L’attribuzione dell’indennità di rischio ai medici di base risulta invalida in quanto il compenso aggiuntivo è stato assegnato indistintamente e in maniera automatica a tutti i medici di medicina generale convenzionati che operano sul territorio abruzzese, con violazione del contratto collettivo regionale e di quello nazionale.
Nota a Cass. (ord.) 16 maggio 2023, n. 13396
Flavia Durval
“Il rapporto convenzionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale con il s.s.n. è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi, ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali, ai sensi della L. n. 833 del 1978, art. 48 e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8; ne consegue che tale disciplina non può essere derogata da quella speciale prevista per il rientro da disavanzi economici e che le sopravvenute esigenze di riduzione della spesa devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione…”. Pertanto, l’attribuzione di tale indennità risulta invalida poiché, assegnando il compenso aggiuntivo indistintamente e in maniera automatica a tutti i medici di medicina generale convenzionati che operano sul territorio abruzzese, si pone in contrasto con la disciplina prevista dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) che riconosce alla contrattazione regionale la possibilità di prevedere incentivi aggiuntivi rispetto al compenso base solo in presenza di “particolari e specifiche” condizioni di “disagio e difficoltà”. Peraltro, il contratto collettivo regionale, di livello inferiore non può violare quello di livello nazionale a pena di nullità.
Lo afferma la Corte di Cassazione (ord.) 16 maggio 2023, n. 13396 (conf. a Cass. 3 maggio 2021, n. 11566), in merito al ricorso di alcuni medici di medicina generale convenzionati con la ASL per l’esercizio della professione di medici di base, relativamente al pagamento, quali addetti al servizio di continuità assistenziale, dell’indennità di rischio che l’Azienda aveva sospeso o ridotto sulla base di quanto previsto dalla Legge finanziaria del 2005 circa il contenimento della spesa sanitaria (riconoscendo solo le differenze retributive per il servizio di assistenza H24).
Nello specifico, i giudici precisano che:
a) il Lgs. n. 502/1992, art. 8, prevede che i rapporti con i medici di medicina generale siano regolati da apposite convenzioni triennali conformi agli accordi collettivi nazionali;
b) il L. n. 81/2004, art. 2-nonies, conv. con mod. in L. 138/2004, stabilisce che “il contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantito sull’intero territorio nazionale da convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati mediante il procedimento di contrattazione collettiva definito con l’accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano previsto dalla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, co. 9, e successive modificazioni”;
c) il contenuto degli accordi raggiunti ai sensi dei citati artt. 8 e 2-nonies esprime principi generali di regolazione del rapporto di lavoro a livello nazionale, cui sono tenute ad uniformarsi (Cass., S.U., 7 gennaio 2014, n. 67) anche eventuali norme di legge regionale (o provinciale) ed evidentemente anche la contrattazione territoriale o aziendale;
d) questo taglio “squisitamente negoziale” appare ispirato, attraverso il richiamo alle norme del pubblico impiego privatizzato (Lgs. n. 165/2001, art. 40, co. 3), ad una regola di gerarchia e competenza che non consente al contratto di livello inferiore di violare quello di livello superiore, ma solo di provvedere, nei propri margini di autonomia, in modo coerente rispetto ad esso. Ed infatti, in base all’art. 40 (Contratti collettivi nazionali e integrativi) del D.Lgs. n. 165/2001, in materia di rapporto tra i diversi livelli di negoziazione collettiva (nazionale, regionale e aziendale), “la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono”;
e) sebbene l’art. 8, D.Lgs. n. 502 cit., assicuri la modulazione dei compensi, in parte variabile, anche rispetto a prestazioni ed attività previste dagli accordi regionali, ciò “non significa che la legislazione sovverta il sistema di contrattazione nazionale parimenti istituito e le regole di gerarchia e competenza ad esso proprie”. Quindi, sulla base di un principio di gerarchia e competenza la possibilità di una normativa regionale di stabilire regole di remunerazione più adeguate rispetto alla realtà ed alla particolarità dell’ambito interessato non può porsi in contrasto con la disciplina nazionale (v. Corte Cost. n. 157/2019);
f) malgrado il vigente accordo collettivo nazionale (ACN) disponga che “nell’ambito degli accordi regionali possono essere definiti parametri di valutazione di particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell’attività convenzionale”, la regione ha riconosciuto il compenso aggiuntivo dell’indennità di rischio, per i medici della continuità assistenziale, “in modo automatico ed indifferenziato” per tutti coloro “che svolgono tale attività convenzionale nel territorio abruzzese”. E ciò, anche se la prestazione presenta “caratteristiche indefettibili, comuni a tutto il territorio italiano, in violazione quindi del criterio di specificità (“particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà”) attraverso cui l’ACN definisce gli interventi da esso demandati alla contrattazione regionale”.
