Qualora il lavoratore ometta di comunicare al datore la sua detenzione, il recesso è legittimo.
Nota a Cass. 16 maggio 2023, n. 13383
Fabrizio Girolami
È legittimo il licenziamento, per assenza ingiustificata dal servizio, del dipendente pubblico ristretto in carcere che – in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede derivanti dal contratto di lavoro – abbia omesso di comunicare al datore la sua assenza, a nulla rilevando che il superiore gerarchico abbia informalmente appreso verbalmente del suo arresto dalla moglie del lavoratore.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 16 maggio 2023, n. 13383, in relazione alla vicenda di un lavoratore dipendente da una Azienda Sanitaria Locale (P.A. in senso stretto, ai sensi dell’art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 165/2001 e s.m.i.) con mansioni di operatore tecnico necroforo – assente dal servizio perché sottoposto a un periodo di detenzione in carcere in virtù di sentenza definitiva per reati non commessi nell’esercizio delle sue funzioni – che era stato licenziato per assenza ingiustificata di oltre 3 giorni (alla data della contestazione l’assenza era protratta per oltre 2 mesi) per non avere preventivamente comunicato le ragioni dell’assenza.
All’esito del giudizio di merito, la Corte d’Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto, aveva confermato la sentenza di primo grado (che aveva stabilito la legittimità del licenziamento) ritenendo che “sebbene la detenzione in carcere possa rappresentare un motivo astrattamente idoneo a giustificare l’assenza, il lavoratore, per rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto provvedere ad una tempestiva comunicazione onde porre l’azienda in condizione di riorganizzare il servizio”. A tale riguardo, sussiste in capo al lavoratore, costretto ad assentarsi dal lavoro in quanto sottoposto a detenzione, l’obbligo di comunicare al proprio datore “i motivi dell’assenza, con qualsiasi modalità, purché tempestiva ed efficace, oltre che esaustiva, cioè completa dei motivi e della durata dell’assenza, anche per consentire al datore di organizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente”.
Il dipendente aveva proposto ricorso per cassazione lamentando, tra l’altro, la mancata ammissione delle prove testimoniali richieste in ordine al fatto che la A.S.L. datrice di lavoro era a conoscenza dello stato di detenzione per averlo appreso informalmente dalla moglie del dipendente.
La Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente (e confermato la sentenza impugnata), osservando quanto segue:
- la Corte territoriale ha correttamente evidenziato le caratteristiche che deve possedere la comunicazione del lavoratore circa l’assenza dal servizio. In particolare, la stessa deve essere “tempestiva, efficace ed esaustiva, nel senso di indicare i motivi dell’assenza e la sua durata presumibile”, così da essere “funzionale, in modo da consentire al datore di approntare la sostituzione e comunque di riorganizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente”;
- nel caso di specie, il fatto che il direttore amministrativo della A.S.L. avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore la circostanza che lo stesso era stato tratto in arresto, non poteva assumere rilievo perché “l’informazione era incompleta ed inidonea a consentire al datore le valutazioni di competenza, difettando la ragione dell’arresto, la natura (cautelare o definitiva) e la durata (breve o lunga) della carcerazione”;
- pertanto, non è configurabile alcuna violazione di legge, in quanto la Corte territoriale ha disatteso le richieste istruttorie poiché ritenute “irrilevanti ai fini della decisione”;
- infine, la Corte di merito ha correttamente valutato che – se anche inizialmente il dipendente era stato impossibilitato a informare il datore di lavoro sulla sua situazione a causa dell’isolamento sanitario in carcere per 14 giorni per contenimento della diffusione del contagio da COVID-19 – avrebbe potuto in un secondo momento rendere le comunicazioni dovute al datore e aggiornarlo sullo stato di fatto.
Sentenza
Corte di Cassazione – Sentenza 16 maggio 2023, n. 13383
(Omissis)
Fatti di causa
1.– La Corte d’appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto – ha respinto il gravame proposto (…) dipendente dell’Azienda Sanitaria Locale di (…) con mansioni di operatore tecnico necroforo assegnato all’Ospedale di (…) avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnazione del licenziamento irrogatogli per assenza ingiustificata dal servizio.
1.1. – Per quanto qui rileva la Corte territoriale ha ritenuto infondati i motivi di doglianza espressi dal lavoratore (assente dal servizio dal 25/11/2020 perché ristretto in carcere dal 24/11/2020 in virtù di sentenza definitiva per reati non commessi nell’esercizio delle sue funzioni, posto in isolamento per quattordici giorni per contenimento della diffusione del contagio da covid-19, senza avere la possibilità di avvisare alcuno, essendo in ogni caso il datore di lavoro a conoscenza del fatto, come da nota del 20/01/2021 con la quale il direttore amministrativo aveva comunicato all’ufficio l’assenza del (…) per aver appreso informalmente del suo arresto dalla moglie del lavoratore), dal momento che, pur in assenza di una espressa previsione formale in tal senso, il lavoratore che abbia necessità di assentarsi dal lavoro è tenuto a comunicare al datore i motivi dell’assenza, con qualsiasi modalità, purché tempestiva ed efficace, oltre che esaustiva, cioè completa dei motivi e della durata dell’assenza, anche per consentire al datore di organizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente.
