Il licenziamento disciplinare di un dirigente che partecipi attivamente attraverso la messa a disposizione delle informazioni in suo possesso quale Direttore del Controllo di Gestione e di Chief Financial Officer al tentativo ordito dall’Amministratore e dai Vicepresidenti, teso a sovvertire la governance della società lede la fiducia in lui riposta dall’azienda ed è pertanto legittimo.
Nota a Cass. 18 luglio 2023, n. 20882
Valerio Di Bello
Il dirigente di una società, il cui rapporto di lavoro sia caratterizzato dall’elemento fiduciario che lo leghi “in maniera più o meno penetrante al datore di lavoro in ragione delle mansioni a lui affidate per la realizzazione degli obiettivi aziendali, per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o un’importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro o un comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita dal dirigente possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e quindi giustificare il licenziamento sul piano della disciplina contrattuale dello stesso. Per la legittimità del licenziamento di un dirigente è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente” stesso.
È quanto afferma la Corte di Cassazione (18 luglio 2023, n. 20882; v. anche Cass. n. 6110/2014) in relazione al ricorso di un dirigente con mansioni di Direttore del Controllo di Gestione e Chief Financial Officier (C.F.O.), diretto ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare, intimatogli per sei distinti addebiti relativi alla condotta di avere partecipato attivamente, insieme all’Amministratore delegato e a due Vice presidenti, ad un disegno occulto teso a rimuovere dalla carica il Presidente della società C.F.A.D.C.
Ciò, anche se la conoscenza dei fatti che avevano condotto al licenziamento del D.M. era avvenuta nel corso del procedimento penale a seguito della estrazione di copia degli esiti dell’accertamento tecnico irripetibile disposto dal PM sui telefoni cellulari e sui computer di quest’ultimo, da cui erano state estratte conversazioni via chat e via e-mail tra il F. e il D.M., dalle quali si traeva la prova della partecipazione di quest’ultimo al complotto.
Nello specifico, i giudici hanno precisato che il dirigente doveva restare estraneo ad ogni dinamica degli amministratori, lecita o illecita, diretta al sovvertimento della governance della società, essendo legata a questa appunto da un pregnante rapporto fiduciario con chi rappresentava la “proprietà” che lo aveva nominato e che costituiva il suo datore di lavoro.
In tema di licenziamento disciplinare del dirigente viene infatti in rilievo il criterio della giustificatezza che non si identifica con quello della giusta causa. Ne consegue che, diversamente da quanto avviene relativamente ai rapporti con la generalità dei lavoratori, “il licenziamento del dirigente non deve necessariamente costituire una extrema ratio, da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto e allorquando ogni altra misura si rivelerebbe inefficace, ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l’affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre sul dirigente. Non si pone, pertanto, un problema di proporzionalità della sanzione ma di accertamento di comportamenti che hanno determinato la perdita della fiducia”.
Secondo la giurisprudenza, infatti, “la prova formata nel procedimento penale, ancorché senza il rispetto delle relative regole poste a garanzia del contraddittorio, è ammissibile quale prova atipica nel processo civile, dove il contraddittorio è assicurato attraverso le modalità tipizzate per l’introduzione dei mezzi istruttori atipici nel giudizio, volte ad assicurare la discussione delle parti sulla loro efficacia dimostrativa in ordine al fatto da provare” (v. Cass. n. 5947/2023) “e la categoria dell’inutilizzabilità prevista ex art. 191 c.p.p. in ambito penale non rileva in quello civile, nel quale le prove atipiche sono comunque ammissibili, nonostante siano state assunte in un diverso processo in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili, poiché il contraddittorio è assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova nel giudizio, restando precluso, invece, anche in sede civile, solo l’accesso alle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente garantiti della parte contro la quale esse siano usate” (v. Cass. n. 8459/2020).
