Il dirigente medico che sostituisca il direttore responsabile di Unità Operativa Complessa non ha diritto al trattamento accessorio del sostituito.

Nota a Cass. (ord.) 29 agosto 2023, n. 25421

Maria Novella Bettini

“La sostituzione nell’incarico di dirigente medico del servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 18 del C.C.N.L. dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito ma solo la prevista indennità cd. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.”.

Così, si pronuncia la Corte di Cassazione (ord. 29 agosto 2023, n. 25421; v. anche Cass. nn. 10440/2023; 4983/2022; e 21565/2018) in merito al ricorso dell’Azienda sanitaria Toscana avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze che, per un pluriennale periodo di sostituzione, ha riconosciuto ad un dirigente medico non la sola «indennità mensile», bensì il trattamento economico previsto per l’incarico effettivamente espletato.

Nello specifico, il dirigente aveva richiesto ed ottenuto il pagamento delle differenze retributive (al netto della già percepita indennità di cui all’art. 18, co. 7, del CCNL 18.6.2000 (ndr art. 18, co. 7, del CCNL 8.6.2000) e dei relativi contributi asseritamente dovuti per le mansioni superiori di direttore responsabile di Unità Operativa Complessa (direttore responsabile dell’U.O.C. Servizio Oculistica), svolte ininterrottamente dal 1.7.2009 al 30.6.2015 (con incarico in sostituzione di altro collega andato in quiescenza).

L’azienda ha contestato la decisione della Corte d’Appello sostenendo che l’incarico in sostituzione, anche se prorogato oltre il termine massimo indicato dall’art. 18 del CCNL, rimane provvisorio e non può ricevere il medesimo trattamento economico riservato ai dirigenti di fascia superiore nominati alle condizioni e seguendo le procedure prescritte dall’art. 15-ter del D.Lgs. n. 502/1992 e dall’art. 29 del medesimo CCNL 8.6.2000 (il quale ultimo rinvia al d.P.R. n. 484/1997).

La Corte si pone in linea con tale ultima interpretazione, rilevando in particolare che:

a) alla dirigenza medica non si applica la disciplina dettata dall’art. 2103 c.c. (concetto ribadito dall’art. 15-ter del D.Lgs. n. 502/1992, inserito dal D.Lgs. n. 229/1999, nonché dall’art. 28, co. 6, del CCNL 8.6.2000, area dirigenza medica e veterinaria, secondo cui “nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse le aziende tengono conto … che data l’equivalenza delle mansioni dirigenziali non si applica l’art. 2103, comma 1, del c.c., secondo cui in caso di assegnazione a mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta. Il sostituto, quindi, non ha diritto al trattamento accessorio del sostituito, ma solo all’indennità sostitutiva prevista dalla contrattazione collettiva nazionale”;

b) tale interpretazione vale anche se l’incarico prosegue oltre i sei mesi previsti dalla normativa di

riferimento o anche oltre i dodici mesi se prorogato, in quanto, secondo la giurisprudenza costante

della Corte di Cassazione, l’indennità sostitutiva prevista dalla disciplina collettiva è adeguatamente remunerativa e non si può dunque invocare validamente il mancato rispetto dell’art. 36 Cost.;

c) “se è vero che nella proroga sine die dell’incarico provvisorio retribuito solo con l’indennità mensile si annida il pericolo di un abuso nei confronti del dirigente (gravato – sia pure con il suo consenso – di una responsabilità alla quale ordinariamente sarebbe correlato un compenso superiore), ancor più evidente sarebbe il pericolo di abuso, nei confronti di tutti gli altri aspiranti, nel caso in cui il conferimento dell’incarico provvisorio prorogato oltre l’anno venisse normalizzato sul piano retributivo, aggirando le norme imperative che, anche nell’interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione, prescrivono adeguate procedura competitive per la scelta del dirigente titolare”.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 agosto 2023, n. 25421

Fatti di causa

L’attuale controricorrente, dirigente medico presso l’Azienda Sanitaria Locale Toscana Centro, convenne in giudizio la datrice di lavoro e l’INPS per chiedere la condanna della prima al pagamento delle differenze retributive (al netto della già percepita indennità di cui all’art. 18, comma 7, del CCNL 18.6.2000 (ndr art. 18, comma 7, del CCNL 8.6.2000) ) e dei relativi contributi asseritamente dovuti per le mansioni superiori di direttore responsabile di Unità Operativa Complessa, svolte ininterrottamente dal 1°.7.2009 al 30.6.2015.

