La retribuzione corrisposta durante le ferie e quella erogata per mancato godimento delle ferie medesime corrisponde a quella ordinaria comprensiva di ogni importo pecuniario ricevuto dal lavoratore nell’esercizio delle sue funzioni.

Nota a Cass.  26 giugno 2023, n. 18160

Flavia Durval

La retribuzione da erogare durante il periodo di godimento delle ferie “comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore”.

È quanto afferma la Corte di Cassazione (26 giugno 2023, n. 18160; conf.  Cass. n. 13425/2019).

Così va letta l’espressione «ferie annuali retribuite» contenuta nell’art. 7, Direttiva n. 88/2003. In altre parole, per la durata delle ferie annuali «deve essere mantenuta» la retribuzione ed il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria (v. CGUE 20 gennaio 2009, C-350/06 e C-520/06,). In questo modo, si vuole assicurare un livello retributivo sostanzialmente equiparabile a quello ordinario del lavoratore in atto nei periodi di lavoro. Ciò, sul presupposto che una diminuzione della retribuzione potrebbe dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie (in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione: v CGUE 13 dicembre 2018, C-155/10 e CGUE 13 aprile 2018, C-385/17) ledendo la sua salute e sicurezza (v. CGUE 13 gennaio 2022, C-514/20).

I giudici precisano altresì che anche il compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie deve “comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 37589/2021). Sul riconoscimento al lavoratore navigante in ferie di una remunerazione corrispondente alla nozione europea, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa e, dunque, comprensiva degli importi erogati a titolo di indennità di volo integrativa (cfr. Cass. n. 20216/2022, in q. sito con nota di F. DURVAL).

In questo quadro, la Cassazione si pone in linea con la Corte di merito la quale aveva correttamente verificato che “durante il periodo di godimento delle ferie al lavoratore non erano erogati dalla società compensi, quali l’incentivo per attività di condotta e l’indennità di riserva che pure erano connessi ad attività ordinariamente previste dal contratto collettivo (ex art. 28 punto 2.1. e punto 2 lett. c, c.c.n.l. mobilità/settore attività ferroviarie). Ha accertato la continuatività della loro erogazione e l’incidenza tutt’altro che residuale sul trattamento economico mensile (circa il 25/30% dello stesso). Inoltre, ha evidenziato che la tipicità dell’attività di condotta e dell’attività di riserva, propria della mansione di macchinista, deponevano nel senso che la relativa voce retributiva era intesa a compensare anche lo status professionale rivestito”.

Sentenza

Corte di Cassazione 26 giugno 2023, n. 18160

(Omissis)

Fatti di causa

1.La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza non definitiva del Tribunale della stessa città che, in parziale accoglimento del ricorso proposto dai lavoratori indicati in epigrafe tutti dipendenti della T. s.r.l. con la qualifica di macchinisti, aveva accertato il diritto al computo nella retribuzione dovuta durante le ferie dei compensi spettanti a titolo di incentivo per indennità di condotta ed indennità di riserva previsti dall’art. 54 del contratto aziendale T. del 22 giugno 2012, codificato con accordo aziendale dell’11 marzo 2015, ed aveva invece escluso che fossero computabili l’indennità di turno e pernotto, di lavoro domenicale e festivo e di trasferta. Con la sentenza definitiva, poi, quantificate le somme, aveva condannato la società al pagamento degli importi per ciascun dipendente calcolati con la consulenza contabile disposta.

1.1. La Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza della Cassazione che, con riguardo alla retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, ha ritenuto che sussiste una nozione europea di “retribuzione” che comprende qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore”.

1.2. Il giudice di appello ha poi verificato che la retribuzione erogata dalla società comprendeva la parte fissa prevista dall’art. 48.1.1. del c.c.a. e l’indennità di turno di cui all’art. 48.1.2. dello stesso contratto, mentre ne erano esclusi gli altri compensi, pure erogati incontestatamente in maniera continuativa, e segnatamente l’incentivo per attività di condotta e l’indennità di riserva sebbene fossero collegati alla prestazione delle attività di condotta e riserva e previste dal c.c.n.l. come lavoro effettivo, compensi incidenti nella misura del 25/30% sul trattamento economico mensile.