Sentenza
Corte di Cassazione, ordinanza 16 maggio 2023, n. 13396
(Omissis)
Svolgimento del processo
1.con sentenza n. 227 del 4 giugno 2020, la Corte d’Appello di L’Aquila, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Avezzano, respingeva la domanda proposta, nei confronti della (Omissis) di (Omissis), dagli odierni ricorrenti, medici di medicina generale convenzionati con la ASL per l’esercizio della professione di medici di base, relativamente al pagamento, quali addetti al servizio di continuità assistenziale, dell’indennità di rischio che l’Azienda aveva sospeso o ridotto sulla base di quanto previsto dalla finanziaria del 2005 circa il contenimento della spesa sanitaria (riconoscendo solo le differenze retributive per il servizio di assistenza H24);
rilevava la Corte territoriale, in sintesi, che le esigenze di contenimento della spesa sanitaria, pur legittime, non autorizzavano la modifica unilaterale degli impegni assunti in sede di contrattazione collettiva, tanto più che l’intervento unilaterale aveva riguardato il solo corrispettivo, mentre era rimasta immutata, quanto ad impegno qualitativo e quantitativo, la prestazione richiesta al medico convenzionato;
precisava che la Delib. G.R. Abruzzo n. 592 del 2008, nel fissare alle ASL i tetti di spesa, aveva dettato le linee guida alle quali le aziende avrebbero dovuto attenersi specificando che la riduzione doveva essere attuata attraverso la riapertura dei tavoli di concertazione e ciò in attuazione di un principio generale quale è quello della vincolatività dei contratti collettivi;
anche il decreto del Commissario ad acta n. 27 del 2011 aveva escluso che le ASL potessero unilateralmente modificare i contenuti normativi ed economici degli AIR, tanto più che occorreva evitare che si producessero disparità di trattamento in ambito regionale per le medesime prestazioni ed indennità;
riteneva invece non dovute le somme pretese a titolo di indennità di rischio per l’attività riguardante la c.d. continuità assistenziale e ciò sul presupposto della nullità delle clausole della contrattazione integrativa che l’avevano prevista, ritenute in contrasto con la contrattazione nazionale di riferimento;
premetteva, sul punto, come l’art. 13 dell’AIR prevedesse per tutti i medici di continuità assistenziale un compenso aggiuntivo di 4 Euro l’ora “per i rischi legati alla tipologia dell’incarico” e faceva riferimento alla Legge Regione Abruzzo 14 del 2018, la quale aveva previsto la conferma “a tempo” dell’emolumento, nelle more dell’efficacia della Delibera di sospensione e dell’adozione di iniziative alternative; legge regionale poi dichiarata, per impugnazione promossa dallo Stato, costituzionalmente illegittima per esorbitanza nell’ambito della materia dell'”ordinamento civile” (Corte Costituzionale 25 giugno 2019, n. 157);
rilevava, in diritto, che l’art. 8 dell’Accordo Collettivo Nazionale (di seguito ACN) del 2005 aveva delineato, per tutti i medici convenzionati, guardie mediche e non, la struttura del compenso, prevedendo una quota capitaria (numero pazienti) e quote per incentivi vari, tra cui un incentivo “di processo”, ma riteneva che l’art. 4 dell’ACN, pur demandando l’attuazione in punto incentivi agli AIR, non potesse avere rilievo, perché l’indennità di rischio da “guardia medica” non rientrava tra gli incentivi di cui all’art. 8 cit.;
richiamava, poi, l’onnicomprensività del compenso, sancita dall’art. 72 dell’ACN ed affermava che, attribuendo l’indennità di rischio a tutte le “guardie mediche”, quell’onnicomprensività e la struttura della retribuzione quale delineata dall’ACN ne sarebbero risultate alterate;
inoltre, poiché, secondo l’art. 14 ACN, gli AIR potevano definire parametri di valutazione di “particolari e specifiche” condizioni di “disagio e difficoltà” della prestazione, ma l’AIR del 2006, attribuire l’indennità di rischio a tutti i medici di guardia medica avrebbe violato quel parametro di specificità, anche perché l’impegno sul territorio era differenziato per i diversi medici della continuità assistenziale e non poteva dunque ammettersi un generalizzato riconoscimento di quella voce a tutti;
pertanto, poiché la violazione dell’ACN comportava la nullità delle clausole degli AIR, la previsione dell’indennità in questione, nei termini sopra detti, era invalida e l’emolumento non poteva essere riconosciuto;
