La violazione del divieto di cumulo tra redditi da lavoro e il trattamento di quiescenza, da parte del beneficiario della pensione “quota cento” comporta la restituzione della sola quota relativa al compenso percepito e non dell’intera annualità di pensione.
Nota a Trib. Lucca 7 marzo 2023, R.G. n. 42/2022
Sonia Gioia
Nell’ipotesi di violazione del divieto di cumulo della pensione anticipata a “quota cento” con redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo oltre l’importo di 5000 Euro lordi annui, previsto dall’art. 14, co. 3, D. L. 28 gennaio 2019, n. 4 (convertito, con mod., in L. 28 marzo 2019, n. 26), il titolare del trattamento di quiescenza è tenuto alla restituzione dei soli maggiori importi percepiti a fronte dell’espletamento della prestazione lavorativa e non di tutti i ratei pensionistici dell’anno in cui è stata prestata l’attività di impiego.
Lo ha stabilito il Tribunale di Lucca (7 marzo 2023) in relazione ad una fattispecie concernente un titolare di pensione anticipata a “quota cento” che, in violazione del divieto di cumulo tra il trattamento di quiescenza e i redditi da lavoro, aveva svolto, per due giorni, attività lavorativa alle dipendenze di un’agenzia interinale, percependo una retribuzione pari a 148, 86 Euro.
All’esito del procedimento amministrativo, l’INPS, a fronte di tale prestazione di lavoro, aveva provveduto al recupero dell’intera annualità di pensione, sul presupposto che il pagamento del trattamento di quiescenza è sospeso nell’anno in cui siano stati percepiti i redditi da lavoro dipendente o lavoro autonomo per un importo superiore ai 5000 Euro lordi nonché nei mesi dell’anno, precedenti quello di compimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia, in cui siano stati percepiti tali redditi, con la conseguenza che i ratei di pensione relativi a siffatti periodi non devono essere corrisposti o, laddove siano già stati posti in pagamento, devono essere recuperati ai sensi dell’art. 2033 c.c. (Circ. INPS. n. 117/2019).
La pensione “quota cento” è una prestazione economica erogata, a domanda, ai lavoratori iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria (c.d. AGO) – che comprende il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti e le gestioni speciali per i lavoratori autonomi – e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, gestite dall’INPS, nonché ai lavoratori iscritti alla Gestione Separata che maturino, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 31 dicembre 2021, i requisiti prescritti dalla legge, vale a dire un’età anagrafica di almeno 62 anni e un’anzianità contributiva minima di 38 anni (art. 14, co. 1 e 2, D.L. n. 4 cit.).
Il trattamento pensionistico non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5000 Euro lordi annui, ex art. 14, co. 3, D.L. n. 4 cit. (sul tema v., C. Cost. 24 novembre 2022, n. 234, con nota in q. sito di F. FEDELE).
Tale disposizione normativa non indica le conseguenze previste in caso di violazione del divieto, non precisando cosa debba intendersi per non cumulabilità: essa, infatti, “non prevede il recupero dei ratei di pensione già versati in corrispondenza del periodo di percezione del reddito da lavoro, né la sospensione del pagamento della pensione né dispone che la violazione (in ipotesi anche per un periodo minimo) comporti il venir meno del diritto alla pensione per l’intero anno nell’arco del quale il pensionato abbia percepito un reddito da lavoro” che, traducendosi di fatto in una misura sanzionatoria, avrebbe richiesto una espressa previsione di legge.
Pertanto, la nozione di non cumulabilità va interpretata nel suo significato letterale, nel senso che deve escludersi che la pensione anticipata possa sommarsi con il reddito da lavoro e che, di conseguenza, la retribuzione percepita dal pensionato nell’arco temporale individuato dalla legge deve essere detratto dall’ammontare del trattamento di quiescenza, dando luogo ad un indebito di pari importo, soggetto al recupero da parte dell’INPS (App. Firenze n. 604/2022).