Nella specie – ha aggiunto la Corte di merito – il recesso è stato motivato dall’assenza protratta per un tempo superiore a tre giorni (alla data della contestazione superiore a due mesi), tempo già ritenuto dal c.c.n.l. idoneo a risolvere il rapporto, assenza non accompagnata da alcuna giustificazione per oltre due mesi, giacché la prima comunicazione a mezzo e-mail (incompleta) era pervenuta il 23/02/2021, mentre solo nell’incontro con i difensori, avvenuto in data 08/03/2021, erano state chiarite le circostanze della detenzione.
Pertanto, sebbene la detenzione in carcere possa rappresentare un motivo astrattamente idoneo a giustificare l’assenza, il lavoratore, per rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto provvedere ad una tempestiva comunicazione onde porre l’azienda in condizione di riorganizzare il servizio. In questo senso, risultava irrilevante il fatto che il direttore amministrativo avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore che costui era agli arresti, perché l’informazione era incompleta e non idonea a consentire all’azienda di assumere i provvedimenti necessari alla sostituzione del dipendente, in difetto di informazioni sulla ragione dell’arresto, il carattere o meno temporaneo della misura, la durata, insomma le notizie minime utili per assumere le conseguenti determinazioni.
In sintesi, una comunicazione priva dei requisiti minimi per svolgere la sua funzione, in quanto resa verbalmente, in modo assolutamente incompleto, non era idonea a giustificare un’assenza protrattasi per lungo tempo senza alcuna notizia ufficiale, considerato, peraltro, che trascorsi i quattordici giorni di isolamento sanitario, il lavoratore avrebbe ben potuto disporre per suo conto una comunicazione scritta esaustiva dei motivi dell’assenza e della durata e ciò già a dicembre 2020, mentre egli si era completamente disinteressato di aver abbandonato il posto di lavoro e di aver lasciato il datore privo di notizie in merito alla sua assenza, peraltro destinata a durare a lungo (condanna a sei anni e nove mesi di reclusione).
2.– Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il (…) articolando tre motivi, cui resiste la ASL con controricorso.
3. – Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1.– Con il primo motivo il ricorrente deduce in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonché degli artt. 115, 116, 177, 187, 188, 189, e 244 cod. proc. civ., per la mancata ammissione delle prove testimoniali richieste in ordine al fatto che il datore di lavoro fosse a conoscenza dello stato di detenzione del (…) per averlo appreso informalmente dalla di lui moglie, nonché degli artt. 2697 e 2907 cod. civ.
1.1. – Il motivo è infondato.
1.2. – La Corte territoriale ha motivato il proprio convincimento in ordine alle caratteristiche che deve possedere la comunicazione del lavoratore circa l’assenza dal servizio (tempestiva, efficace ed esaustiva, nel senso di indicare i motivi dell’assenza e la sua durata presumibile) per essere funzionale, in modo da consentire al datore di approntare la sostituzione e comunque di riorganizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente.
1.3. – Tanto premesso in linea generale, nella sentenza impugnata è stato sottolineato che, nel caso di specie, il fatto che il direttore amministrativo avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore la circostanza che lo stesso era stato tratto in arresto, non poteva assumere rilievo, perché l’informazione era incompleta ed inidonea a consentire al datore le valutazioni di competenza, difettando la ragione dell’arresto, la natura (cautelare o definitiva), la durata (breve o lunga).
1.4. – Non è dunque configurabile la dedotta violazione di legge, considerato che la Corte di merito ha disatteso le richieste istruttorie perché ritenute irrilevanti ai fini della decisione, come reso evidente dalla motivazione addotta.
2.– Con il secondo motivo il ricorrente denuncia in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., l’omessa pronuncia sulle istanze istruttorie formulate in primo grado e ribadita in appello, con violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dall’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., e dell’art. 111 Cost.
2.1. – Il secondo motivo – in disparte ogni valutazione circa l’ammissibilità della censura per i termini in cui la stessa è stata formulata – è comunque infondato per quanto già evidenziato in relazione al primo motivo, considerato che la Corte ha chiaramente e correttamente escluso la rilevanza di tali istanze istruttorie.
3.– Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. di un fatto decisivo nella definizione della controversia oggetto di discussione tra le parti consistente nella omessa ammissione della prova per testi richiesta nel giudizio di primo grado e reiterata in appello.
3.1. – Il motivo è inammissibile, in quanto ricorre nella specie la preclusione derivante dalla cd. “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., sicché il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (fra molte, Cass. Sez. 3, 28/02/2023, n. 5947), condizione non soddisfatta nella specie.
4.– Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
5.– Sussistono le condizioni processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in solido delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 4.000,00 euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.