1.3. Verificata quindi la nozione contrattuale di “condotta” e di “riserva” (ai sensi dell’art. 28 punto 2.1. e punto 2 lett. c del c.c.n.l. mobilità/settore attività ferroviarie del 20.7.212) e quella di retribuzione prevista dall’accordo aziendale T. dell’11.3.2015, ha ritenuto che essendo l’attività di condotta tipica della mansione di macchinista la voce retributiva è compensativa anche dello status professionale rivestito dai ricorrenti tutti macchinisti.

1.4. Con riguardo all’attività di “riserva”, poi, la relativa indennità è stata ritenuta anch’essa rientrante nella base di calcolo della retribuzione da erogare durante le ferie, alla luce di quanto disposto dal c.c.n.l. che considera il servizio di riserva come lavoro effettivo del personale mobile turnista perché funzionale allo svolgimento del servizio e dunque della prestazione.

1.5. Quanto alla corrispondenza della retribuzione percepita nel periodo feriale sulla base della normativa interna rispetto a quella fissata imperativamente dall’art. 7 della direttiva 2003/88, come interpretata dalla Corte di Giustizia, la Corte di appello ha ribadito che occorre verificare se la retribuzione corrisposta possa costituire una dissuasione dal godimento delle ferie ed in tale prospettiva ha accertato che una diminuzione tra il 13,50% ed il 19% è effettivamente idonea a dissuadere dal beneficiarne. Ha ritenuto irrilevante, poi, ai fini del decidere la circostanza che la retribuzione delle ferie venga calcolata con riguardo al mese precedente così come il fatto che le ferie non siano mai godute per più di 15 giorni consecutivi, con conseguente riduzione del potenziale pregiudizio. La Corte ha sottolineato al riguardo che tali circostanze contingenti non erano di per sé idonee a modificare la valutazione della potenzialità dissuasiva effettuata con giudizio ex ante.

1.6. Inoltre, il giudice di appello ha escluso che, per effetto dell’interpretazione data alla nozione di retribuzione da applicare in concreto alle ferie, si possa ritenere che la stessa abbia il carattere dell’onnicomprensività. Sottolinea infatti che non tutte le componenti variabili della retribuzione entrano a far parte di quella da erogare durante le ferie ma solo quelle collegate intrinsecamente all’esecuzione delle mansioni cui il lavoratore è assegnato: quelle correlate al suo status.

1.7. Con riguardo all’assetto contrattuale complessivo ed alla violazione delle regole dell’interpretazione, il giudice di secondo grado ha ritenuto che, in disparte la novità della questione mai sollevata in primo grado, comunque, dall’esame degli accordi collettivi nazionali ed aziendali non si evincono elementi che possano convincere che le parti sociali nel quantificare le indennità abbiano inteso ricomprendervi una quota relativa all’incidenza su di esse delle ferie. Ha poi osservato che l’effetto disincentivante alla fruizione delle ferie non sarebbe escluso e che il fine primario della disciplina è quello di assicurare il loro effettivo godimento in linea con il principio costituzionale della loro irrinunciabilità.

2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la T. s.r.l. affidato a tre motivi. I lavoratori in epigrafe indicati hanno opposto difese con tempestivo controricorso. Il Procuratore generale ha formulato conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Ragioni della decisione

3.Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della direttiva 2003\88\CE e dell’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003 oltreché dell’art. 36 della Costituzione e dell’art. 2109 del cod. civ. in relazione alla disciplina da applicarsi in tema di ferie retribuite.

3.1. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe poggiato l’intero impianto argomentativo della sentenza sull’ errato presupposto dell’efficacia vincolante dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in ordine al concetto di ferie retribuite espresso dall’art. 7 della direttiva 2003\88\CE, di cui l’art. 10 del d. lgs. n. 66 del 2003 sarebbe precipua espressione e trasposizione nel diritto interno. Ad avviso della ricorrente, al contrario, il d.lgs. n. 66 del 2003 è attuazione di direttive differenti rispetto a quella oggetto di commento da parte delle pronunce della Corte di giustizia (le direttive 93/104/CE e 2000/34/CE). Pertanto, l’interpretazione giurisprudenziale non sarebbe automaticamente applicabile in via analogica all’articolo 10 del d. lgs. n. 66 nel 2003 e tantomeno alla restante normativa interna preesistente dettata dall’articolo 2109 del cod.civ. e dall’art. 36 della Costituzione.

La CGUE è interprete del diritto dell’unione ma spetta al giudice nazionale farne discendere la risoluzione del caso concreto.

4. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 Cost. e dell’art. 2109 cod. civ. in relazione alla definizione ed al concetto di “ferie retribuite” come espressi dalla Cassazione ai quali la sentenza non si è uniformata. Conseguentemente denuncia la violazione e falsa applicazione della normativa contrattuale di riferimento in T. ed in particolare con riferimento all’art. 20.3. del contratto collettivo aziendale T..

4.1. Sostiene la società che i giudici d’appello si sarebbero discostati dai principi espressi dalla Cassazione in materia di determinazione e quantificazione della retribuzione dovuta al lavoratore durante il periodo feriale la cui nozione è rimessa alla contrattazione collettiva. Così facendo, avrebbe trascurato di considerare la previsione dell’art. 20.3 del contratto collettivo aziendale di T. che esclude dette voci dalla retribuzione feriale e vi ricomprende il minimo tabellare, gli aumenti periodici di anzianità, gli assegni ad personam pensionabili, il salario professionale e l’indennità di turno.

5. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, ancora una volta, la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della direttiva 2003/88/CE e dell’art. in relazione all’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia in tema di ferie retribuite.

5.1. Sostiene che il fine ultimo dell’interpretazione data alla disciplina dalla giurisprudenza europea sia quello di salvaguardare il diritto all’effettivo godimento delle ferie da parte dei lavoratori e, dunque, ad evitare che una retribuzione “non paragonabile” a quella “ordinaria” abbia un effetto dissuasivo sull’esercizio effettivo del diritto alle stesse.

5.2. Sottolinea che una retribuzione feriale inferiore a quella ordinaria può ben essere in linea con la giurisprudenza europea a condizione che le diminuzioni non siano tali da dissuadere il lavoratore ad esercitare il suo diritto alle ferie. Esse si pongono in contrasto con l’obiettivo perseguito dall’art. 7 della direttiva qualora la retribuzione risulti irrisoria e tale da ledere appunto il diritto irrinunciabile alle ferie.

5.3. Rileva che ove il giudice comunitario avesse inteso ritenere che la retribuzione dovesse essere identica/uguale con quella erogata durante il servizio non avrebbe utilizzato aggettivi come “paragonabile” o “in linea di principio” o, ancora, non avrebbe fatto riferimento alla diminuzione di retribuzione che fosse idonea a dissuadere i lavoratori dal godimento delle ferie.

5.4. In conclusione, ad avviso della ricorrente la sentenza sarebbe errata per aver ritenuto contraddittoriamente che la retribuzione durante il periodo di ferie deve coincidere con quella di fatto percepita nel periodo di riferimento senza tener conto del fatto che l’effettiva incidenza delle voci rivendicate era del tutto irrisoria e che tutti i ricorrenti avevano pacificamente beneficiato delle ferie.

6. In subordine chiede alla Corte di sottoporre con rinvio pregiudiziale la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea perché questa possa chiarire, attraverso l’interpretazione autentica, la ratio e il contenuto nella nozione europea di retribuzione dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie fissata dall’articolo 7 della direttiva 88/2003.

7. I tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

7.1. Occorre premettere che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, sin dalla sentenza R.S. del 2006, ha precisato che con l’espressione «ferie annuali retribuite» contenuta nell’art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, «deve essere mantenuta» la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria (nello stesso senso CGUE 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C-520/06, S. e altri). Ciò che si è inteso assicurare è una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione (cfr. C.G.U.E. W. e altri, C-155/10 del 13 dicembre 2018 ed anche la causa To.He. del 13/12/2018, C-385/17). Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. del 13/01/2022 nella causa C-514/20).

7.2. Di tali principi si è fatta interprete questa Corte che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch’essa con il d.lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass.17/05/2019 n. 13425).

7.3. Anche con riguardo al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l’indennità sostitutiva assolve, si è ritenuto che la retribuzione da utilizzare come parametro debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. 30/11/2021 n. 37589).

