Ai sensi dell’art. 2126 c.c. all’infermiere pubblico dipendente è dovuto il compenso per lavoro straordinario anche se autorizzato illegittimamente.

 Nota a Cass. 23 giugno 2023, n. 18063

Maria Novella Bettini

“In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c.”.

Questo, il principio espresso dalla Corte di Cassazione (23 giugno 2023, n. 18063) in un caso in cui l’infermiere di un ospedale si era visto negare dalla Corte d’appello il richiesto compenso per prestazioni svolte d’estate oltre l’orario ordinario in due diversi anni, con la motivazione dell’assenza di requisiti oggettivi (tra cui l’autorizzazione della Regione) e soggettivi richiesti dal CCNL applicato, in materia di “prestazioni aggiuntive”.

In sintesi, secondo la Corte, il diritto del lavoratore a vedersi remunerare il lavoro svolto oltre il debito orario deriva, non dalla disciplina delle “prestazioni aggiuntive”, ma da quella del lavoro straordinario, che presuppone unicamente l’autorizzazione, anche implicita, del datore di lavoro (e non anche della Regione) e spetta, a norma dell’art. 2126 c. c., anche se tale autorizzazione è illegittima (v. anche Corte Cost. 27 gennaio 2023, n. 8). Tale principio è già stato affermato anche da Cass. 8 novembre 2019, n. 28938 in materia di compenso per i turni di pronta reperibilità svolti in eccedenza ai limiti della contrattazione collettiva).

Secondo i giudici, infatti, per autorizzazione s’intende non un atto esterno alla sfera datoriale ma “il fatto che le prestazioni non siano svolte insciente o prohibente domino, ma con il consenso del medesimo; consenso alle prestazioni che può anche essere implicito e che, una volta esistente, integra gli estremi per il necessario pagamento del lavoro straordinario… e si atteggia a elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c.” (v. Cass. 22 luglio 2022, n. 23506).

La centralità dell’art. 2126 c.c. va posta in connessione anche con le tutele costituzionali del lavoro e della sua retribuzione (art. 35, co. 1 e art. 36 Cost.) che impediscono “di ravvisare ostacoli rispetto al pagamento di prestazioni comunque rese con il consenso del datore di lavoro, anche pubblico, seppur poi si evidenzino contrasti con previsioni della contrattazione collettiva, delle regole autorizzatorie per esso previste o con vincoli di spesa.

Questi ultimi, secondo l’inclinazione costituzionale di cui si è detto, non possono essere valorizzati nel senso di escludere ogni pagamento per una prestazione che sia stata resa, con il consenso di chi gerarchicamente la poteva richiedere o accettare.

Semmai il tema si sposta sul piano della responsabilità verso la Pubblica Amministrazione dei preposti che non avrebbero in ipotesi non dovuto consentire quelle lavorazioni”.

Sentenza

Corte di Cassazione, 23 giugno 2023, n. 18063

(Omissis)

Svolgimento del processo

1.A.A., infermiere presso il reparto di nefrologia dell’Ospedale di (Omissis), ha agito con decreto ingiuntivo nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di (Omissis) (di seguito, ASP), chiedendo il pagamento delle prestazioni aggiuntive rese nel servizio “dialisi estiva”, destinato a persone in ferie nella regione, pagate dall’ente negli anni antecedenti e successivi, ma non per il periodo 2013-2015.

2. La Corte d’Appello di (Omissis), riformando la pronuncia del Tribunale di (Omissis), ha disatteso la domanda, revocando il decreto ingiuntivo e ritenendo che la vicenda non fosse regolata dal CCNL richiamato dal ricorrente, in quanto riguardante il personale dirigente, ma dal D.L. 402/2001, poi recepito dal CCNL 2008/2009, norme che prevedono la necessità di autorizzazione regionale, il ricorrere di certe condizioni soggettive e la contrattazione della tariffa, tutte circostanze la cui ricorrenza non era stata allegata, senza contare che, contestualmente, gli impegni lavorativi e di spesa erano stati ridotti per rispettare i vincoli di bilancio.

3. A.A. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, mentre l’Azienda è rimasta intimata;

4. La causa, dapprima trattata presso la sezione di cui all’art. 376, comma 1, c.p.c., ove il ricorrente ha depositato memoria, è stata poi rimessa alla sezione ordinaria ed avviata alla trattazione in pubblica udienza.

Motivi della decisione

1.Deve preliminarmente dirsi che la notifica del ricorso per cassazione è da ritenere regolare.

