Qualora il contratto a tempo determinato di una lavoratrice somministrata non venga prorogato in ragione dello stato di gravidanza, si configura una discriminazione diretta.
Nota a Trib. Milano 12 giugno 2023, n. 16445
Pamela Coti
Il rifiuto di prorogare, per motivo di gravidanza, il contratto a tempo determinato di una lavoratrice pur giudicata idonea a svolgere l’attività lavorativa, rappresenta una discriminazione diretta basata sul sesso.
È quanto stabilito dal Tribunale di Milano (12 giugno 2023) in relazione al ricorso di una lavoratrice somministrata che, dopo aver comunicato al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non si vedeva rinnovato il contratto di lavoro somministrato a tempo determinato, già prorogato quattro volte.
Al riguardo il Giudice del Lavoro ha precisato che:
- l’art 25 del D.lgs. 198/2006, Codice delle pari opportunità, “ vieta le discriminazioni dirette e le discriminazioni indirette: con le prime si intendono tutte quelle disposizioni, criteri, prassi, atti, patti o comportamenti esplicitamente pregiudizievoli per la lavoratrice o il lavoratore in ragione del genere e che, comunque, determinino un trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o lavoratore in situazione analoga (art. 25, comma 1, del Codice), mentre con le seconde ci si riferisce a disposizioni, criteri, prassi, atti, patti o comportamenti, che, seppur apparentemente neutri, pongono la lavoratrice o il lavoratore in una situazione di particolare svantaggio, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa e purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari (art. 25, comma 2, del Codice).”;
- pertanto, “le discriminazioni nei confronti delle lavoratrici possono realizzarsi anche mediante criteri aggiuntivi rispetto alla semplice appartenenza al genere femminile, con la conseguenza che devono essere valutati come motivi discriminatori anche lo stato di gravidanza, lo stato matrimoniale e il puerperio”;
- l’onere della prova del trattamento discriminatorio spetta alla lavoratrice, la quale è tenuta a dimostrare i fatti o gli elementi di prova in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta. Soltanto se la lavoratrice interessata prova tali fatti o elementi si verifica un’inversione del relativo onere e spetta alla controparte dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione (sentenza del 21 luglio 2011Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 30; Corte di Giustizia 19.10.2017 in causa C – 531/15 Oter);
- “il mancato rinnovo di un contratto a termine ad una lavoratrice che si trovava in stato di gravidanza può integrare una discriminazione basata sul sesso atteso che (a parità della situazione lavorativa della medesima rispetto ad altri lavoratori e delle esigenze di rinnovo … anche con riguardo alla prestazione del contratto in scadenza della stessa lavoratrice, esigenze manifestate attraverso il mantenimento in servizio degli altri lavoratori con contratti analoghi) ben può essere significativo il fatto che le sia stato riservato un trattamento meno favorevole in ragione del suo stato di gravidanza” (Cass. n. 5476/2021).
Il Tribunale, anche sulla base del coevo rinnovo del contratto di altri colleghi di lavoro, ha valutato tali elementi una manifestazione univoca del fatto che la gravidanza costituiva, nel caso di specie, l’unica ragione della perdita di possibilità per la lavoratrice di vedersi prorogare il contratto a termine. Ed ha ritenuto che il trattamento in peius della ricorrente rispetto alle colleghe rimaste in servizio integrasse una discriminazione diretta in ragione dello stato di gravidanza. In questo quadro, i giudici hanno riconosciuto il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno per il lucro cessante costituito dalla perdita di chances. (Cass.25886 /2022).