Una diversa interpretazione, che preveda la perdita della pensione percepita per l’intero anno, costituisce “una punizione ed un deterrente per i beneficiari della norma, dal violare la stessa, ma detta sanzione, che opportunamente calibrata sarebbe stata opportuna, non è prevista dalla norma” e si pone, inoltre, in contrasto con il principio di proporzionalità – quale principio generale dell’ordinamento comunitario e nazionale – che, in tema di sanzioni amministrative, impone di adeguare la misura punitiva alle circostanze specifiche del caso concreto, quali, ad esempio, la gravità della condotta illecita, l’entità del danno, ecc. (CGUE 8 maggio 2019, C- 712/2017; CGUE 26 aprile 2017, C-564/15; Cass. n. 1830/2019).
Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale ha osservato che, nel caso di specie, “appare iniquo e contrario ai principi europei che a fronte di una pretesa di Euro 148, 68 venga irrogata una ‘sanzione’, perché tale va qualificata la perdita della pensione percepita per l’intero anno, quasi 56 volte superiore”, condannando il pensionato alla restituzione, non dell’intera annualità del trattamento di quiescenza, ma dei soli maggiori importi percepiti a fronte della prestazione di lavoro subordinato.
Sentenza
TRIBUNALE ORDINARIO di LUCCA 7 MARZO 2023, Sezione Lavoro
causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 42/2022 promossa da: … Parte ricorrente
contro
I.N.P.S. … Parte resistente
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione:
Il ricorrente … ha presentato domanda al fine di ottenere il trattamento pensionistico con la cd. “quota 100”, ed ha iniziato a beneficiare del relativo trattamento a far data dal 1 aprile 2019.
L’I.N.P.S. con lettera dd. 12 settembre 2020 ebbe a comunicare a … il ricalcolo della pensione spettante, senza indicare nel dettaglio alcun elemento atto a comprendere le motivazioni dello stesso.
In effetti, come confessato anche in questa sede dalla parte, … ha svolto attività di lavoro dipendente tramite una agenzia interinale per due giorni, 13 e 14 luglio 2019, percependo la somma di Eruo 148,86.
A fronte di detta attività, l’ente previdenziale ha provveduto, con la ermetica comunicazione sopra indicata, a richiedere la restituzione dell’intera somma in una prima fase lorda ed in seguito netta percepita da … a titolo di pensione.
Il ricorrente ha proposto, tramite il Patronato INCA, ricorso con atto dd. 11 febbraio 2021, respinto con comunicazione dd. 15 luglio 2021.
Il ricorrente ha, quindi, introdotto il presente giudizio con ricorso dd. 16 gennaio 2022, depositato in data 17 gennaio 2022, con il quale chiedeva declaratoria di illegittimità del recupero disposto ed eseguito dall’I.N.P.S. e conseguente restituzione delle somme trattenute ed in via graduata la rideterminazione dell’importo dovuto in restituzione sulla base di quanto percepito e da ultimo nel minor importo effettivamente incassato.
Si costituiva in causa l’I.N.P.S. opponendosi a detto ricorso, argomentando in merito alla normativa speciale applicabile, ovvero al disposto di cui al d.l. 28 gennaio 2019 n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26.
Ai fini del decidere non è stata necessaria alcuna attività istruttoria, essendo la fattispecie definibile in diritto.
Occorre rilevare come trattasi di materia nuova introdotta dal 2019 su proposta del governo al fine di consentire l’accesso alla pensione ai lavoratori dipendenti prima del raggiungimento della soglia dei 67 anni, a condizione che fosse superata la cosiddetta quota 100, data dalla sommatoria dell’età anagrafica (minimo 62 anni) e degli anni di contribuzione (minimo 38 anni).
Trattasi di intervento normativo definibile “a spot” in quanto introdotto per 3 anni, dal 2019 al 2021, senza incidere in maniera organica con l’impianto del sistema pensionistico.
La norma, come giustamente richiamato anche dall’ente resistente, ha introdotto la non cumulabilità della pensione così beneficiata rispetto a redditi di lavoro dipendente ed a redditi di lavoro autonomo occasionale, purché questi entro il limite di Euro 5.000,00 annui.
Testualmente l’art. 14 al co. 3 stabilisce che “la pensione quota 100 non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui.”.
Detto articolo, oltre a trattare, a giudizio di questo giudice, in maniera ingiustificatamente diversa i redditi da lavoro dipendente rispetto a quelli da lavoro autonomo, non indica le conseguenze previste in caso di violazione non precisando cosa debba intendersi per non cumulabilità.