La sentenza di appello dà atto che la ASP era difesa in quella sede dall’avv. …

Il ricorso per cassazione risulta notificato, per due volte in giorni successivi (il 1 e il 2 dicembre 2020), presso la casella Pec del predetto legale, quale risultante anche dai registri informatici e le copie analogiche degli atti notificati e di notifica, depositate in questo giudizio, sono state attestate dal difensore, ai sensi dell’art. 9, comma 1-bis L. 53/1994, come conformi agli originali informatici o trasmessi in via telematica.

Ricorrono dunque i presupposti di cui all’art. 330 c.p.c., sub specie di notifica presso il procuratore costituito.

Pertanto, tenuto conto che la sentenza è stata pubblicata il 1.6.2020 e non risulta la sua notificazione, la duplice notifica del ricorso per cassazione, in una con relata (in cui si dà atto del contenuto degli allegati) e la procura, intervenuta il 1 e il 2 dicembre 2020, con ricevute di avvenuta consegna in pari data, risulta tempestiva ed è da ritenere rituale.

2.Ciò posto, il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 115e 116c.p.c., nonché degli artt. 1375 e 2697 c.c. e degli artt. 36 e 111 della Costituzione, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e con esso si fa leva sul fatto che le prestazioni fossero state in concreto eseguite, su incarico della Azienda.

3. Dalla sentenza di appello si evince che la domanda ha riguardato la remunerazione di attività svolta dal ricorrente oltre il debito orario per l’assicurazione di prestazioni di dialisi “estiva” in favore di pazienti di altre regioni soggiornanti in Calabria.

La Corte d’Appello, rettificando il richiamo svolto dal ricorrente alla contrattazione dirigenziale, ha riportato la pretesa a quella proprie della c.d. prestazioni aggiuntive, quali regolate fino al 31.12.2003, dall’art. 1, comma 2, D.L. 402/2001 conv. con mod. in L. 1/2002 (con effetti poi prorogati dapprima al 31.12.2006 dall’art. 6-quinquies D.L. 314/2004 conv. con mod. in L. 26/2005 e quindi al 31.5.2007 dall’art. 1, comma 2, D.L. 300/2006, conv. con mod. in L. 17/2007 e quindi ulteriormente, fino all’intervenire della contrattazione collettiva per effetto dell’art. L. 120/2007) e poi regolate, attraverso il richiamo alla medesima disciplina, dall’art. 13 del CCNL 10.4.2008 (normativo 2006-2009 ed economico 2006-2007) e dall’art. 12 CCNL 31 luglio 2009 (economico 2008-2009).

La Corte di merito ha in proposito ritenuto che, essendo mancata allegazione e prova dei fatti costitutivi, tra cui l’autorizzazione regionale e le condizioni soggettive dei lavoratori (prestazione servizio a tempo pieno da almeno sei mesi; assenza di esenzioni da mansioni; etc.) e mancando una disciplina contrattuale definitoria dei compensi, la fattispecie non risultasse integrata e la domanda andasse quindi disattesa.

4. Il ragionamento della Corte territoriale è in sé corretto, sebbene non sufficiente, per quanto si andrà a dire, a sorreggere la reiezione della domanda.

5. L’ipotesi delle prestazioni “aggiuntive” è in effetti speciale, in quanto caratterizzata da elementi di fattispecie che vanno al di là della mera prestazione del lavoro su incarico datoriale, essendo necessario un previo controllo sulle risorse e di coerenza rispetto agli obiettivi sanitari, cui si riferisce evidentemente la “previa” autorizzazione regionale – esterna al datore di lavoro – richiesta dall’art. 1, comma 2, D.L. 402 cit., implicitamente confermata dalla normativa di proroga di cui si è detto ed altresì poi confermata dal rinvio alla disciplina pregressa operata dalla contrattazione collettiva, parimenti citata, che regola ratione temporis quanto oggetto di causa.

Requisiti cui giustamente la Corte territoriale aggiunge quello della fissazione tariffaria specifica di tali prestazioni, da svolgere previa consultazione sindacale.

6. Tali elementi sono risultati carenti ed anzi si può dire che pacificamente essi non ricorressero, sicché, una volta operata la qualificazione in tal senso della domanda, va da sé che la stessa dovesse essere disattesa.

In tal senso questa S.C. già si è espressa in tal senso, seppure rispetto alle prestazioni “aggiuntive” dei dirigenti medici ai sensi degli artt. 14, comma 6, CCNL 2005 e 5, comma 2, del CCNL 2000 di Area (Cass. 5 aprile 2023, n. 9413).

7. Tuttavia, l’apprezzamento dell’oggetto del contendere svolto dalla Corte territoriale è parziale e fondatamente il primo motivo di ricorso fa leva sul fatto che la ASP, quale datore di lavoro, richiese e recepì dal lavoratore le prestazioni svolte oltre il debito orario, da cui derivò anche per l’ente la percezione di “ricavi”, secondo quanto risulterebbe emergere dai documenti incorporati al ricorso per cassazione.