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 luglio 2023, n. 20882
Fatti di causa
1.Con la sentenza n. 101/2022 la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la pronuncia del Tribunale di Chieti che aveva respinto la domanda di A.D.M. nei confronti della F.lli D.C. di F.F.S.M. spa, di cui era dirigente con mansioni di Direttore del Controllo di Gestione e Chief Financial Officier (C.F.O.), diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare, intimatogli per i fatti descritti nella lettera di contestazione disciplinare dell’11.10.2019, con cui gli erano stati attribuiti sei distinti addebiti relativi alla condotta di avere partecipato attivamente, insieme all’amministratore delegato e a due vice presidenti, ad un disegno occulto teso a rimuovere dalla carica il Presidente della società C. F.A. D.C..
2. Per quello che interessa in questa sede, i giudici di seconde cure hanno rilevato – sulla premessa che la conoscenza dei fatti che avevano condotto al licenziamento del D.M. era avvenuta nel corso del procedimento penale iscritto al n. 1961/2019 del RGNR della Procura della Repubblica di Pescara nei confronti di F.F., a seguito della estrazione di copia degli esiti dell’accertamento tecnico irripetibile disposto dal PM sui telefoni cellulari e sui computer di quest’ultimo, da cui erano state estratte conversazioni via chat e/ via e-mail tra il F.F. e il D.M., dalle quali si traeva la prova della partecipazione di quest’ultimo al complotto contro il C. F.A. D.C.- che: a) la acquisizione degli elementi (conversazioni di cui sopra) nell’ambito del procedimento penale era rituale essendo avvenuta all’esito dell’accertamento tecnico non ripetibile ex art. 360 cpc in cui anche il difensore della parte offesa aveva diritto a partecipare, ad esaminare l’esito e ad estrarne copia; b) non era ravvisabile alcuna violazione dell’art. 4 legge n. 300/70 vertendosi in una ipotesi di un controllo del tutto estraneo all’esecuzione della prestazione lavorativa; c) né si poteva ipotizzare un illegittimo controllo difensivo su una cartella di posta elettronica in uso al lavoratore licenziato sia perché molte delle conversazioni estratte erano avvenute su chat private e/o su indirizzi di posta personale dei soggetti interessati, sia perché gli accounts e le utenze da cui era avvenuta l’estrazione appartenevano ad un terzo (F.F.); d) il controllo effettuato non era anteriore al sospetto perché l’acquisizione di tali dati non era avvenuta per effetto di controlli difensivi disposti ex art. 4 legge n. 300 del 1970, bensì attraverso la estrazione di dati del consulente della Procura della Repubblica di apparecchi e/o supporti informatici in uso a F.F.; e) conseguentemente non era invocabile, proprio per le modalità di acquisizione dei dati, alcuna inosservanza del Regolamento generale per la protezione dei dati personali; f) nessuna contestazione sostanziale sul contenuto dell’incolpazione era stata formulata; g) la contestazione degli addebiti, avvenuta l’11.10.2019, a fronte della conoscenza dei datti estratti (26.9.2019) era da considerarsi tempestiva; h) non vi era stato alcun malgoverno delle richieste istruttorie, avanzate dal D.M., da parte del primo giudice; i) erano stati dimostrati i fatti che avevano condotto al licenziamento ad nutum del Dirigente, sussistendo una giusta causa di recesso, in quanto era ravvisabile la violazione palese dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro.
3. Avverso la sentenza di secondo grado A.D.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui ha resistito con controricorso la società.
4. La Procura Generale ha depositato memoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.
5. Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1.I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 415 bis, 360 e 366 cpc, in relazione all’art. 2119 cc, per non essere stato considerato che l’atto del Pubblico Ministero di Pescara, con il quale era stato autorizzato il rilascio di copie forensi dell’accertamento irripetibile al difensore della parte offesa, era irrituale, o meglio, irregolare, non avendone l’istante diritto.
3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione o falsa applicazione dell’art. 4 co. 3 legge n. 300/1970, in relazione all’art. 2119 cc, per non avere la Corte distrettuale ritenuto che il datore di lavoro non aveva fornito ad esso ricorrente informazioni precise sulla possibilità che le sue comunicazioni “chat o whatsapp” potessero essere controllate e che si era trattato di un caso di controllo successivo effettuato in relazione ad una data in cui non era indagato né incolpato, con conseguente illegittimità dell’operato ed inutilizzabilità dei relativi risultati.