Su questo aspetto l’I.N.P.S. ha provveduto ad emanare proprie circolari interpretative, ed in particolare la circolare n. 117/2019, stabilendo che “il pagamento della pensione è sospeso nell’anno in cui siano stati percepiti i redditi da lavoro di cui ai precedenti paragrafi 1.1 e 1.2, nonché nei mesi dell’anno, precedenti quello di compimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia, in cui siano stati percepiti i predetti redditi. Pertanto, i ratei di pensione relativi a tali periodi non devono essere corrisposti ovvero devono essere recuperati ai sensi dell’articolo 2033 c.c. ove già posti in pagamento”.
È noto l’orientamento di questo giudice che attribuisce alle circolari ed ai messaggi degli enti pubblici valenza limitata al rapporto interno con i propri dipendenti non potendo gli stessi, atti amministrativi e di parte, assurgere a legge imperativa, neppure in via interpretativa.
Detti atti rappresentano una interpretazione equiparabile alla “dottrina” che viene liberamente valutata dal giudicante e, se del caso, condivisa dallo stesso.
Questo giudice non può condividere il contenuto della circolare richiamata negli atti dell’I.N.P.S. e basa la propria decisione su una interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie, senza necessità di sottoporre alla Corte Costituzionale la valutazione di rispetto della “Carta” della normativa in questione.
A giudizio di questo giudice, l’attività lavorativa innegabilmente svolta per ben 12 ore e 30 minuti da parte di … determina a carico dello stesso la perdita del trattamento pensionistico ricevuto, avendo egli violato l’art. 14 della L. 26/2019, ma detta violazione non può comportare, a fronte della percezione di Euro 148,68, dell’intero importo pensionistico per l’anno in questione.
Equo e legittimo appare disporre la restituzione di detto importo, secondo le modalità di legge, importo percepito per una prestazione che non avrebbe dovuto rendere.
L’interpretazione data dall’I.N.P.S. appare a questo giudice una punizione ed un deterrente per i beneficiari della norma, dal violare la stessa, ma detta sanzione, che opportunamente calibrata sarebbe stata opportuna, non è prevista dalla norma, che si limita ad affermare la non cumulabilità senza introdurre sanzioni di alcun tipo e non spetta all’ente previdenziale porre rimedio, con lo strumento amministrativo, alle lacune della legge.
Non solo, sempre secondo altro orientamento di questo giudice, va valutato anche il “principio di proporzionalità“, entrato nel nostro ordinamento per effetto di diverse pronunce della Corte di Giustizia UE in materia di sanzioni, di aiuti di Stato, di deroghe alle regole della concorrenza, che lo hanno fatto assurgere a principio generale dell’ordinamento comunitario e, quindi, nazionale.
La legge 7 agosto 1990 n. 241, nell’introdurre “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” ha stabilito all’art. 1 co. I°, nel testo in vigore susseguente alle modifiche introdotte dalla L. 15/2005 e dalla L. 69/2009 che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario.”
Tale principio impone alla P.A. che adotta un atto un giudizio fondato su tre criteri: idoneità, necessarietà, adeguatezza e proporzionalità della misura prescelta.
In materia di proporzionalità della sanzione in materia tributaria, che si ritiene applicabile anche alla materia previdenziale è sufficiente richiamare alcune pronunce della Corte di Giustizia Europea, la quale ha stabilito che “i principî di proporzionalità e di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (iva) devono essere interpretati nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, essi ostano a una norma di diritto nazionale in forza della quale la detrazione illegale dell’iva è punita con una sanzione pari all’importo della detrazione effettuata.” (Corte Giustizia Unione Europea 8 maggio 2019 n. 712/17)
Ed ancora “il principio di proporzionalità deve essere interpretato nel senso che esso osta a che, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, le autorità tributarie nazionali irroghino a un soggetto passivo, che ha acquistato un bene alla cui cessione si applica il regime dell’inversione contabile, una sanzione tributaria pari al cinquanta per cento dell’importo dell’imposta sul valore aggiunto che egli è tenuto a versare all’amministrazione tributaria, qualora quest’ultima non abbia subìto alcuna perdita di gettito e non sussistano indizi di frode fiscale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.” (Corte Giustizia Unione Europea, 26-04-2017, n. 564/15.)