2. per la cassazione di tale decisione ricorrono i medici, affidando l’impugnazione a sei motivi;
3. la ASL di (Omissis) resiste con controricorso e propone ricorso incidentale articolato su sette motivi cui resistono, con controricorso, i medici;
4. entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1.il ricorso principale riguarda la parte della sentenza di appello che, riformando la pronuncia di primo grado, ha ritenuto l’invalidità della clausola dell’Accordo Integrativo Regionale (di seguito, AIR) che prevedeva l’indennità di rischio per i medici addetti al servizio di continuità assistenziale (c.d. “guardia medica”), escludendo quindi il riconoscimento di essa a favore del ricorrente;
1.1. il primo motivo di tale ricorso è formulato denunciando la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, del D.P.R. n. 270 del 2000, art. 57, degli artt. 3, 4, 8 e 14 dell’ACN 23.3.2005, come modificato dall’ACN 29.7.2009, nonché degli artt. 1362-1371 c.c. in relazione all’art. 13, comma 1, dell’AIR e con esso, mettendosi sostanzialmente in relazione gli artt. art. 8, 4 e 14 ACN, si sostiene che l’incentivo “di struttura” e “di processo”, alle condizioni di cui all’art. 14, poteva essere attribuito e che la particolarità stava nei “fattori di rischio e/o di difficoltà” nell’esecuzione delle guardie mediche in Abruzzo;
1.2. il secondo motivo è formulato nei termini della violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4) e, in subordine, per violazione dell’art. 72 ACN in relazione all’art. 12 preleggi ed agli artt. 8, 4, 14 e 67 ACN, manifestando la contraddizione esistente tra il ritenere l’onnicomprensività e poi ammettere che potevano darsi indennità per particolari condizioni, senza tuttavia poi riconoscerle e comunque incorrendo nella violazione dell’art. 72 ACN il quale, rispetto all’onnicomprensività, andava inteso come riguardante il solo corrispettivo orario di base e non certo l’intero corrispettivo economico spettante ai medici, ivi compreso quanto riguardante la continuità assistenziale;
1.3. il terzo motivo, volto a denunciare la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) degli artt. 14 e 24 dell’ACN, nonché degli artt. 1362 ss. c.c., in relazione all’art. 13 dell’AIR, afferma non essere vero che fosse stato violato il menzionato art. 14, perché invece con l’art. 13 AIR si era ravvisato il maggior rischio e difficoltà proprio nell’attività di guardia medica, che era più pericolosa e difficoltosa che in altre regioni (zone di montagna impervie specie in caso condizioni climatiche avverse etc.) e ciò attraverso una valutazione insindacabile di merito da parte della contrattazione collettiva;
1.4. il quarto motivo è dedicato alla denuncia di violazione degli artt. 115, 116, 416 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4) ed in subordine di omesso esame di un fatto decisivo, sostenendosi che sarebbe apodittica e sfornita di prova l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la situazione di rischio e disagio non potrebbe esservi per tutti i medici di “guardia medica”, anche perché nella memoria di costituzione e poi nelle note conclusive di primo grado si era evidenziato il fattore di rischio proprio del territorio e non c’era stata contestazione ex adverso;
1.5. il quinto motivo assume la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, del L. n. 833 del 1978, art. 48 e l’inconferenza dei richiami alla sentenza della Corte Costituzionale, rimarcando come il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 avesse ridimensionato l’esclusività di regolazione da parte degli ACN prevista dall’art. 48 cit., prevedendo espressamente Spa zi per la contrattazione regionale mentre il profilo rispetto al quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma regionale riguardava soltanto la sfera di competenza di quest’ultima, ma non aveva a che vedere con la questione agitata nella presente causa;
1.6. infine, il sesto motivo afferma la violazione e falsa applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 4, comma 9, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40 (art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendo in diritto l’infondatezza dell’estensione ai rapporti convenzionati delle regole di nullità per violazione dell’accordo nazionale proprie del rapporto di impiego in senso stretto.