7.4. Proprio in applicazione della nozione c.d. “europea” di retribuzione, nell’ambito del personale navigante dipendente di compagnia aerea, poi, si è chiarito che nel calcolo del compenso dovuto al lavoratore nel periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane si deve tenere conto degli importi erogati a titolo di indennità di volo integrativa e a tal fine si è ritenuta la nullità della disposizione collettiva (l’art. 10 del c.c.n.l. Trasporto Aereo – sezione personale navigante tecnico) nella parte in cui la esclude per tale periodo minimo di ferie evidenziandosi il contrasto con l’art. 4 del d.lgs. n. 185 del 2005 (decreto di attuazione della direttiva 2000/79/CE relativa all’Accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile) interpretando tale disposizione proprio alla luce del diritto europeo che impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa (cfr. Cass. 23/06/2022 n. 20216).

7.5. È opportuno poi rammentare, come già ritenuto nella sentenza da ultimo citata, “che le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno, infatti, efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale” sicché non può prescindersi dall’interpretazione data dalla Corte Europea che, quale interprete qualificata del diritto dell’unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Le sue sentenze, pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, hanno perciò “valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012).

7.6. Nell’applicare il diritto interno il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell’Unione nell’intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Eurounitaria conformandosi all’art. 288, comma 3, TFUE. L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici, nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (cfr. CGUE 13/11/1990 causa C-106/89 M. p.8, CGUE 14/07/1994 causa C-91/92 F.i p.26, CGUE 10/04/1984 causa C-14/83 von C.. 26, CGUE 28/06/2012 causa C-7/11 C. p. 51 tutte citate da Cass. n. 22577 del 2012 alla cui più estesa motivazione si rinvia), obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella Eurounitaria, ma non è questo il caso.

7.7. A questi principi si è attenuta la Corte di merito che, come ricordato, ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita.

7.8. Ha allora verificato che durante il periodo di godimento delle ferie al lavoratore non erano erogati dalla società compensi, quali l’incentivo per attività di condotta e l’indennità di riserva che pure erano connessi ad attività ordinariamente previste dal contratto collettivo (ex art. 28 punto 2.1. e punto 2 lett. c del c.c.n.l. mobilità/settore attività ferroviarie). Ha accertato la continuatività della loro erogazione e l’incidenza tutt’altro che residuale sul trattamento economico mensile (circa il 25/30% dello stesso). Inoltre, ha evidenziato che la tipicità dell’attività di condotta e dell’attività di riserva, propria della mansione di macchinista, deponevano nel senso che la relativa voce retributiva era intesa a compensare anche lo status professionale rivestito.

7.9. Ritiene allora il Collegio che l’ interpretazione delle norme collettive aziendali che regolano gli istituti di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale oltre ad essere del tutto plausibile è in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di Lussemburgo ed in sintonia con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, che è innanzi tutto quella di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.

7.10. Con riguardo, infine, e specificatamente, alla idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, ritiene il Collegio che la sua valutazione in concreto appartiene al giudice di merito che ha plausibilmente dato conto delle ragioni per le quali l’ha ravvisata.

8. Da ultimo va rilevato che non sussistono i presupposti per procedere alla sospensione della causa e rinviare alla Corte di Giustizia perché con interpretazione autentica si pronunci sull’interpretazione da dare alla nozione europea di retribuzione durante il periodo di ferie fissata dall’art. 7 della direttiva 88/2003.

8.1. Il rinvio pregiudiziale interpretativo richiesto, infatti, pone una questione sulla quale la Corte di Giustizia si è più volte pronunciata, anche recentemente con la sentenza del 13 gennaio 2022 nella causa DS c. Koch che si è più sopra richiamata (cfr. CGUE 6 ottobre 1982 srl C. e L.G. spa contro Ministero della Sanità e 6 ottobre 2021 C-561/19 Consorzio Italian Managment). Inoltre, il problema esegetico posto non rientra nell’ambito della interpretazione dell’art. 7 della Direttiva 2003/88 (o 3 della Direttiva 2000/79).

8.2. La valutazione del caso concreto, vale a dire la verifica se alcune indennità aggiuntive legate al concreto svolgimento di una determinata mansione possano o meno essere escluse dal computo della retribuzione da erogare nei giorni per le ferie annuali, è poi attività riservata comunque al giudice nazionale e non a quello europeo che, come detto, vi ha provveduto proprio applicando le direttive provenienti dalla Corte del Lussemburgo.

9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate in dispositivo, devono essere distratte in favore dell’Avv. L.D.F. che ha dichiarato di averle anticipate. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 11.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi in favore dell’avvocato che se ne è dichiarato anticipatario.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

Ferie e retribuzione
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