4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, della violazione o falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300 del 1970 e dell’art. 2119 cc, per avere erroneamente la Corte di appello ritenuto tempestivo il procedimento disciplinare, pur risalendo la conoscenza dei fatti molti mesi prima della contestazione avvenuta nell’ottobre 2019.
5. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 cc, per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto che egli facesse parte del complotto per procedere alla revoca del presidente della società C. F.A. D.C., non valutando correttamente le risultanze processuali e considerando, pertanto, in modo non esatto la sussistenza di una giusta causa di licenziamento.
6. Con il quinto motivo si eccepisce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della Conv. Europea dei Diritti dell’Uomo, dell’art. 15 della Cost., dell’art. 3 par. 3.2 e dell’art. 5.2 lett. B) delle Linee Guida del Garante per la posta elettronica ed internet pubblicate sulla GU n. 58 del 10.3.2007, degli artt. 3 par. 3.2, 4 par. 1 n. 11, art. 6, art. 7 par. 1 e 2, dell’art. 20 del Reg. gen. per la protezione dei dati personali UE n. 679/2016 e dell’art. 2119 cc, per non avere la Corte di appello correttamente considerato che i dati personali di esso ricorrente erano stati trattati senza il suo consenso.
7. Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità della memoria conclusionale del Procuratore Generale, sollevata dal ricorrente, per non essere stato l’atto depositato, in via telematica, entro il termine di giorni 20 antecedenti l’udienza.
8. Invero, il presente ricorso è stato fissato in una udienza pubblica. Essendo questa stata tenuta prima del 30.6.2023, ad essa si applica, in virtù del Decreto-legge n. 198/2022, ancora la disciplina emergenziale di cui all’art. 23 comma 8 bis d.l. n. 137/2020, conv. nella legge n. 176/2020.
9. Poiché non è stata chiesta, entro il venticinquesimo giorno antecedente l’udienza, la trattazione orale, il deposito delle conclusioni scritte del PG doveva avvenire, ai sensi della disposizione sopra richiamata, entro il quindicesimo giorno precedente all’udienza.
10. Nella fattispecie, la memoria conclusionale del PG è stata depositata il 24.5.2023, a fronte dell’udienza fissata l’8.6.2023 e, quindi, entro i termini di legge che non sono previsti “liberi”.
11. In ogni caso va precisato che una eventuale violazione del suddetto termine non è prevista, dalla normativa richiamata, a pena di nullità.
12. Sempre in via preliminare deve rilevarsi l’inammissibilità di tutte le questioni nuove avanzate con la memoria presentata nell’interesse del ricorrente ex art. 378 cpc in quanto detta memoria non può integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente – cioè in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione (Cass. n. 8949/2023).
13. Venendo allo scrutinio dei motivi, il primo è infondato.
14. Devono essere richiamati i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, cui si intende dare seguito, secondo i quali la prova formata nel procedimento penale, ancorché senza il rispetto delle relative regole poste a garanzia del contraddittorio, è ammissibile quale prova atipica nel processo civile, dove il contraddittorio è assicurato attraverso le modalità tipizzate per l’introduzione dei mezzi istruttori atipici nel giudizio, volte ad assicurare la discussione delle parti sulla loro efficacia dimostrativa in ordine al fatto da provare (Cass. n. 5947/2023) e la categoria dell’inutilizzabilità prevista ex art. 191 c.p.p. in ambito penale non rileva in quello civile, nel quale le prove atipiche sono comunque ammissibili, nonostante siano state assunte in un diverso processo in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili, poiché il contraddittorio è assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova nel giudizio, restando precluso, invece, anche in sede civile, solo l’accesso alle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente garantiti della parte contro la quale esse siano usate (Cass. n. 8459/2020).