2. i motivi, con i quali si affrontano tutti i profili coinvolti dal tema del contendere, possono essere esaminati congiuntamente, secondo l’ordine logico delle questioni e sono infondati come da pronunce di questa Corte qui condivise (Cass. n. 29137/2022; Cass. n. 3922/2023; 3752/2023; 3751/2023);
2.1. va dapprima definita la relazione esistente tra la contrattazione di livello nazionale e quella regionale, nell’ambito dei rapporti convenzionati riguardanti i medici. La norma originaria si individua nella L. n. 833 del 1978, art. 48, con il quale era stato introdotto, in una evidente logica di uniformità, il principio generale per cui le convenzioni con i singoli medici dovessero essere conformi alle previsioni della contrattazione collettiva di rango nazionale;
il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, precisando ed aggiornando la medesima impostazione, ha previsto che i rapporti con i medici di medicina generale siano regolati da apposite convenzioni triennali conformi agli accordi collettivi nazionali, per la cui stipulazione era fatto rinvio alla L. n. 412 del 1991, art. 4, comma 9, e che, in origine, erano destinati a rifluire in D.P.R. n. di rango regolamentare (attraverso il rinvio alla L. n. 93 del 1983, art. 6, comma 8 e 9) e, successivamente, sono stati destinati ad essere resi esecutivi sulla base di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni;
in proposito, il D.L. n. 81 del 2004, art. 2-nonies, conv. con mod. in L. 138 del 2004, sovrapponendosi alle precedenti norme, ha stabilito che “il contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantito sull’intero territorio nazionale da convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati mediante il procedimento di contrattazione collettiva definito con l’accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano previsto dalla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 9, e successive modificazioni; tale accordo nazionale è reso esecutivo con intesa nella citata Conferenza permanente, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, art. 3”;
l’art. 4, comma 9, nella sua versione aggiornata alle modifiche ad essa apportate dalla L. n. 289 del 2002 e qui applicabile ratione temporis, prevede al contempo che “è istituita la struttura tecnica interregionale per la disciplina dei rapporti con il personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale; tale struttura, che rappresenta la delegazione di parte pubblica per il rinnovo degli accordi riguardanti il personale sanitario a rapporto convenzionale, è costituita da rappresentanti regionali nominati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano; della predetta delegazione fanno parte, limitatamente alle materie di rispettiva competenza, i rappresentanti dei Ministeri dell’economia e delle finanze, del lavoro e delle politiche sociali, e della salute, designati dai rispettivi Ministri; con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è disciplinato il procedimento di contrattazione collettiva relativo ai predetti accordi tenendo conto di quanto previsto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, artt. 40, 41, 42, 46, 47, 48 e 49”.
2.2. questa S.C. non ha mai dubitato che il contenuto degli accordi raggiunti ai sensi dei citati artt. 8 e 2-nonies esprima principi generali di regolazione del rapporto di lavoro a livello nazionale, cui sono tenute ad uniformarsi (Cass., S.U., 7 gennaio 2014, n. 67) anche eventuali norme di legge regionale (o provinciale) ed evidentemente anche la contrattazione territoriale o aziendale. Ciò è stato ritenuto sia quando gli accordi nazionali venivano acquisiti attraverso D.P.R. n. di natura regolamentare (Cass. 29 aprile 2004, n. 8244), sia quando alla fonte regolamentare si è sostituita la forma dell’esecutività sulla base di intesa Stato-Regioni (Cass., S.U., 67/2014 cit.) e quindi si è definito un taglio più squisitamente negoziale, ma pur sempre ispirato, attraverso il richiamo alle norme del pubblico impiego privatizzato (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3), ad una regola di gerarchia e competenza che non consente al contratto di livello inferiore di violare quello di livello superiore, ma solo di provvedere, nei propri margini di autonomia, in modo coerente rispetto ad esso;
sul punto, va fatto riferimento a Corte Costituzionale 25 giugno 2019, n. 157 che, nell’intervenire proprio sulla vicenda normativa che qui interessa, ha ritenuto rispetto ad essa che “particolare rilievo assume il ricordato richiamo, operato dalla L. n. 412 del 1991, art. 4, all’art. 40 (Contratti collettivi nazionali e integrativi) del D.Lgs. n. 165 del 2001, in materia di rapporto tra i diversi livelli di negoziazione collettiva (nazionale, regionale e aziendale), secondo cui la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono”;
2.3. venendo al più specifico ambito retributivo qui di interesse, il D.Lgs. n. 502 cit., art. 8 assicura la modulazione dei compensi, in parte variabile, anche rispetto a prestazioni ed attività prevista dagli accordi regionali, ma ciò non significa che la legislazione sovverta il sistema di contrattazione nazionale parimenti istituito e le regole di gerarchia e competenza ad esso proprie;