Infine, anche la Corte di Cassazione ha statuito che “in tema di sanzioni amministrative tributarie, la mancanza di evasione o di detrazione fiscalmente illegittime non è ininfluente, alla stregua dei principi affermati dalla corte di giustizia dell’Unione europea, ai fini della determinazione della correlata sanzione, potendo assumere rilievo in relazione al parametro della proporzionalità: ne deriva che deve essere disapplicato, per contrasto con il diritto unionale, l’art. 6, 6° comma, d.leg. n. 471 del 1997, laddove stabilisce l’entità della sanzione per illegittima detrazione d’imposta nella misura pari allo stesso ammontare della detrazione (illegittimamente) compiuta, senza prevedere la possibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni singolo caso, dovendosi prevedere la possibilità di elevare progressivamente l’entità della sanzione al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’iva ed evitare l’evasione d’imposta.” (Cassazione sez. trib. 23 gennaio 2019 n. 1830).
Non vi è dubbio che nella fattispecie sottoposta a questo giudice, appare iniquo e contrario ai principi europei che a fronte di una pretesa di Euro 148,68, venga irrogata una “sanzione”, perché tale va qualificata la perdita della pensione percepita per l’intero anno, quasi 56 volte superiore.
Non si può, quindi, non condividere l’orientamento espresso dalla Corte di Appello di Firenze, con la sentenza 4 ottobre 2022 n. 604 che ha stabilito chiaramente che “è quindi chiaramente stabilito un divieto di cumulo tra pensione anticipata e alcuni redditi (da lavoro dipendente, oppure da lavoro autonomo oltre l’importo di euro 5.000 lordi annui), nel periodo individuato, tra la decorrenza anticipata della pensione C.d. quota cento e la maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.
Circa gli effetti della violazione del divieto la disposizione nulla dice, non prevede il recupero dei ratei di pensione già versati in corrispondenza del periodo di percezione del reddito da lavoro, né la sospensione del pagamento della pensione né dispone che la violazione (in ipotesi anche per un periodo minimo) comporti il venir meno del diritto alla pensione per l’intero anno nell’arco del quale il pensionato abbia percepito un reddito da lavoro, come sostenuto da INPS nelle proprie Circolari, ciò che — traducendosi in effetti in una sanzione — avrebbe richiesto una espressa previsione di legge, nella specie invece mancante.
È pertanto del tutto condivisibile la conclusione del primo giudice secondo cui la nozione di non cumulabilità debba interpretarsi nel suo significato letterale, nel senso che debba escludersi che la pensione anticipata possa sommarsi con il reddito da lavoro e che, in conseguenza.
il reddito di lavoro percepito nell’arco di tempo individuato dalla norma, debba essere detratto dalla pensione anticipata, dando luogo ad un indebito di pari importo, soggetto al recupero da parte dell’istituto.”
Alla luce delle argomentazioni di cui sopra, questo giudice ritiene che … debba restituire i maggiori importi percepiti a fronte della prestazione di lavoro subordinato.
Per quanto attiene le spese del giudizio, le stesse vanno poste a carico del resistente e si liquidano, tenuto conto della complessità della fattispecie anche in correlazione agli atti presupposti, come da dispositivo con l’applicazione del d.m. n. 55 del 2014, tariffario della previdenza, fascia di valore da 5.201,00 a 26.200,00 Euro, compenso per le fasi di studio e introduzione in misura media, gli altri compensi in misura minima.
P.Q.M.
Il Tribunale Civile di Lucca in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nella causa individuata come in epigrafe, ogni diversa conclusione respinta, così provvede:
a) accoglie parzialmente il ricorso proposto da … e per l’effetto dichiara lo stesso tenuto alla restituzione nelle forme e nelle misure di legge della somma di Euro 148,68;
b) condanna l’I.N.P.S., in persona del legale rappresentante in carica, al pagamento a favore di .. e per esso all’avv. … procuratore dichiaratosi antistatario, delle spese di causa che liquida complessivi Euro 3.549,00, oltre alle spese generali nella misura del 15% e C.N.P.A., ed all’I.V.A. se ed in quanto dovuta.
Sentenza resa ex articolo 429-281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale.
Lucca, 7 marzo 2023