8. Lo svolgimento di lavoro oltre il debito orario non intercetta infatti, sotto il profilo della remunerazione, soltanto quella fattispecie delle prestazioni c.d. “aggiuntive”, ma anche quella del lavoro straordinario, in ipotesi nella variante di cui all’art. 2126c.c. ed è a tali ipotesi che l’insistenza del ricorrente sulla concreta esecuzione di prestazioni cui egli era stato “comandato” inevitabilmente riporta, in esercizio del potere-dovere di individuare, una volta denunciata la violazione di legge, la disciplina normativa regolativa della fattispecie dedotta in causa.

9. L'”autorizzazione” che viene in evidenza non è dunque è un atto esterno alla sfera datoriale, come nel caso delle prestazioni aggiuntive nei termini di cui all’art. 1 D.L. 402 cit. e successive norme di richiamo ad esso.

Per autorizzazione, in questo diverso ambito, si intende piuttosto il fatto che le prestazioni non siano svolte insciente o prohibente domino, ma con il consenso del medesimo; consenso alle prestazioni che può anche essere implicito e che, una volta esistente, integra gli estremi per il necessario pagamento del lavoro straordinario.

9.1 Ciò stato già recentemente affermato da questa S.C. Cass. 22 luglio 2022, n. 23506, ha preso le mosse dalle disposizioni dell’art. 38 del c.c.n.l. del 14 settembre 2000 per il personale del comparto Regioni ed Autonomie locali, successivo a quello dell’1.4.1999.

La norma collettiva ai commi 1 e 2, prevede che “le prestazioni di lavoro straordinario sono rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e pertanto non possono essere utilizzate come fattore ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro. Ai relativi oneri si fa fronte in ogni caso con le risorse previste dall’art. 14 del c.c.n.l. dell’1.4.1999. La prestazione di lavoro straordinario è espressamente autorizzata dal diligente, sulla base delle esigenze organizzative e di servizio individuate dall’ente, rimanendo esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione”.

Cass. 23506 cit. ha quindi precisato che “l’autorizzazione esprime il concetto che non è remunerabile il prolungamento della prestazione di lavoro frutto di libera determinazione del singolo dipendente e non strettamente collegato a esigenze di servizio preventivamente vagliate, sul piano della necessità ed utilità per la P.A., dal dirigente responsabile; per questo, rispetto ai restanti vincoli previsti dalla disciplina collettiva, essa sola, per la indispensabile funzione esplicata, si atteggia a elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c.”.

Per concluderne, in sintesi, che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. 10. Il ragionamento va qui confermato ed anzi va detto che esso resiste ai rilievi, sollecitati dal contenzioso oggetto di causa, rispetto alla coerenza delle prestazioni rispetto agli impegni di spesa.

È vero che, secondo questa S.C., le remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego possono essere riconosciute solo se in linea con le previsioni ed allocazioni di spesa e che l’accordo incoerente con esse è invalido (Cass. 21 febbraio 2022, n. 5679) e rende pertanto ripetibili eventuali pagamenti eseguiti sulla sua base (Cass. 9 maggio 2022, n. 14672).

Ciò però non consente di derogare alla disciplina, in sé centrale nell’ambito del diritto del lavoro regolato su base negoziale, di cui all’art. 2126 cc., certamente applicabile anche nel pubblico impiego.

Va anzi sottolineato l’accento su tale tutela di base dei diritti del lavoratore che è stato recentemente posto da Corte Costituzionale 27 gennaio 2023, n. 8.

La Consulta, nel vagliare la legittimità dell’art. 2033 c.c., rispetto alla ripetizione di pagamenti indebiti nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, ha evidenziato come la disciplina dell’art. 2126 c.c., in ragione della protezione da assicurata alla “causa dell’attribuzione, costituita da una attività lavorativa che è stata, di fatto, concretamente prestata, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta”, giustifica “sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia, qualora questo sia stato già erogato, l’irripetibilità del medesimo”, ponendosi, sotto quest’ultimo profilo, come uno dei parametri di equilibrio dell’ordinamento a fronte di pretese recuperatorie sproporzionate rispetto alle situazioni coinvolte, ma inevitabilmente giustificando e corroborando la centralità della norma anche ove vista sotto il profilo della prestazioni retributive che essa impone siano adempiute, pur in assenza di validità, anche solo in parte, del rapporto di lavoro e delle prestazioni rese.

D’altra parte, gli impegni di spesa possono certamente impedire di riconoscere aumenti di corrispettivo non coperti da una regolare conduzione della contrattazione o da altri presupposti necessari per il loro riconoscimento, ma non possono impedire in toto il pagamento, se la prestazione sia resa non insciente o prohibente domino o comunque in modo incoerente con la volontà del datore.