non ne resta dunque per nulla avallata la possibilità di un contrasto con la disciplina nazionale, ma solo la possibilità di stabilire regole di remunerazione più adeguate rispetto alla realtà ed alla particolarità dell’ambito regionale interessato;
ne deriva altresì che le regole del livello regionale sono invalide allorquando esse vengano a mancare del presupposto legittimante, in cui si esprime il principio di gerarchia e competenza sopra richiamato, costituito dalla coerenza o non contraddittorietà rispetto al livello nazionale;
anche da questo punto di vista va richiamato quanto affermato da Corte Costituzionale 157-2019 cit., che ha letto la relazione tra livello nazionale e livello regionale in termini di vincoli che, qualora concretamente individuabili, sono da ritenere secondo la Consulta “stringenti”, al fine di non alterare la tendenziale uniformità di disciplina sul piano nazionale, concludendosi infine nel senso che “la regolazione specifica è la risultante di una forte integrazione tra la normativa statale e la contrattazione collettiva nazionale, con una rigorosa delimitazione degli ambiti della contrattazione decentrata e con un limitato rinvio alla legislazione regionale per aspetti e materie ben definite, secondo lo schema comune al pubblico impiego contrattualizzato, come reso evidente dal ricordato richiamo operato dalla L. n. 412 del 1991, art. 4 alla disciplina del procedimento di contrattazione collettiva dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001”;
2.4. ciò posto, l’art. 8 dell’ACN individua, nel definire la struttura dei compensi, tra gli incentivi, quelli “di processo” (comma 2, lett. b) che effettivamente potrebbero riferirsi anche alle particolarità
nell’esecuzione di certe prestazioni assistenziali e che rientrano tra quelli il cui riconoscimento è riservato – a titolo retributivo, perché di remunerazioni si tratta, per quanto conseguenti a modalità particolari di svolgimento o difficoltà della prestazione – dall’art. 4 lett. j) del medesimo ACN alla contrattazione regionale, in un contesto in cui le misure dei compensi “in rapporto al tipo di attività svolte” sono rimesse dall’art. 14, comma 7, del medesimo ACN, sempre alla contrattazione regionale. Al contempo l’art. 14 del medesimo ACN, individuando i contenuti demandati alla contrattazione regionale, con il fine di cogliere le specificità locali (comma 2), nel successivo comma 9 stabilisce che, rispetto ai compensi, “nell’ambito degli accordi regionali possono essere definiti parametri di valutazione di particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell’attività convenzionale”;
tuttavia, la Corte territoriale ha ben evidenziato – ed in ciò sta una ratio decidendi del tutto logica e sufficiente a sorreggere la statuizione finale da essa assunta – come il livello regionale nel caso di specie abbia riconosciuto il compenso aggiuntivo dell’indennità di rischio, per i medici della continuità assistenziale, “in modo automatico ed indifferenziato” – si cita testualmente dalla sentenza di appello – per tutti coloro “che svolgono tale attività convenzionale nel territorio abruzzese”, laddove la prestazione presenta “caratteristiche indefettibili, comuni a tutto il territorio italiano”, in violazione quindi del criterio di specificità (“particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà”) attraverso cui l’ACN definisce gli interventi da esso demandati alla contrattazione regionale;
neppure può avallarsi la tesi, esposta nel ricorso per cassazione, secondo cui la contrattazione regionale esprimerebbe l’apprezzamento di merito per cui tutto il territorio abruzzese sarebbe caratterizzato da condizioni idonee a giustificare quel rischio, per giunta in modo diffusamente differenziato per tutti i medici di continuità assistenziale della Regione, rispetto a ciò che accade nel resto del Paese;
si tratta infatti di assunto apodittico e tutt’altro che notorio, oltre che smentito dalle valutazioni di fatto svolte dalla Corte territoriale considerazioni rispetto alle quali non assumono portata decisiva in senso contrario, anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e per la loro genericità, le circostanze addotte – di cui al quarto motivo del ricorso incidentale – sul trovarsi gli ambulatori e le strutture disseminati sull’intero territorio e “talvolta” in zone di montagna o impervie, nonché su non meglio precisate carenze di sicurezza dei mezzi e delle sedi; non potendosi poi riferire ad un insindacabile scelta di “merito” ciò che attiene ad un dato di fatto, se vi sia incoerenza rispetto all’effettiva realtà;
2.5. su tali premesse è sterile richiamarsi, rispetto ai contratti decentrati, ai canoni ermeneutici e ciò perché nessuna volontà collettiva regionale potrebbe superare quel criterio di specificità richiesto dalla normativa nazionale, attribuendo indiscriminatamente un indennizzo aggiuntivo non coerente con una reale diffusione della specificità lavorativa da esso remunerata;