Radicatosi il contraddittorio, il Tribunale di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, respinse la domanda, ma la corte d’appello della medesima città, accogliendo il gravame del lavoratore, condannò l’Azienda a pagare la somma di € 62.881,78, in linea capitale, e a regolarizzare la posizione contributiva.

Contro la sentenza della corte territoriale l’Azienda Sanitaria ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Il lavoratore e l’INPS hanno replicato con controricorso.

La ricorrente e il lavoratore hanno depositato altresì memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data della camera di consiglio fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Ragioni della decisione

1.Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 502 del 30.12.1992, artt. 15, 15-bis e 15-ter, del d.lgs. n. 165 del 30.3.2001, artt. 19, 24, 29 e 52, degli artt. 18 e ss. del CCNL 8.6.2000 quadriennio 1998-2001 dell’area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale, dell’art. 2103 c.c., artt. 115, 116 c.p.c., art. 36 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».

1.1. Occorre precisare che l’attuale controricorrente assunse l’incarico di direttore responsabile dell’U.O.C. Servizio Oculistica il 1°.7.2009, in sostituzione di altro collega andato in quiescenza, e lo mantenne fino al 30.6.2015. L’art. 18 del CCNL dell’area della dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale 8.6.2000 consente tali nomine temporanee in sostituzione, per il tempo strettamente necessario ad espletare le procedure di nomina di un nuovo titolare, tempo ivi indicato in «sei mesi, prorogabili fino a dodici» (comma 4).

Il medesimo art. 18, al comma 7, precisa che: i) «Le sostituzioni previste dal presente articolo non si configurano come mansioni superiori in quanto avvengono nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria»; ii) «Al dirigente incaricato della sostituzione ai sensi del presente articolo non è corrisposto alcun emolumento per i primi due mesi»; iii) «Qualora la sostituzione dei commi 1 e 2 si protragga continuativamente oltre tale periodo, al dirigente compete una indennità mensile» secondo gli importi ivi determinati.

Nel caso qui in esame, l’Azienda Sanitaria ha corrisposto la sola «indennità mensile» per tutto il pluriennale periodo di sostituzione, mentre il dirigente ha chiesto – e ottenuto dalla corte d’appello – il trattamento economico previsto per l’incarico effettivamente espletato.

La ricorrente contesta la decisione della corte d’appello sostenendo che l’incarico in sostituzione, anche se prorogato oltre il termine massimo indicato dall’art. 18 del CCNL, rimane provvisorio e non può ricevere il medesimo trattamento economico riservato ai dirigenti di fascia superiore nominati alle condizioni e seguendo le procedure prescritte dall’art. 15-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 e dall’art. 29 del medesimo CCNL 8.6.2000 (il quale ultimo rinvia al d.P.R. n. 484 del 1997).

1.2. Il motivo è fondato.

La questione di diritto rilevante ai fini della decisione è già stata più volte affrontata da questa Corte e, negli anni più recenti, si è consolidato l’orientamento nel senso indicato dalla ricorrente ed espresso nella seguente massima: «la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 18 del C.C.N.L. dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito ma solo la prevista indennità cd. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.» (Cass. n. 21565/2018, che cita, quali precedenti conformi, Cass. nn. 6299/2015; 15577/2015, 584/2016, 9879/2017; successivamente, nello stesso senso, Cass. nn. 10440/2023; 4983/2022; 33136/2019; 7863/2019; 30913/2018).