15. Nel caso di specie, tale diretta lesione di interessi costituzionalmente garantiti non è ravvisabile, essendo state le informazioni, divenute poi oggetto delle contestazioni disciplinari, acquisite nell’ambito di un procedimento diretto dall’Autorità giudiziaria nel rispetto, pertanto, di un bilanciamento di diritti con altri, al pari costituzionalmente rilevanti, come quello di difesa in sede giudiziaria.
16. Il secondo motivo è anche esso non meritevole di accoglimento.
17. La Corte territoriale ha correttamente escluso che, nel caso de quo, si verta in una ipotesi di controllo difensivo illegittimo ex art. 4 legge n. 300 del 1970 perché effettivamente, nella fattispecie in esame, si tratta di acquisizione di elementi da un procedimento penale riguardante altra persona ed ottenuti da mezzi di comunicazione nella disponibilità di questa, di talché è estranea ogni problematica concernente il controllo dell’esecuzione della prestazione lavorativa attraverso l’utilizzo di apparecchiature informatiche, audio-visive o di altri strumenti.
18. Il terzo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
19. Come affermato dalla giurisprudenza consolidata da questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l’interesse del datore di lavoro all’acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest’ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l’esercizio del potere e la sanzione irrogata è invalida (cfr. tra le altre Cass. n. 19115/2013).
20. Il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per potere contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore –in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile (cfr. Cass. n. 13167 del 2009).
21. Come più volte ha avuto occasione di affermare questa Corte, il criterio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, poiché si deve tenere conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, la complessità dell’organizzazione aziendale, e la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata priva di vizi logici (cfr. tra le altre Cass. 12.1.2016 n. 281).
22. Nel caso in esame la Corte territoriale ha sottolineato, con argomentazioni esaustive e adeguate, che una effettiva e compiuta conoscenza dei fatti, da parte della società, era avvenuta a seguito della acquisizione dei dati estratti dagli apparecchi telefonici e/o dai supporti informatici in data 26.9.2019 per cui la contestazione dell’addebito, avvenuta l’11.10.2019, dopo circa due settimane, rispondeva ai criteri di immediatezza e di tempestività.
23. La suddetta valutazione, corretta giuridicamente e insindacabile in questa sede in punto di fatto, rende la censura, quindi, immeritevole di pregio.
24. Il quarto motivo è inammissibile.
25. In tema di licenziamento disciplinare del dirigente ciò che viene in rilievo è la giustificatezza che non si identifica con la giusta causa. Ne deriva che, a differenza di quanto avviene relativamente ai rapporti con la generalità dei lavoratori, il licenziamento del dirigente non deve necessariamente costituire una extrema ratio, da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto e allorquando ogni altra misura si rivelerebbe inefficace, ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l’affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre sul dirigente.
26. Non si pone, pertanto, un problema di proporzionalità della sanzione ma di accertamento di comportamenti che hanno determinato la perdita della fiducia:
la Corte distrettuale ha riscontrato tale profilo, con adeguata motivazione, ritenendo che la condotta contestata -riguardante la partecipazione attiva (attraverso la messa a disposizione delle informazioni in suo possesso quale Direttore del Controllo di Gestione e di Chief Financial Officer) del D.M. al tentativo ordito dall’amministratore F.F. e dai Vicepresidenti, teso a sovvertire la governance della società (nonché al licenziamento dei dipendenti fedeli al Presidente C. F.A. D.C.)- fosse appunto lesiva della fiducia in lui riposta.
27. E’ opportuno precisare che il D.M. era un dirigente della società, il cui rapporto di lavoro era caratterizzato dall’elemento fiduciario che lo legava in maniera più o meno penetrante al datore di lavoro in ragione delle mansioni a lui affidate per la realizzazione degli obiettivi aziendali, per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o un’importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro o un comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita dal dirigente possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e quindi giustificare il licenziamento sul piano della disciplina contrattuale dello stesso e, a tal fine, è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente. (cfr. Cass. 17.3.2014 n. 6110).
28. In quanto dirigente, poi, il D.M. doveva restare estraneo ad ogni dinamica degli amministratori, lecita o illecita, diretta al sovvertimento della governance della società, essendo legata a questa appunto da un pregnante rapporto fiduciario con chi rappresentava la “proprietà” che lo aveva nominato e che costituiva il suo datore di lavoro.