3. il ricorso incidentale dell’ASL attiene, invece, alle riconosciute differenze sul servizio di assistenza H24;
3.1. con il primo motivo l’ASL di (Omissis), nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2002, artt. 1, commi 173, 176, 178 e 180, 6 dell’Intesa Stato-Regione del 23.3.2005, L. n. 266 del 2005, 1, commi 278 e 281, L. n. 296 del 2006, 1, comma 796, lett. B), e 12 preleggi, in relazione agli artt. 1399, 1418, 1419 e 1374 c.c., lamenta il disconoscimento da parte della Corte territoriale della natura autoritativa delle delibere della Regione e commissariali intervenute a contenimento della spesa sanitaria e perciò suscettibili di efficacia derogatoria della disciplina collettiva;
3.2. con il secondo motivo, posto sotto la medesima rubrica del motivo che precede, la ASL ricorrente imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente affermato che la riduzione della spesa presupponeva la modifica consensuale dell’Accordo Integrativo Regionale e la conseguente illegittimità delle deroghe disposte unilateralmente;
3.3. con il terzo motivo, ancora rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione delle norme di cui ai motivi che precedono, la ASL ricorrente imputa alla Corte territoriale l’erroneità dell’interpretazione dei provvedimenti regionali e commissariali di contenimento della spesa letti dalla Corte nel senso dell’essere l’efficacia degli stessi subordinata alla riapertura dei tavoli di concertazione;
3.4. con il quarto motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. è prospettata in relazione al carattere facoltativo delle prestazioni implicanti la corresponsione delle indennità oggetto di causa, sostenendosi che l’aver scelto di rendere le prestazioni a fronte dell’intervenuta modifica delle condizioni remunerative presupponeva l’implicita accettazione delle nuove condizioni;
3.5. con il quinto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’accordo collettivo nazionale del 23.3.2005 per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi della L. n. 421 del 1992, art. 1 e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 come modificato dal D.Lgs. n. 517 del 1993 ed in particolare dell’art. 45, nonché dell’art. 5 dell’Accordo Integrativo Regionale, la ASL ricorrente, imputa alla Corte territoriale il travisamento della natura e genere delle prestazioni implicanti l’erogazione delle indennità in questione, per essere dette prestazioni volontarie e, perciò, liberamente rinunziabili, discendendone il carattere meramente incentivante delle relative indennità;
3.6. con il sesto motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e 40 bis per non aver la Corte territoriale dato rilievo a quanto ivi previsto circa l’inapplicabilità della disciplina contrattuale implicante oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale qualora dai contratti integrativi derivino costi non rispettosi dei vincoli di bilancio;
3.7. con il settimo motivo la ASL denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 L. n. 2248 del 1865 All. E, lamentando la non conformità a diritto della disapplicazione sancita dalla Corte territoriale delle delibere attuative dei provvedimenti autoritativi di contenimento della spesa sanitaria essendo stata pronunziata in un giudizio in cui la P.A. è parte e con riferimento ad atti non qualificabili come mero antecedente logico del diritto dedotto in giudizio ma essi stessi fatti oggetto di impugnazione;
4. tutti gli esposti motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, si rivelano infondati, in quanto questa S.C. si è già ripetutamente pronunciata, con sentenze alla cui motivazione si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nelle quali si è espresso, a partire da Cass. 3 maggio 2021, n. 11566(poi seguita da diverse pronunce conformi e mai contraddette), il principio per cui “il rapporto convenzionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale con il s.s.n. è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi, ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali, ai sensi della L. n. 833 del 1978, artt. 48 e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8;
ne consegue che tale disciplina non può essere derogata da quella speciale prevista per il rientro da disavanzi economici e che le sopravvenute esigenze di riduzione della spesa devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione, dovendo pertanto considerarsi illegittimo l’atto unilaterale di riduzione del compenso adottato dalla P.A., posto che il rapporto convenzionale si svolge su un piano di parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l’esercizio dell’autonomia privata”;
5. il ricorso principale dei medici ed il ricorso incidentale della ASL di (Omissis) vanno, dunque, rigettati;
6. in ragione della reciproca soccombenza le spese processuali vanno compensate tra le parti;
7. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, ove dovuto a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2023