La corte territoriale ha invece fatto propria la diversa interpretazione secondo cui l’istituto della sostituzione nell’incarico dirigenziale, disciplinato dall’art. 18, CCNL, sarebbe connotato dalla durata nel tempo limitata nella misura ivi indicata e non sarebbe quindi applicabile nel caso di esercizio di fatto delle funzioni superiori per periodi più lunghi dei dodici mesi, ambito nel quale dovrebbe riprendere vigore il diritto alla retribuzione in misura corrispondente alle mansioni effettivamente svolte, sancito, anche per il pubblico impiego, dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, ed elevato a principio costituzionale dall’art. 36 Cost. (interpretazione avallata anche da una più risalente decisione di questa Corte, n. 13809/2015, citata nella sentenza impugnata, peraltro riferita a un caso in cui «lo svolgimento delle mansioni superiori trovava legittimazione anche formale nel provvedimento di assegnazione del Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria e nel superamento del concorso»).

Tale orientamento è stato tuttavia superato sulla base della condivisibile considerazione che l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 sancisce l’inapplicabilità ai dirigenti dell’art. 2103 c.c., che discende dalle peculiarità proprie della qualifica dirigenziale che, nel nuovo assetto, non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. Per le medesime ragioni non è applicabile al rapporto dirigenziale l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, riferibile al solo personale che non rivesta la qualifica di dirigente, al quale è, invece, riservata la disciplina dettata dalle disposizioni del titolo II, capo II, del medesimo d.lgs. Non fa eccezione la dirigenza sanitaria, inserita «in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello» (art. 15 d.lgs. n. 502/1992), per la quale la giuridica impossibilità di applicare la disciplina dettata dall’art. 2103 c.c. è ribadita dall’art. 15-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, inserito dal d.lgs. n. 229/1999, nonché dall’art. 28, comma 6, del medesimo CCNL 8.6.2000, secondo cui «nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse le aziende tengono conto … che data l’equivalenza delle mansioni dirigenziali non si applica l’art. 2103, comma 1, del c.c.» (v., ex multis, la già citata Cass. n. 21565/2018).

E se è vero che nella proroga sine die dell’incarico provvisorio retribuito solo con l’indennità mensile si annida il pericolo di un abuso nei confronti del dirigente (gravato – sia pure con il suo consenso – di una responsabilità alla quale ordinariamente sarebbe correlato un compenso superiore), ancor più evidente sarebbe il pericolo di abuso, nei confronti di tutti gli altri aspiranti, nel caso in cui il conferimento dell’incarico provvisorio prorogato oltre l’anno venisse normalizzato sul piano retributivo, aggirando le norme imperative che, anche nell’interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione, prescrivono adeguate procedura competitive per la scelta del dirigente titolare.

Per lo stesso motivo si deve escludere che il pagamento della sola indennità sostitutiva determini una ingiustificata disparità di trattamento tra dirigenti con incarico provvisorio su posto vacante e dirigenti nominati all’esito della prescritta procedura selettiva e previa verifica dei titoli abilitanti. Infatti, proprio la diversità della procedura e dei presupposti della nomina impedisce di considerare le due diverse posizioni equivalenti (e quindi da assoggettare necessariamente alla medesima disciplina in ossequio al principio costituzionale di uguaglianza).

2.Il secondo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché … omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».

Il motivo è volto a contestare il quantum della condanna pronunciata dalla corte d’appello nei confronti dell’Azienda Sanitaria.

2.1. La riscontrata fondatezza del primo motivo, che riguarda l’an debeatur, rende dunque superfluo l’esame del secondo motivo, che rimane assorbito.

3. Accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito in questa sede (art. 384, comma 2, c.p.c.), con il rigetto della domanda del lavoratore.

4. L’esito difforme dei due gradi di giudizio di merito, derivante dalla particolare problematicità della vicenda, che in passato ha dato luogo a precedenti contrastanti anche presso questa Corte, consiglia la compensazione delle spese dell’intero processo tra tutte le parti.

5. Si dà atto che la fondatezza del ricorso rende inapplicabile la disciplina dettata, quanto al raddoppio del contributo unificato, dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del lavoratore;

compensa le spese dell’intero processo.

Dirigente medico: indennità sostitutiva e trattamento accessorio (Cass. n. 25421/2023)
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