29. Le altre censure di cui al motivo sono, poi, inammissibili perché, al di là delle denunciate violazioni di legge, tendono ad una rivisitazione del merito della vicenda e ad una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentite in sede di legittimità.
30. E’ un principio ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
31. Il quinto motivo, infine, è infondato.
32. Si è già detto, con riferimento al secondo motivo, che nella fattispecie in esame esula ogni problematica in ordine alla applicabilità della disciplina di cui all’art. 4 legge n. 300 del 1970 in tema di controlli difensivi o di altro tipo.
33. Conseguentemente, va esclusa, nel caso de quo, la rilevanza e la pertinenza della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti, in particolare della pronuncia della Grande Camera del 5 settembre 2017 emessa in relazione al caso Barbulescu c/ Romania (n. 61496/08) riguardante i presupposti, in presenza dei quali, un datore di lavoro può monitorare le comunicazioni elettroniche dei propri dipendenti nel luogo di lavoro.
34. La problematica sottesa al motivo che si deve scrutinare concerne, invece, la questione se fosse legittimo che i dati personali del D.M. potessero essere trattati senza il suo consenso.
35. Orbene, in primo luogo va osservato che, nel caso di specie, può discutersi se, relativamente a quelli oggetto delle contestazioni disciplinari, si tratti di dati sensibili soggetti alla normativa del Codice per la protezione dei dati personali del 2018 (costituito dalla sintesi del Codice della Privacy con le disposizioni del Regolamento UE n. 679/2016), ovvero di fatti di cui l’interessato sia venuto a conoscenza, quale persona offesa, nell’ambito di un procedimento penale e all’esito di un accertamento tecnico non ripetibile (art. 360 cpp) che, costituendo una deroga al principio generale per cui il PM non è tenuto a coinvolgere la persona offesa e l’indagato nella fase di effettuazione degli ordinari accertamenti e rilievi, consente una forma di garanzia, sia pure non complessa -come l’incidente probatorio- attraverso la partecipazione dei difensori, parti ed eventuali consulenti tecnici, ivi compresa la estrazione di copia del risultato degli accertamenti. In secondo luogo, deve sottolinearsi che, in sede di legittimità si è precisato, con principi dettati in relazione al codice della privacy ma applicabili anche in relazione alle nuove disposizioni in materia, che, in tema di protezione dei dati personali, non costituisce violazione della relativa disciplina il loro utilizzo mediante lo svolgimento di attività processuale giacché detta disciplina non trova applicazione in via generale, ai sensi degli artt. 7, 24 e 46-47 del d.lgs. n. 193 del 2003 (cd. codice della privacy), quando i dati stessi vengano raccolti e gestiti nell’ambito di un processo; in esso, infatti, la titolarità del trattamento spetta all’autorità giudiziaria e in tal sede vanno composte le diverse esigenze, rispettivamente, di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo, per cui, se non coincidenti, è il codice di rito a regolare le modalità di svolgimento in giudizio del diritto di difesa e dunque, con le sue forme, a prevalere in quanto contenente disposizioni speciali e, benché anteriori, non suscettibili di alcuna integrazione su quelle del predetto codice della privacy (Cass. n. 9314/2023, Cass. n. 3034/2011).
36. Ciò perché la produzione in giudizio di dati personali è consentita per l’esercizio del diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare che viene sostituito dall’esercizio della funzione pubblica da parte di soggetti preposti a tale ambito (Cass. n. 8459/2020).
37. Il perseguimento dell’interesse collettivo alla giustizia, ribadita dall’art. 9 § 2 lett. f) GDPR viene, infatti, meno “ogniqualvolta le attività giurisdizionali esercitino le loro funzioni” come, nel caso in esame, nel procedimento penale da cui sono stati acquisiti i fatti posti a base degli addebiti disciplinari.
38. Le asserite violazioni di norme e disposizioni, come denunciate, sono pertanto insussistenti.
39. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
40. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
41. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.