 del c.c.n.l. industria metalmeccanica privata, per erronea applicazione dell’art. 18, comma 4, St. Lav. Si sostiene che la condotta addebitata al lavoratore doveva essere inquadrata nella fattispecie prevista dal c.c.n.l. di “lieve insubordinazione nei confronti dei superiori” oppure di chi “esegua negligentemente o con voluta lentezza il lavoro affidatogli”, entrambe punite con sanzione conservativa.
9. Neppure questo motivo può trovare accoglimento.
10. La Corte d’appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa, giustificato motivo soggettivo (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005) e di proporzionalità della misura espulsiva (cfr. Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007) ed ha motivatamente valutato la gravità dell’insubordinazione realizzata dal dipendente, senza alcuna giustificazione, in modo persistente e volontario, in aperto contrasto con l’obbligo di diligenza e di esecuzione delle disposizioni dettate dai superiori gerarchici, anche riferite alle esigenze di formazione e accrescimento professionale necessarie per il proficuo impiego del dipendente. Non vi è Spa zio per ritenere integrata la violazione di norme di diritto come denunciata e neanche risultano violate le disposizioni del contratto collettivo che prevedono, per la condotta di insubordinazione non lieve, la misura espulsiva, risultando il giudizio di proporzionalità coerente alla scala valoriale concordata dalle parti sociali.
11. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
12. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo, dichiarandosi esistenti i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre il rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 2 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2023