Ciò è già stato affermato rispetto ad alcune fattispecie giunte alla disamina di questa S.C. (v. Cass. 8 novembre 2019, n. 28938 in tema di compenso per i turni di pronta reperibilità svolti in eccedenza ai limiti della contrattazione collettiva) e va qui ribadito anche rispetto alla presente ipotesi.

La già menzionata centralità dell’art. 2126 c.c. va infatti posta in connessione anche con le tutele costituzionali del lavoro e della sua retribuzione (art. 35, comma 1; art. 36 Cost.), secondo un sistema che impedisce di ravvisare ostacoli rispetto al pagamento di prestazioni comunque rese con il consenso del datore di lavoro, anche pubblico, seppur poi si evidenzino contrasti con previsioni della contrattazione collettiva, delle regole autorizzatorie per esso previste o con vincoli di spesa.

10.1 Questi ultimi, secondo l’inclinazione costituzionale di cui si è detto, non possono essere valorizzati nel senso di escludere ogni pagamento per una prestazione che sia stata resa, con il consenso di chi gerarchicamente la poteva richiedere o accettare.

Semmai il tema si sposta sul piano della responsabilità verso la Pubblica Amministrazione dei preposti che non avrebbero in ipotesi non dovuto consentire quelle lavorazioni, ma non può ammettersi che il sistema giuridico, contro il disposto di norme centrali di esso, sia alla fine declinato in pregiudizio del prestatore di lavoro subordinato che abbia svolto l’attività sua propria ed alla cui tutela sono di presidio i principi costituzionali già richiamati.

10.2 è poi vero che restando al di fuori dal diritto alla retribuzione – a meno di prestazioni svolte contro norme a tutela del prestatore di lavoro – le nullità afferenti alla prestazione o alla sua richiesta che si riconnettano ad illiceità dell’oggetto o della causa.

Tale ipotesi è tuttavia palesemente estranea al caso di specie, in cui quella chiesta è la partecipazione infermieristica ad attività di dialisi estiva per pazienti di altre regioni e soggiornanti in Calabria e dunque una tipica prestazione sanitaria, propria dell’oggetto del rapporto di impiego e linearmente interna alla causa di un rapporto di lavoro subordinato.

11. Il primo motivo va dunque accolto e ciò comporta l’assorbimento del secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente adduce la violazione dell’art. 111, comma 6, della Costituzione e degli artt. 132n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), sostenendo che la motivazione della sentenza impugnata contenesse, nel denegare l’esistenza di un’autorizzazione, affermazioni inconciliabili e contraddittorie che avrebbero imposto di riconoscere dovuta la retribuzione almeno per le ore entro cui una certa delibera del Commissario straordinario ASP avrebbe ridotto l’impegno lavorativo e di spesa.

12. La cassazione della sentenza di appello determina il rinvio alla medesima Corte territoriale, la quale verificherà l’esistenza del credito retributivo sulla base di quanto sopra precisato e quindi in ragione del superamento del debito orario e con riferimento, sotto il profilo della quantificazione, alle misure unitarie orarie proprie del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva del tempo, senza attribuire rilievo ai limiti orari di ricorso allo straordinario in ipotesi previsti dalla medesima contrattazione, né ad altri vizi degli incarichi con cui è stato disposto l’impiego del lavoratore nel servizio di dialisi estiva.

13. Va anche espresso il seguente principio: “in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni c.d. “aggiuntive” ai sensi dell’art. 1D.L. 402/2001conv. con mod. in L. 1/2002, quale poi richiamato ratione temporis dalla contrattazione collettiva del comparto sanità, è subordinato al ricorrere dei presupposti tipici di esse e dunque all’autorizzazione regionale, anche a fini organizzativi e di spesa, alla presenza in capo ai lavoratori così impiegati di requisiti c.d. soggettivi e ad un’apposita determinazione tariffaria. Tuttavia, lo svolgimento oltre il debito orario di tali prestazioni di lavoro, pur in mancanza dei menzionati presupposti, comporta il diritto al riconoscimento del compenso corrispondente alla misura propria del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva di tempo in tempo vigente, in quanto la presenza del consenso datoriale, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando, se non per quanto attiene alla responsabilità dei funzionari verso la Pubblica Amministrazione, il superamento anche di limiti o di regole riguardanti la spesa pubblica, in presenza di una prestazione così acconsentita e resa”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di (Omissis) in diversa composizione.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2023

Infermiere e compenso per lavoro straordinario (Cass. n. 18063/2023)
Tag:                                                                 
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: